Recessione poco probabile nel 2019. Opportunità nelle utilities britanniche

Nick Langley -

Nonostante una breve pausa nella guerra commerciale (concordata dai presidenti Xi e Trump durante il G20 di fine giugno), ci aspettiamo che la tensione tra USA e Cina continui ad essere fonte di incertezza per i mercati.

Con la strabiliante crescita della Cina avvenuta negli ultimi decenni siamo arrivati ad una vera e propria bipolarità del sistema internazionale. E ciò è intrinsecamente più instabile di una realtà in cui gli Stati Uniti sono l’unica superpotenza globale.

Negli Stati Uniti, il mantenere una posizione dura nei confronti di Pechino è una delle poche idee condivise da entrambi gli schieramenti politici. Tanto i democratici quanto i repubblicani sono interessati ad assicurarsi il favore degli elettori della cosiddetta “Rust Belt”, particolarmente colpiti dalla delocalizzazione della produzione in paesi in cui il costo del lavoro è più basso. Allo stesso tempo è improbabile che Xi faccia concessioni significative. Il leader cinese ha riaffermato il primato del Partito Comunista nella società e nell’economia cinesi. Per questo motivo, le richieste di porre un freno al capitalismo di stato sembrano destinate a cadere nel vuoto.

È probabile che nei prossimi 6-12 mesi, le tensioni tra i due paesi continueranno a generare un clima di incertezza. A nostro parere, però, le probabilità che l’economia globale venga spinta verso una recessione sono piuttosto basse. Questo perché crediamo che il governo cinese porterà avanti politiche di stimolo durante tutta la seconda metà dell’anno, e allo stesso tempo le grandi banche centrali sembrano destinate a prendere una piega accomodante.

È importante sottolineare come l’economia cinese stesse rallentando già prima dell’inizio del conflitto commerciale. Pechino ha cercato di riequilibrare l’economia cinese, passando da attività alimentate dal debito come la costruzione di edifici, fabbriche e ponti, ad un approccio maggiormente focalizzato sui consumi domestici e i servizi. In virtù di ciò, le autorità cinesi sono state – finora – riluttanti a ripristinare gli stimoli, ne sono sembrate inclini a spingere le banche verso il prestare denaro alle imprese statali per favorirne lo sviluppo. Il rallentamento della seconda economia al mondo ha coinciso con l’inizio di una frenata anche del resto dell’economia globale, con una sola eccezione: gli Stati Uniti (o almeno così sembrava). Di recente ciò è stato rimesso in discussione, perché gli indici anticipatori del ciclo economico USA, come il PMI, hanno cominciato a indebolirsi.

Negli USA, nonostante la bassissima disoccupazione, non c’è traccia di inflazione. Un’economia globale in rallentamento, insieme alla guerra commerciale sino-americana, ha portato la Federal Reserve a passare dalla politica monetaria restrittiva dell’anno scorso a un orientamento accomodante. La BCE si è presto accodata. La guerra commerciale ha anche costretto Pechino ad ampliare il suo stimolo economico oltre a quello rivolto a favorire i consumi (come i tagli alle tasse) verso misure più tradizionali, come la spesa per le infrastrutture.

Questi due fattori, ovvero una politica monetaria accomodante e gli stimoli cinesi che cominciano a produrre effetti, scongiureranno – a nostro parere – una recessione. Dopo tutto, i consumi USA sono ancora in ottima salute. Con la disoccupazione ai minimi da decenni e la crescita dei salari che inizia a manifestarsi, il sentiment dei consumatori è ancora molto solido. Siamo quindi ancora in un contesto in cui riteniamo gli investitori dovrebbero restare pienamente investiti nel campo azionario.

Detto questo, considerato il contesto globale incerto la fase avanzata del ciclo economico, riteniamo anche che gli investitori debbano allocare almeno parte del loro portafoglio su titoli azionari più difensivi, come infrastrutture e utilities.

Anche se questo settore del mercato ha già registrato una crescita significativa fino a questo momento, continuiamo a individuare delle opportunità. Per esempio, crediamo che un’area in cui le aziende infrastrutturali appaiano sottovalutate sia quella delle utilities britanniche. La Brexit, insieme alle intenzioni di nazionalizzazione espresse dal Partito Laburista, ha portato a periodici sell off indiscriminati. Prendiamo National Grid: due terzi delle entrate dell’azienda vengono generate negli USA, nel settore delle utilities regolamentate. Nonostante ciò, il titolo continua a essere coinvolto nei sell off sul Regno Unito. Questo ci permette di comprare, a sconto, un titolo difensivo di qualità, con flussi di cassa forti, prevedibili e regolamentati. Per noi di RARE Infrastructure, individuare per gli investitori opportunità come questa rappresenta il cuore della nostra filosofia di investimento.


Nick Langley – Co-CEO – RARE Infrastructure (affiliata Legg Mason)