Spot pubblicitari e junk food: la pubblicità influenza le scelte alimentari dei più giovani
Junk food: la pubblicità influenza le scelte alimentari dei più giovani
L’impatto della pubblicità di alimenti ad alto contenuto calorico – il cosiddetto junk food – sui consumi di bambini e adolescenti è sempre più documentato. Studi recenti mostrano che anche una breve esposizione agli spot, pari a cinque minuti, può indurre un aumento medio dell’apporto calorico giornaliero di circa 130 kcal, l’equivalente di due fette di pane. Questo effetto si verifica indipendentemente dal mezzo utilizzato – televisione, social, podcast o cartelloni pubblicitari – e si amplifica nei soggetti con indice di massa corporea più elevato.
Non solo gli spot che mostrano direttamente i prodotti, ma anche quelli limitati alla sola visualizzazione del brand si rivelano efficaci nel condizionare le scelte alimentari. La pubblicità agisce stimolando l’appetito e orientando il desiderio verso cibi ad alto contenuto di grassi, zuccheri e sale.
Una ricerca condotta su 240 ragazzi tra i 7 e i 15 anni ha evidenziato un incremento immediato del consumo di snack e porzioni durante i pasti successivi all’esposizione pubblicitaria. I dati confermano che tale impatto non è mitigato da fattori socioeconomici o culturali, e che il consumo cresce in misura proporzionale all’indice di massa corporea.

Una fascia demografica vulnerabile
L’età infantile e adolescenziale rappresenta una fase di particolare vulnerabilità. I giovani non dispongono ancora degli strumenti cognitivi necessari per decodificare e valutare criticamente i messaggi pubblicitari. Il cervello in via di sviluppo privilegia la gratificazione immediata, rendendo i bambini più suscettibili a scegliere cibi poco salutari dopo aver visto o ascoltato contenuti promozionali.
Inoltre, l’impatto è maggiore tra i bambini più piccoli e tra coloro che vivono in contesti familiari a basso reddito o con problemi di sovrappeso. La combinazione di questi fattori genera un circolo vizioso: maggiore esposizione alla pubblicità, maggiore consumo calorico, maggior rischio di obesità infantile.
Ripensare le politiche di regolazione
Alla luce di queste evidenze, appare evidente come le attuali politiche di regolazione del marketing alimentare non siano sufficienti a proteggere le fasce più giovani. In particolare, il fatto che anche i loghi e i brand – senza l’esplicita promozione del prodotto – abbiano un impatto sul comportamento alimentare suggerisce la necessità di rivedere e ampliare le normative esistenti.
Le autorità sanitarie e gli organismi regolatori sono chiamati a intervenire con misure più incisive, estendendo il divieto di pubblicità di junk food anche alle forme indirette e apparentemente innocue. Un approccio efficace dovrebbe includere tutti i canali di comunicazione frequentati dai minori, dai media tradizionali ai social network, fino alle piattaforme audio e ai contenuti in streaming.
In parallelo, è essenziale dotarsi di strumenti di monitoraggio per valutare l’efficacia delle misure adottate e garantire il rispetto delle regole da parte delle aziende. Solo un coordinamento multilivello – tra istituzioni, mondo accademico e industria – potrà contenere l’espansione di una strategia pubblicitaria che, se non regolata, rischia di aggravare ulteriormente il fenomeno dell’obesità infantile e i costi sanitari connessi.

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