Gli Stati Uniti innovano, l’Europa regola

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Gli Stati Uniti innovano, l’Europa regola. L’aforisma scherzoso contiene molta verità: le norme dell’Unione Europea su intelligenza artificiale e protezione dei dati pongono condizioni difficili per l’avvio o la scalata di aziende tecnologiche, il complesso mosaico delle leggi comunitarie frena il recupero del ritardo rispetto a Stati Uniti e Cina. Lo si legge anche nel Rapporto Draghi che, a proposito dell’innovazione tecnologica, parla di “inutili complessità e burocrazie per il settore privato” nell’Unione Europea. Dall’altra parte dell’Atlantico va in scena l’eccezionalismo americano, l’economia degli Stati Uniti sta dando prova di sorprendente resilienza, è stata una sorpresa per tutti vedere come l’economia americana si sia scrollata di dosso, quasi con un annoiato gesto della mano, un ciclo di rialzi dei tassi passati da zero a 5,5% in meno di due anni.

In novembre sono stati creati 227.000 nuovi posti di lavoro, è stata una delle ultime rilevazioni importanti prima della riunione della Federal Reserve del 17 e 18 dicembre. Non è un valore inflazionistico, ritengono molti osservatori, non modifica l’ipotesi di un’ultima riduzione dei tassi prima di “aspettare e vedere” l’evoluzione dell’economia sotto la nuova Amministrazione Trump. I prezzi dei Treasury condividono tale aspettativa, il rendimento è leggermente sceso sull’aumento della probabilità che questo mese la Fed proceda con il taglio (89% rispetto al 70% immediatamente prima della pubblicazione del dato sul lavoro e al 50% di dieci giorni fa).

L’eccezionalismo americano affonda le sue radici nell’impianto istituzionale e nel modello sociale, nella concorrenza, negli incentivi che orientano i comportamenti degli individui.

Un’occhiata alle società quotate restituisce plasticamente l’esito dei due modelli, quello europeo e quello americano. Le “Magnifiche 7” di Wall Street sono tutte società giovani, costituite negli ultimi decenni, in Europa non c’è una sola società con capitalizzazione superiore ai 100 miliardi di euro costituita negli ultimi cinquant’anni.

Se poi consideriamo le società europee a maggiore capitalizzazione, la più grande in assoluto capitalizza circa 520 miliardi di dollari, la più piccola delle Magnifiche 7 capitalizza circa 800 miliardi, la più grande è Apple, quasi sette volte più grande della più grande europea.

I numeri sembrano davvero confermare che gli Stati Uniti innovano, Europa regola e la Cina copia ma sempre meno, contende agli Stati Uniti il primato tecnologico, l’Europa resta buona terza e a grande distanza.

La chiave del successo americano è nell’aumento della produttività. Nel terzo trimestre l’output per ora lavorata negli Stati Uniti è stato superiore dell’8,9% rispetto ai livelli pre-pandemia di fine 2019, un incremento che lascia indietro, ben distanziati, gli altri paesi industrializzati.

L’eccezionalismo dell’economia americana continua a convincere gli investitori di tutto il mondo, i flussi continuano a riversarsi a Wall Street e sostengono i corsi. Le valutazioni, tirate per quasi tutti i parametri, incorporano principalmente prospettive positive diventando però vulnerabili ai cambiamenti di scenario. Con l’economia in buona salute, la fiducia di consumatori e imprese in costante aumento e la bassa disoccupazione, la Federal Reserve non avrà fretta a tagliare i tassi, potrebbe ripresentarsi un ambiente con tassi di interesse “higher for longer”. Gli accadimenti in Siria nel fine settimane ricordano agli investitori quanto possano essere repentini e violenti i cambiamenti negli assetti geopolitici globali, e gli esiti della nuova ondata di barriere commerciali potranno essere molteplici.

Tutto ciò non significa che il “folle volo” del listino a Wall Street sia prossimo all’esaurimento. L’eccezionalismo americano sta mantenendo l’economia in un credibile sentiero di crescita, gli utili delle società tecnologiche sono reali e i risparmi fiscali delle aziende, se verrà mantenuta la promessa del taglio delle tasse, libereranno risorse concrete.

Le prospettive del 2025 restano favorevoli alle azioni americane ma, detto questo, va ricordato che sulla volatilità del breve termine fa premio la fedeltà alle scelte allocative strategiche costruite su obiettivi di lungo termine, realizzate con ampia e congrua diversificazione.