Le novità previdenziali del 2018

Roberto Carli -

Il nuovo anno si caratterizza per una serie di significative novità in ambito previdenziale, sia per quel che riguarda il sistema obbligatorio che con riferimento alla previdenza complementare.

Previdenza obbligatoria:

La prima novità riguarda l’innalzamento dell’età pensionabile per le lavoratrici donne, sia dipendenti private che autonome, nell’ambito del processo di progressiva equiparazione agli uomini avviato con la riforma Fornero (nel settore del pubblico impiego invece i due generi sono già equiparati dal 2010). I requisiti di pensionamento sono per la pensione di vecchiaia pari a  66 anni e 7 mesi di età e 20 anni di contributi . Per la pensione anticipata occorrono, invece, 41 anni e 10 mesi di contributi (42 anni e 10 mesi per gli uomini) a prescindere dall’età anagrafica. Come ha avuto luogo il percorso di armonizzazione ? Nel 2012 l’età pensionabile delle dipendenti si era posizionata a 62 anni, elevata a 63 anni e 9 mesi dal 2014, per poi evolvere a 65 anni; per le donne autonome, dal 2012 l’aumento è stato di tre anni e mezzo (dai 60 ai 63,6 anni) per arrivare, dal 2018, a 66 anni più l’adeguamento alla speranza di vita complessivamente pari a 7 mesi. Per la pensione anticipata, occorre fare i conti con gli stessi incrementi di età per l’uscita..

Nel 2018 entra poi in vigore per effetto della Legge di Bilancio 2018 l’ampliamento dell’Ape sociale con uno sconto contributivo a beneficio delle lavoratrici madri pari ad un anno per ogni figlio entro un massimo di due anni. In sostanza le lavoratrici con due figli potranno ottenere la prestazione assistenziale con 28 anni di contributi anziché 30 (34 anni se rientrano nei lavori gravosi invece che 36). Sempre per quel che riguarda l’Ape sociale salgono a 15 le categorie dei potenziali beneficiari (le 11 precedenti più le 4 aggiunte a seguito del confronto con i sindacati (lavoratori che prestano servizio presso impianti siderurgici, i braccianti agricoli, i lavoratori marittimi e i pescatori) e viene estesa la indennità anche in caso di scadenza di un contratto a tempo determinato, a condizione che il lavoratore, nei 3 anni precedenti la cessazione del rapporto, abbia avuto periodi di lavoro dipendente per almeno 18 mesi.

Nell’anno in corso partirà poi finalmente, quasi certamente a gennaio, la sperimentazione dell’Ape volontaria per cui la Legge di Bilancio ha prorogato di un anno (fino al 2019) la sperimentazione, considerando la sensibilmente ritardata partenza (sarebbe dovuta partire dallo scorso 1 maggio).

Ed ancora dal 2018 dopo due anni di blocco della perequazione automatica, vale a dire il meccanismo che permette al trattamento pensionistico di essere rivalutato nel suo importo lordo secondo l’andamento delle dinamiche inflattive a cadenza annua, l’importo delle pensioni avrà un piccolo incremento (in base al decreto del Ministero dell’Economia del 20 novembre scorso è fissato al +1,1 il tasso provvisorio di rivalutazione da applicare) . Con la Legge di Bilancio si è poi corretta in modo strutturale la data di pagamento delle pensioni che dal 2018 sarà il primo giorno del mese e non più il secondo come sarebbe dovuto invece avvenire in base alla normativa precedente (fa eccezione il mese in corso per cui il pagamento avviene il 3 gennaio)

Previdenza complementare:

Per quel che riguarda la previdenza complementare con la Legge di Bilancio dal 2018 si equiparano dal punto di vista fiscale i fondi pensione del pubblico impiego ai fondi pensione per dir così “adeguati” a dlgs 252/2005 come quelli negoziali per i dipendenti del settore privato. Fino allo scorso anno si applicava infatti ancora la normativa del 1993. Per esempio quel che riguarda la contribuzione il limite di deducibilità era ancora rappresentato dal minore tra il 12 per cento del proprio reddito complessivo, 5164,57 € e il doppio del tfr trasferito al fondo pensione. Per quel che riguarda le prestazioni vigeva poi la distinzione tra prestazione percepita sotto forma di rendita o sotto forma di capitale (con il limite massimo comunque di percezione del 50 per cento). La prestazione sotto forma di rendita veniva scomposta in 4 parti, sempre applicando il principio della unicità della tassazione. Ora i contributi versati, dal lavoratore e dal datore di lavoro o committente, sia volontari sia dovuti in base a contratti o accordi collettivi, anche aziendali, sono invece deducibili dal reddito complessivo per un importo non superiore ad euro 5.164,57. Le prestazioni pensionistiche beneficiano di una tassazione sostitutiva con aliquota del 15 per cento riducibile fino al 9 per cento in base al periodo di partecipazione alla forma pensionistica complementare.

Viene poi rimodulata la rendita integrativa temporanea anticipata, la Rita, erogabile dai fondi pensione. Lo strumento era stato introdotto in via sperimentale fino al 31 dicembre 2018 dalla precedente manovra finanziaria in stretta sinergia con l’Ape volontaria. Perché l’aderente ad un fondo pensione potesse richiedere la Rita avrebbe dovuto produrre infatti la certificazione Inps di avere diritto all’accesso all’Ape, senza che fosse però necessario usufruirne materialmente. La Rita poteva essere infatti complementare o sostitutiva dell’Ape volontaria in un processo di pianificazione previdenziale.

Sulla base di quanto disciplinato dalla Legge di Bilancio si disgiunge ora la prestazione dal collegamento con l’Ape volontaria e la si rende istituto strutturale e non più sperimentale. La funzione vuole essere quella di supportare la “flessibilità in uscita” come reddito ponte (sempre con la erogazione frazionata del montante accumulato) fino al pensionamento accompagnando il lavoratore in condizione di difficoltà. Si modifica in particolare l’art. 11 del dlgs 252/2005 prevedendosi che possano chiedere la Rita i lavoratori , pubblici e privati, iscritti a un fondo pensione, in caso di perdita del lavoro se maturano l’età per la pensione di vecchiaia entro cinque anni; e in caso di non occupazione per 24 mesi a patto che maturino l’età per la pensione di vecchiaia entro 10 anni. Ai fini della richiesta in rendita e in capitale del montante residuo non rileva la parte di prestazione richiesta a titolo di rendita integrativa temporanea anticipata.

Dal punto di vista fiscale viene confermato che la parte imponibile della RITA è assoggettata alla ritenuta a titolo d’imposta con l’aliquota del 15 per cento ridotta di una quota pari a 0,30 punti percentuali per ogni anno eccedente il quindicesimo anno di partecipazione a forme pensionistiche complementari con un limite massimo di riduzione di 6 punti percentuali.