Mercati emergenti: dopo un 2018 da dimenticare, il 2019 sarà un anno da ricordare?

Craig Botham -

È sempre più diffusa la convinzione che il 2019 potrebbe essere un anno migliore per gli asset dei Mercati Emergenti rispetto al 2018.

Dato che l’indice azionario generale ha perso più del 14% nel 2018, che quasi nessuna delle valute emergenti ha generato ritorni positivi e che l’Emerging Markets Bond Index (EMBI) ha perso il 5,3%, il livello di partenza per quest’anno è molto più basso. Nonostante ciò, quando guardiamo ai driver macro, il quadro è abbastanza confuso.

I mercati emergenti torneranno alle performance del 2017?

Partendo dalle buone notizie, ci aspettiamo un dollaro più debole nel 2019. La fine del tightening della Fed e i deficit in aumento dovrebbero pesare sul dollaro e supportare gli emergenti. Esiste una correlazione tra il dollaro e gli asset emergenti: un dollaro più debole porta a una sovraperformance dell’azionario emergente rispetto alle controparti sviluppate ed è associato a spread inferiori per il debito emergente in hard currency. Secondo le nostre attuali previsioni, l’indice del dollaro dovrebbe indebolirsi di circa il 2% nel 2019 e di un ulteriore 2% nel 2020.

Un dollaro più debole non è una buona notizia soltanto per i mercati. Secondo un nostro recente studio, un numero crescente di ricerche accademiche indica che il ruolo dominante del dollaro nel commercio globale amplifica il suo impatto sui flussi internazionali di beni e credito. Soprattutto per i mercati emergenti, che tendono a dipendere maggiormente dal dollaro. In sostanza, un dollaro più debole o meno costoso, stimola il commercio e la crescita del credito, rendendoli più economici in termini di valuta locale per tutti i Paesi, eccetto per gli Usa.

Sebbene credito emergente e commercio potrebbero riprendersi nel breve termine, tale meccanismo opera tuttavia con un certo ritardo e ciò potrebbe agire da vento contrario per la crescita degli emergenti per gran parte del 2019, prima di cambiare direzione nel 2020. Ciò implica che, per una data crescita del Pil globale, i volumi del commercio mondiale vedranno un aumento inferiore nel 2019 rispetto al 2018. La situazione non è catastrofica: il moltiplicatore commerciale dovrebbe mantenersi in linea con la media post-crisi e non collassare ai livelli del 2015.

I fattori macro fanno presagire un periodo complesso

Il commercio è importante per i mercati emergenti, in quanto il volume degli scambi è un driver per la crescita del Pil reale e il valore commerciale influenza la crescita degli utili. È quindi normale che gli investitori emergenti siano preoccupati riguardo alla guerra commerciale. Tuttavia, anche in assenza di tale rischio, i nuovi ordini per le esportazioni a livello globale indicano una contrazione del commercio. I dati sull’export delle economie emergenti asiatiche, che solitamente anticipano lo sviluppo del ciclo, sono preoccupanti. Infine, il ritorno della deflazione dei prezzi delle commodity ricorda il 2014-15 e traccia un outlook in contrasto con le aspettative per gli utili degli emergenti. Assumendo che i prezzi delle commodity resteranno ai livelli attuali per il resto dell’anno, ciò implicherebbe una deflazione anno su anno per l’intero 2019, situazione che in passato è stata associata a una performance degli utili debole o negativa per gli emergenti.

La rinascita delle commodity rappresenta ovviamente un’opportunità al rialzo in questo outlook complesso, tuttavia sembrerebbe che i mercati stiano guardando nuovamente alla Cina come fonte di cambiamenti.

Se la storia si ripetesse e la Cina avviasse un massiccio stimolo per credito e infrastrutture, come nel 2016 e nel 2009, allora i prezzi sarebbero spinti al rialzo dal principale consumatore di commodity al mondo e le preoccupazioni sulla deflazione svanirebbero. Purtroppo, non sembra che ciò stia avvenendo.

Infine, bisogna considerare la questione trade war. Riteniamo che l’azionario emergente ne abbia già mostrato gli effetti, dato che i mercati più esposti sono stati i peggiori performer. È possibile che si verifichi un’estensione della tregua dalla trade war e riteniamo che gli Stati Uniti, per punire la Cina, potrebbero perseguire una “tech war” piuttosto che ulteriori dazi, utilizzando il controllo sugli ordini delle esportazioni e le restrizioni sugli investimenti. Gli Usa in tal modo danneggerebbero meno i propri consumatori. Se la tregua durerà o meno, dipenderà dalla volontà della Cina di permettere agli Stati Uniti di monitorare le implementazioni delle protezioni sulla proprietà intellettuale.

Conclusioni

Riassumendo, da un lato un dollaro più debole è una notizia positiva per gli asset emergenti, dall’altro la debolezza del commercio globale e in Cina non è da sottovalutare, soprattutto per l’azionario emergente.

Le due questioni in realtà non sono totalmente incompatibili. La debolezza del dollaro è associata a una sovraperformance relativa degli asset emergenti rispetto a quelli dei Paesi sviluppati e non implica necessariamente guadagni in termini assoluti. La combinazione di questi due fattori suggerisce quindi di puntare sugli emergenti rispetto ai mercati sviluppati, piuttosto che scommettere in assoluto su un mercato specifico.

Parlando di debito in valuta locale, un contesto disinflazionistico potrebbe essere d’aiuto, soprattutto in combinazione con un dollaro debole. Le banche centrali emergenti potrebbero mettere in pausa, porre fine o addirittura ribaltare i propri cicli di tightening, avviati nel 2018 in parte per proteggersi dalla forza del dollaro. Ciò dovrebbe essere di supporto per l’asset class, che essendo denominata in valuta locale, guadagnerebbe in generale di più dalla debolezza del dollaro. Gli spread del debito in valuta forte, intanto, dovrebbero beneficiare di un dollaro più debole e della fine del tightening della Fed.

Se dovessimo aver ragione, il 2019 potrebbe non essere un nuovo 2017 per i mercati emergenti, ma sicuramente sarebbe migliore del 2018.


Craig Botham – Emerging Markets Economist – Schroders