Rendimenti USA più alti, ma solo per chi investe in dollari

Chris Iggo -

Gli Stati Uniti devono alzare i tassi per riequilibrare il costo del denaro e colmare un deficit di bilancio in aumento. Sfortunatamente molti investitori obbligazionari al di fuori degli Stati Uniti in questo momento non reputano interessante acquistare obbligazioni americane.

Il costo per proteggersi dal rischio di cambio non è stato così alto da decenni. E questa situazione potrebbe durare per un po’ di tempo.

Per molti investitori europei, questo significa portafogli obbligazionari che continuano a produrre bassi rendimenti. Per altri, la scelta è tra rischiare col dollaro oppure cercare una gestione obbligazionaria attiva dove il ritorno complessivo sia molto più alto del rendimento reddituale offerto. Nessuno ha mai detto che sia una cosa semplice.

Il rialzo dei tassi a marzo

I “Minutes” dell’FOMC di gennaio ci hanno ricordato che ci troviamo in una fase di stretta monetaria. Nulla nel verbale ci fa pensare che la banca centrale americana abbia deciso di modificare il suo orientamento che per quest’anno prevede altri rialzi dei tassi di interesse. È vero che l’incontro ha avuto luogo prima dell’ondata di volatilità sul mercato azionario, ma in ogni caso lo scenario non è cambiato per l’economia USA. I pochi funzionari della Federal Reserve che hanno commentato l’aumento di volatilità sui mercati finanziari in genere lo hanno visto come una fase di correzione del mercato e non come uno sviluppo più fondamentale.

Avremo qualche dettaglio in più sulle prospettive della Federal Reserve dopo l’incontro del 21 marzo. Secondo Bloomberg, in questo momento è previsto un altro rialzo dei tassi con una probabilità del 100% in occasione di tale incontro. Sarà interessante anche vedere quanti membri dell’Open Market Committee rivedranno le loro stime sui tassi di interesse. Al momento, la stima media è un tasso sui fed fund del 2,25% per fine anno (3 rialzi) e un range tra il 2,5% e il 2,75% a fine 2019. Dopo la pubblicazione delle stime della Fed, l’inflazione è salita un po’, ma questo aumento probabilmente era già previsto. Comunque questo comporta un rischio.

Rivedere le stime al rialzo, in particolare quelle sul tasso di interesse terminale implicito (il punto massimo del ciclo), aprirebbe la strada a un altro intervento ribassista nei Treasury e, per estensione, nei mercati obbligazionari globali. Non dimentichiamoci inoltre che l’ultima serie di stime della banca centrale americana è stata formulata prima del recente accordo sulla finanziaria.

Tutto chiaro

A differenza di altri cicli recenti di rialzo dei tassi, questa volta non ci sono enigmi da risolvere. I rendimenti obbligazionari sono in aumento per via degli stessi fondamentali alla base del cambiamento politico: crescita più alta, inflazione potenzialmente in aumento e stimoli fiscali. In questo momento, il rendimento dei Treasury decennali è sceso rispetto al livello del 3,0% su cui si era attestato il mercato nelle ultime due settimane, ma basterebbe una sorpresa economica per riportarci su tale soglia psicologicamente importante. Non se n’è parlato molto, ma il forte aumento del debito pubblico negli Stati Uniti è stato un altro fattore importante per determinare i prezzi obbligazionari.

Questa settimana, il Tesoro degli Stati Uniti ha emesso buoni per 179 miliardi di dollari, obbligazioni a tasso variabile a 2 anni per 15 miliardi di dollari, titoli quinquennali per 35 miliardi di dollari e strumenti a 7 anni per 29 miliardi di dollari. E questo, dopo le emissioni obbligazionarie per 66 miliardi di dollari di inizio mese. Il deficit di bilancio è in aumento e dev’essere finanziato. Quest’anno il livello del debito risulterà più alto rispetto all’ultimo periodo. Inoltre, la Federal Reserve ha cessato di acquistare titoli. Per essere precisi, ha iniziato a ridurre le dimensioni del suo stato patrimoniale. Questi fattori di domanda e offerta sono una delle ragioni che ci porta a pensare che il rischio sia in aumento sul fronte dei rendimenti.

Rendimenti USA più alti, ma …

Gli Stati Uniti emettono un numero maggiore di obbligazioni e i rendimenti obbligazionari sono più alti che nel resto dei Paesi sviluppati. Questo significa che il resto del mondo sarà felice di finanziare gli Stati Uniti attraverso gli afflussi di capitale, principalmente diretti verso i Treasury. Ma, Houston abbiamo un problema. Infatti, acquistare obbligazioni USA è costoso per gli investitori non in dollari che dunque non vogliono assumersi il rischio di cambio. Il costo per la copertura valutaria dipende dalla differenza dei tassi di interesse tra le due valute, e il livello dei tassi per il dollaro rispetto all’euro non è mai stato così alto in quasi 30 anni.

In genere, un investitore obbligazionario non americano (diciamo in Europa) che acquista Treasury e sottoscrive una copertura per il rischio di cambio deve pagare circa 250 punti base per la copertura. Il rendimento diminuisce e quello che sembra un rendimento di quasi il 3% sul mercato dei Treasury alla fine si riduce a solo 50 punti base dopo la copertura in euro. Non regge di fronte al rendimento dei Bund di 70 p.b. Gli investitori giapponesi sono stati tradizionalmente grandi acquirenti di titoli del Tesoro americano.

La situazione non è così terribile per loro, considerato un aumento del rendimento dei Treasury di quasi 40 p.b. con la copertura in yen e rispetto ai titoli di Stato giapponesi con un rendimento pari a zero (principalmente a causa del selloff sul mercato USA da inizio anno). Per gli investitori in sterlina, la lieve tendenza al rialzo della curva dei tassi nel Regno Unito ha contribuito a ridurre il costo della copertura in dollari, che però è ancora di 150 p.b. Questo significa che un rendimento decennale USA coperto in sterlina è solo dell’1,35% paragonato a un Gilt con la stessa scadenza, che rende l’1,54%.

I rendimenti USA

Da un punto di vista macroeconomico, i rendimenti Usa probabilmente dovranno salire ancora per risultare interessanti agli occhi della comunità di investitori obbligazionari globali che non hanno come valuta base il dollaro e che non vogliono assumere il rischio di cambio. Certamente ci sono molti investitori non americani disposti a detenere strumenti in dollari, sia investitori privati che istituzioni. Per loro la situazione è diversa. Mentre gli investimenti in reddito fisso in dollari che hanno già in portafoglio avranno una valutazione mark-to-market negativa, questi investitori hanno l’opportunità di impiegare i nuovi capitali a rendimenti molto più alti.

Se sono produttori di materie prime o presentano un ampio avanzo della bilancia dei pagamenti, avranno un afflusso costate di dollari che deve essere reinvestito (al fine di contenere le pressioni al rialzo sulle rispettive valute). Ci sono diversi istituti che vogliono e devono avere in portafoglio strumenti in dollari e che saranno quindi più che felici del rialzo dei rendimenti.

Per coloro che non ne hanno bisogno e si trovano bloccati in mercati dove il Quantitative Easing mantiene i rendimenti bassi, il reddito fisso resterà un investimento molto costoso. Nell’Eurozona questo significa che i settori europei come l’high yield e i titoli di Stato dei Paesi periferici continueranno a produrre rendimenti inferiori a quanto indicherebbe altrimenti la loro affidabilità di credito nel più lungo termine.

Scelte difficili

Il costo per la copertura del tasso di cambio è un grosso problema per gli investitori europei che vogliono rendimenti più alti ma che non vogliono sostenere il rischio valutario. A quasi ogni scadenza o livello di credito comparabile, i rendimenti USA con copertura in euro non appaiono molto interessanti. Prendiamo il segmento high yield. L’indice USA presenta in questo momento un rendimento del 6,15%. Con la copertura in euro, è del 3,65%. Il mercato high yield europeo rende il 3,0%. Dunque c’è un vantaggio a trovarsi negli Stati Uniti.

Tuttavia, il mercato americano presenta una duration più lunga e un rating di credito medio più basso, e probabilmente è in una fase più avanzata del ciclo di credito che alla fine farà aumentare le insolvenze. Eppure, la recente volatilità del mercato azionario ha fatto salire i rendimenti USA a causa dall’ampliamento degli spread di credito sull’high yield, tanto che oggi sembra un po’ meglio di un mese fa quando l’high yield USA con copertura in euro era del 3,4% soltanto. L’alternativa è di non coprire il rischio di cambio ed essere esposti al dollaro.

Nel 2017, un investitore europeo in Treasury avrebbe registrato una perdita del 10% in euro. I portafogli obbligazionari passivi esposti al tasso di cambio in genere producono una volatilità pari al doppio o al triplo rispetto al fondo obbligazionario sottostante, col rischio di perdite più consistenti in caso di brusche oscillazioni delle valute.

Gestione attiva

Dunque che scelta hanno gli investitori europei che vogliono un ritorno potenzialmente più alto dal reddito fisso in dollari, ma non vogliono necessariamente incrementare molto il rischio collegato ai tassi di cambio? Innanzi tutto dobbiamo capire che la yield non sempre coincide con il ritorno complessivo dell’investimento. In effetti coincide raramente su brevi periodi di tempo perché il rendimento oscilla nel tempo e questo comporta anche un’oscillazione dei prezzi obbligazionari. In parole semplici, il ritorno di un portafoglio obbligazionario, o dell’indice, è determinato dal carry (i pagamenti delle cedole che ricevono gli investitori) più le variazioni di prezzo mark-to-market che dipendono dalle variazioni dei tassi sottostanti o degli spread di credito.

Il fatto la yield di un portafoglio obbligazionario USA con copertura in euro oggi non sembri interessante non significa che valga lo stesso anche per il rendimento complessivo. I gestori attivi si impegnano in questo senso rettificando le esposizioni sul rischio e cercando di ottenere un miglior profilo di rischio e rendimento. Se oggi un investitore in euro acquista un prodotto a reddito fisso USA a gestione passiva, non solo ottiene una yield contenuta, ma anche un rendimento complessivo che sarà determinato dall’andamento dei tassi sul mercato.

Acquistando un fondo attivo almeno il gestore ha l’opportunità di limitare l’impatto del rialzo dei tassi (riducendo l’esposizione sulla duration), incrementare il carry (cercando rendimenti interessanti) e sfruttare i rally obbligazionari in futuro (incrementando le scadenze a più lungo termine). Eppure, il ritorno in euro sarà comunque più basso di quello in dollari a causa del costo di copertura, ma un fondo a gestione attiva dovrebbe offrire l’opportunità, almeno a livello potenziale, di battere il rendimento con copertura in euro.

Nessuna riduzione dei costi di copertura

Sfortunatamente la situazione non cambierà molto presto. I tassi di interesse a breve termine negli Stati Uniti saliranno ancora rispetto ai tassi di interesse in Europa poiché la Banca centrale europea (BCE) non li alzerà per un po’. L’irripidimento della curva negli Stati Uniti contribuirà a rendere i Treasury più interessanti e l’ampliamento degli spread di credito renderà le obbligazioni societarie più appetibili.

Tuttavia, il reddito fisso core negli Stati Uniti probabilmente continuerà a essere meno vantaggioso per gli investitori europei rispetto al reddito fisso core in euro. Dunque, per gli investitori europei potrebbe esserci più valore in alcune aree del mercato americano per le posizioni non core: obbligazioni strategiche flessibili, high yield e mercati emergenti. In genere queste posizioni hanno rendimenti più alti e una gestione più attiva, dunque offrono un’alternativa diversificata ai prodotti a reddito fisso europei core.

Dollaro al rialzo o al ribasso?

Gli investitori potrebbero considerare anche il dollaro. Visto il cambio euro/dollaro (oltre 1,20 dollari) mi risulta difficile essere eccessivamente rialzista sull’euro poiché il rafforzamento della valuta potrebbe rappresentare un problema per le imprese europee e per la crescita delle esportazioni. La BCE è ancora lontana dal colmare il divario dei tassi di interesse. Ci sono ancora incertezze politiche in Europa, per esempio in Spagna, in Italia e sul fronte della Brexit. Forse la crescita è in miglioramento, ma, secondo me, la maggior parte delle economie europee faticherà a crescere più rapidamente degli Stati Uniti quest’anno, anche se la crescita americana è favorita dalla riforma fiscale (che in fondo è nata per questa ragione).

D’altra parte, gli Stati Uniti hanno un deficit di bilancio in aumento e un divario delle partite correnti più ampio. Naturalmente, i deficit gemelli possono comportare un rafforzamento della valuta per via dell’effetto sui tassi e sui rendimenti: un ampliamento del divario di bilancio porta al rialzo dei rendimenti obbligazionari e la Federal Reserve, alla fine, potrebbe inasprire la stretta monetaria per via degli stimoli fiscali. Ma potrebbe anche avere l’effetto opposto, se gli investitori perdono fiducia nella politica americana a causa del problema dei deficit gemelli. Alla luce di tutte queste considerazioni macroeconomiche, la direzione che prenderà il dollaro non è comunque chiara. Puntare su un rafforzamento del dollaro che faccia incrementare il rendimento delle obbligazioni USA è rischioso.

La transizione dal QE

Gli Stati Uniti si stanno allontanando dal Quantitative Easing e dai tassi di interesse bassissimi. Queste dinamiche da una parte fanno salire i rendimenti obbligazionari, dall’altra non si traducono necessariamente in rendimenti più alti per gli investitori nel resto del mondo che vogliono coprire il rischio valutario. Dipende dall’efficienza dei mercati. Ne deriva che gli investitori avversi al rischio in Europa e in Giappone sono bloccati in un contesto caratterizzato da bassi rendimenti finché non finirà il QE. Un aumento dei rendimenti USA che faccia salire il rendimento con copertura degli investitori europei e giapponesi sarà da cogliere al volo, ma tali opportunità probabilmente saranno rare e sporadiche se la Federal Reserve continuerà ad alzare i tassi a breve.

Per gli investitori statunitensi, le prospettive appaiono abbastanza chiare. Ci saranno più emissioni di Treasury che faranno probabilmente salire i rendimenti. Le emissioni di obbligazioni societarie potrebbero diminuire in futuro per via dell’effetto della riforma fiscale che dovrebbe limitare la portata dell’ampliamento degli spread di credito (almeno nella componente high grade del mercato). La Federal Reserve sta abbandonando le politiche non convenzionali, facendo aumentare sia i premi per il rischio che la volatilità. Per il momento l’Europa, nel reddito fisso, sembra l’opzione a basso rischio e a basso rendimento.


Chris Iggo – CIO Obbligazionario – AXA Investment Managers