Riforma fiscale negli Stati Uniti: ultimo tentativo di riportare un successo prima della fine dell’anno?

Nicolas Roth -

Dopo il blocco della riforma sanitaria e il ritiro della legge Dodd-Franck pressoché fermo da maggio, l’agenda riformatrice del Presidente Trump inizia a mostrare alcune crepe.

Dalle speranze legate alla cosiddetta Trumponomics alla delusione totale, l’amministrazione USA sembra essersi dedicata soprattutto a questioni interne, alla sostituzione di personale chiave e all’attacco sistematico dei principali media, sottraendo tempo utile al programma politico del Presidente. Nell’ultima parte dell’anno, il Senato e la Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti stanno spronando il presidente della Camera Paul Ryan, il Segretario al Tesoro Mnuchin e il Consulente Speciale Gary Cohn a redigere un progetto di legge in materia di fiscalità. La questione di fondo è: riuscirà il Presidente, nel caos che regna attualmente a Washington, a realizzare una riforma fiscale equilibrata entro fine anno?

La riforma delle tasse è nel programma elettorale repubblicano da molto tempo ma solo oggi, per la prima volta in assoluto dal 2006, il Partito Repubblicano controlla simultaneamente Camera, Senato e Casa Bianca. Si tratta quasi di un presupposto per l’approvazione di una legge che riduca le imposte per imprese e famiglie. La necessità di una riforma fiscale deriva da una serie di fattori e di osservazioni fattuali. In primo luogo, sono proprio gli Stati Uniti, tra i paesi membri dell’OCSE, ad applicare oggi l’aliquota fiscale più elevata sui redditi d’impresa. In secondo luogo, visto il suo programma di governo molto semplice riassunto dal motto Make America Great Again, il Presidente ha la responsabilità di creare posti di lavoro, fare ripartire il settore manifatturiero e la produzione industriale del paese, nonché agevolare la creazione di credito e aumentare il potere d’acquisto. Gli incentivi alle imprese sotto forma di riduzione dell’aliquota fiscale costituiscono il percorso naturale per rafforzare la competitività degli Stati Uniti. Molto probabilmente ciò permetterebbe di mettere fine all’evasione fiscale, una pratica molto impopolare nel paese ma che nessun governo è mai riuscito a impedire sul piano legale.

La proposta di riforma fiscale della Casa Bianca affronta il tema dell’elevato carico fiscale sotto diversi profili. Sul versante societario, il modello prevede un taglio del 20% dell’imposta sui redditi d’impresa mentre nel regime fiscale attuale l’aliquota massima è pari al 35%. L’obiettivo principale dell’amministrazione Trump è trattare in modo analogo piccole e grandi società e, al contempo, stimolare la crescita. Il nuovo sistema dovrebbe essere più equo e trasparente e incoraggiare le imprese a riportare in patria la liquidità intrappolata in paesi esteri come l’Irlanda. Per le persone fisiche, la riforma semplifica le norme fiscali vigenti e riduce da sette a tre gli scaglioni fiscali, che diventano pari al 12%, 25% e 33%.

L’attuale progetto di riforma fiscale presenta però un difetto significativo: non rispetta la neutralità del gettito fiscale. In parole semplici, i mancati introiti fiscali non possono essere riequilibrati attraverso l’indebitamento, ma nemmeno causare un aumento del debito e del disavanzo nazionale. Gli elementi variabili come il numero di nuovi posti di lavoro, l’impatto sull’economia e la crescita complessiva rendono difficile elaborare delle proiezioni. Tuttavia, le stime del Tax Policy Center sembrano condivise: nei primi 10 anni il progetto eroderebbe le entrate pubbliche di 6.200 miliardi di $, senza considerare il costo degli interessi e la crescita, facendo così salire il debito federale a 7.000 miliardi di $ in 10 anni. Con il progetto di legge attualmente in discussione si stima una riduzione delle entrate di 3.100 miliardi di $ e una crescita del debito federale di 3.100 miliardi di $.

Il dibattito che contrappone neutralità del gettito fiscale e del deficit potrebbe apparire irrilevante, ma è uno dei cardini della riforma. In un quadro di neutralità del gettito, tutti i tagli fiscali devono essere compensati, dollaro per dollaro, attraverso aumenti d’imposta che lascino invariate le entrate complessive. Tuttavia, proprio questo concetto ha portato al fallimento una serie di riforme fiscali. Viceversa, secondo la logica della neutralità del deficit, le riduzioni delle imposte sono compensate attraverso tagli alla spesa pubblica e la definizione di priorità di bilancio, per riuscire a ridurre il carico fiscale reale gravante sulle imprese e sulle famiglie. Al momento, i Repubblicani sembrano prediligere l’impostazione della neutralità del gettito; è tuttavia probabile che una riforma a parità di deficit ottenga maggiore appoggio da parte dei Democratici.

Gli investitori dovrebbero seguire con attenzione le discussioni sulla riforma fiscale, non tanto per la riforma in sé, bensì come indicatore per capire l’aria che tira a Washington. I Repubblicani sono divisi e probabilmente dissentiranno su alcuni punti al fine di dar voce ai malcontenti, ma è scontata anche l’opposizione della compagine democratica. Il partito repubblicano sta già corteggiando alcuni deputati democratici; i toni partigiani che il dibattito sta assumendo e l’incapacità dei Repubblicani a unirsi obbligano a reclutare sostenitori tra le file degli avversari per riuscire ad approvare una possibile riforma. Escluso l’episodio di agosto che ha visto protagonista la Corea del Nord, il mercato si è dimostrato relativamente immune dai problemi di gestione della macchina governativa USA, ma nulla è destinato a durare per sempre.


Nicolas Roth – Head of alternative asset – Banca Reyl