Elezioni europee: cartina tornasole o campanello d’allarme?

Stéphane Monier -

Come in altre parti del mondo, l’opinione politica si sta polarizzando. Se da un lato il sostegno all’Unione europea, il più grande blocco commerciale del mondo, ha raggiunto un livello che, secondo l’Eurobarometro, si è visto solo nel 1983, dall’altro il futuro dell’UE è stato messo in dubbio raramente.

La maggior parte dei cittadini dell’UE ritiene che adesso sia “molto probabile” o “abbastanza probabile” che il blocco si sgretoli nel giro di due decenni.

Ci sono segnali di populismo in tutta Europa. Questo mese, Germania, Francia, Italia, Italia, Polonia (e il Regno Unito che deve gestire la Brexit) possono eleggere il Parlamento Europeo più antieuropeista di sempre, probabilmente per via di un mix di timori sull’immigrazione, l’austerity, stallo della crescita dei salari e un mercato de lavoro precario. Ma anche la parte più estrema presenta una divisione tra chi è contrario all’esistenza stessa o all’espansione dell’Unione Europea e quelli che invece vogliono che sia l’organizzazione a fornire in qualche modo un maggior grado di protezionismo.

Euro-awareness

L’espansione diffusa del populismo, soprattutto quello di destra, e di quella che il Primo Ministro ungherese Viktor Orbán definisce “democrazia illiberale”, sta iniziando a incitare la nascita di una prima forma di consapevolezza politica pro-Europa, facendo comprendere quello che attualmente è in pericolo.

Le previsioni sui risultati del voto di questo mese stimano la creazione di un Parlamento Europeo composto da otto gruppi, suddivisi in tre scuole di pensiero. La prima fazione è composta da socialisti e eurodeputati verdi, la seconda è costituita dal Partito Popolare Europeo (una libera alleanza tra conservatori sociali che potrebbe ottenere un dominio ventennale solo in caso di un passo falso da parte del Parlamento Europeo), e infine i partiti antieuropeisti.

Secondo l’Eurobarometro, tre quinti degli elettori dell’UE ritengono che la politica populista rappresenti un fattore di preoccupazione. Anche se finora i partiti tradizionali rischiano di perdere terreno a favore dei populisti, questi non sono riusciti a coordinarsi all’interno di coalizioni in vista delle elezioni. Ironicamente, i nazionalisti sono impegnati a stringere relazioni internazionali ma non riescono a formare un fronte unito, includendo elementi di sinistra e di destra e con scarse possibilità di riuscire a trovare un filo conduttore comune, o di essere d’accordo su qualsiasi altra cosa che non sia il proprio euroscetticismo.

Mentre si dibatte ampiamente su cosa possa significare tutto questo, l’Unione Europea ha dovuto affrontare sfide significative negli ultimi anni e il risultato non è tale da modificarne drasticamente lo status quo. Rispetto all’attuale composizione del Parlamento Europeo, molto probabilmente vedremo un’assemblea un po’ più a destra, un po’ meno favorevole all’Unione Europea.

Coalizione spagnola, c’è di nuovo il problema del debito italiano

Le elezioni in Spagna tenutesi ad aprile sono state seguite attentamente perché potevano essere un primo assaggio di quello che ci aspetta in futuro. L’arrivo dell’estrema destra al Congresso ha catturato molta attenzione ma, a seguito delle elezioni, il Partito Socialista ha registrato un incremento delle preferenze. Il Primo Ministro ad interim del Partito Socialista Pedro Sánchez, pur non avendo ancora una maggioranza assoluta, ha avviato una lunga fase di negoziazione con Unidas Podemos, partito di sinistra. Questo fattore farebbe sì che il partito dipenda ancora dagli indipendentisti catalani per formare una coalizione.

Nel frattempo, il vice Primo Ministro italiano Matteo Salvini, la scorsa settimana ha sottolineato che il suo governo è pronto a non rispettare l’impegno preso dal Paese di limitare il deficit al 3% del PIL e ad aumentare il rapporto debito pubblico/PIL al 140% (rispetto all’attuale 132%). I commenti di Salvini hanno sottolineato la discordanza in seno alla coalizione di governo italiana e, in tutta risposta, lo spread tra i rendimenti decennali italiani i Bund tedeschi si è allargato, raggiungendo il picco massimo la scorsa settimana.

Gli intrusi

Tra i 751 deputati del Parlamento Europeo ce ne sono anche 46 per il Regno Unito. Fino a quando il Regno Unito non lascerà l’UE i deputati britannici eletti al Parlamento Europeo lavoreranno a Bruxelles e Strasburgo e ricevendo anche uno stipendio proveniente dall’UE. Nel frattempo, secondo i sondaggi, il Partito pro-Brexit – creato quest’anno e impegnato a sostenere un uscita del paese dall’UE senza un accordo o attraverso un’Hard Brexit – potrebbe registrare il 32% dei voti. Una volta che il Regno Unito avrà abbandonato l’UE i suoi seggi saranno assegnati ai paesi poco rappresentati, tra cui Francia, Spagna, Italia e Paesi Bassi.

Il problema è che il Parlamento britannico non riesce a trovare un accordo sul modello da adottare per le relazioni con l’UE dopo la Brexit. La probabile conseguenza, che si verificherà quasi sicuramente in occasione delle elezioni parlamentari europee nel Regno Unito, è che i partiti con una chiara posizione a favore o contro l’UE ne beneficeranno, a scapito del Governo e del Partito Laburista britannico, principale sostenitore dell’opzione più estrema, ovvero quella di raggiungere la Brexit a tutti i costi. Nonostante tutto il caos, la Brexit è almeno riuscita a fornire al resto dell’Unione Europea un esempio concreto delle difficoltà che insorgono quando si decide di abbandonare il blocco.

Come ha sottolineato la scorsa settimana il cancelliere tedesco Angela Merkel in un’intervista con Süddeutsche Zeitung, per far sì che il Regno Unito lasci l’Unione Europea “è necessaria che a Londra si raggiunga una maggioranza a favore o contro la Brexit”. In quello che probabilmente sarà un Parlamento Europeo più fragile dopo le elezioni di questo mese, questo potrebbe non essere un cattivo motto che la classe politica europea deve tenere a mente nei prossimi cinque anni.

Costruire, non criticare

A tutti i livelli dell’UE si sta svolgendo una versione del dibattito “riformare o eliminare”. Solo il populismo nelle sue varie forme ha rafforzato la necessità di riformare l’UE. Il portavoce autoproclamato dei riformatori è senza dubbio il Presidente francese Emmanuel Macron, i cui problemi interni con i manifestanti “gilet gialli” negli ultimi sei mesi hanno smorzato la sua richiesta di un “nuovo accordo” europeo per affrontare le sfide socioeconomiche del continente.

La Germania è in una fase di transizione: il cancelliere tedesco Angela Merkel passa il testimone al successore Annegret Kramp-Karrenbauer. La transizione potrebbe essere in fase di accelerazione, dato che, da come si vocifera, Kramp-Karrenbauer la scorsa settimana avrebbe invitato la Merkel a dimettersi prima della fine del mandato, fissata a settembre 2021.

“Ci troviamo di fronte a diverse correnti …. che vogliono distruggere l’Europa dei nostri valori, e dobbiamo affrontarle con decisione”, ha dichiarato la Merkel ai giornalisti il 18 maggio, dopo la pubblicazione di alcuni video che vedevano protagonisti il leader austriaco del Partito della Libertà di destra e vicecancelliere Heinz-Christian Strache che promettevano contratti pubblici in cambio dell’aiuto di un falso sponsor russo.

Il progetto politico europeo può sopravvivere e prosperare nel lungo periodo solo se i leader di oggi saranno in grado di articolare una visione comune e coerente sulle questioni che l’Europa deve affrontare, che vanno dalla sicurezza al cambiamento climatico, alla immigrazione o alla prosperità economica. Tutto ciò che è meno degno di attenzione all’interno dei pilastri alla base delle istituzioni europee più di sei decenni fa rischia di essere punito dagli elettori.


Stéphane Monier – Chief Investment Officer – Lombard Odier Private Bank