GAM: Elezioni USA, non perdere di vista gli obiettivi finanziari di lungo termine

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Per gli investitori, gli anni delle elezioni presidenziali americane sono sempre una sfida, gli analisti compulsano i programmi dei candidati, ne valutano i possibili effetti sull’economia e sui settori azionari, posizionano i portafogli di conseguenza.

L’appuntamento del prossimo novembre è particolarmente sfidante, un po’ perché Kamala Harris e Donald Trump hanno idee molto diverse sui rapporti con gli alleati, sulle politiche commerciali, sulle misure protezionistiche, un po’ per l’incertezza della corsa, Harris ha recuperato consensi rispetto a Biden ma l’esito finale è molto incerto.

La coerenza di Kamala Harris e di Donald Trump si giocherà sui conti pubblici e auguriamoci che faccia loro difetto: i programmi di spesa della prima e i tagli delle tasse promessi dal secondo mal si attagliano ai livelli record del deficit e del debito federale, sopra il 122% del Pil. Nel 2025 il costo del servizio del debito sarà attorno ai mille miliardi di dollari, gli uffici del Congresso hanno calcolato che, con l’attuale ritmo di crescita medio giornaliero, il debito aumenterà di altri mille miliardi di dollari nel giro di 158 giorni.

Se Harris e Trump saranno coerenti con il loro programma, la spesa pubblica non potrà che aumentare (via maggiori trasferimenti o via riduzione delle entrate fiscali) peggiorando lo stato dei conti, a farne le spese saranno la sostenibilità del debito e il valore del dollaro. La Federal Reserve si troverebbe alle prese con politiche fiscali espansive potenzialmente inflazionistiche e, con Trump, anche l’indipendenza della stessa banca centrale entrerebbe nel frullatore dell’incertezza.

Il valore della coerenza non deve invece fare difetto all’investitore che, mentre segue le notizie e l’attualità, tiene d’occhio la coerenza del portafoglio con i propri obiettivi finanziari. L’eccesso di notizie non aiuta le decisioni di investimento, sempre radicate nel lungo termine.

Le notizie politiche hanno sui mercati effetti di breve termine e, storicamente, le elezioni presidenziali e quelle di metà mandato (“mid term”) non hanno mai influenzato i mercati in modo significativo.

Sarebbe pertanto imprudente aggiustare il portafoglio in base ai sondaggi e ai settori favoriti rispettivamente da una amministrazione democratica o repubblicana: al netto di movimenti di corto respiro, i mercati continueranno a essere guidati dalle aspettative sugli utili e sulla crescita, dalle dinamiche dei prezzi e del mercato del lavoro, dai tassi d’interesse. L’alleato dell’investitore è il tempo, non il timing, l’investitore mantenga un tiepido interesse verso i possibili effetti che le elezioni potranno sortire sulle diverse classi di attivo, non perda di vista la coerenza tra il proprio portafoglio e gli obiettivi di lungo termine.

L’atterraggio morbido dell’economia americana, l’ipotesi ancora più accreditata, aiuterebbe la Fed a sottrarsi alle aspettative, fortissime, di un ciclo di riduzione dei tassi che potrebbe favorire il ritorno dell’inflazione e, soprattutto, a gestire politiche fiscali disinvolte. I titoli del Tesoro americano prezzano una brusca decelerazione, il rendimento reale del decennale è sceso dal 2,3% di fine aprile all’intorno di 1,6% di questi giorni. Ad oggi, l’economia americana continua a evitare le conseguenze dei tassi elevati, il tasso di disoccupazione è di 4,1%, in buona misura dovuto al rientro nel radar delle rilevazioni di persone che tornano a cercare lavoro.

Un quadro favorevole sul quale si allungano le ombre dell’imprevedibilità geopolitica: le guerre in Ucraina e le crescenti tensioni in Medio Oriente possono avere conseguenze sul prezzo del petrolio e sulle catene di approvvigionamento.

Anche le elezioni americane costituiscono un volano di volatilità, il presidente è sottoposto al controllo del Congresso quando si tratta di tasse e di bilancio ma ha le mani molto più libere in politica estera e nelle politiche commerciali.

Le sorti del dollaro dipenderanno da chi sarà il nuovo Presidente, Trump non fa mistero della sua preferenza per un dollaro debole e del desiderio di una Fed accomodante con la Casa Bianca, è altrettanto vero che un intervento a gamba tesa su Powell prima della scadenza del mandato avrebbe pesanti conseguenze ed è dunque poco probabile. Alla fin fine, annota John Authers di Bloomberg, è probabile che le politiche economiche annunciate da Trump rafforzerebbero il dollaro anziché indebolirlo.