Osservatorio AIPB. Donne al timone patrimoniale, ma non (ancora) all’avanguardia imprenditoriale

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Tra i progressi nel private banking l’imprenditoria femminile: i dati AIPB e lo sguardo internazionale

Negli ultimi anni, l’Osservatorio dell’Associazione Italiana Private Banking (AIPB) ha fornito dati che raccontano una storia duplice: da un lato, una crescita importante del ruolo femminile nella gestione patrimoniale privata; dall’altro, un ritardo nei vettori che trasformano il capitale in impresa. Le donne che guidano direttamente le scelte patrimoniali, afferma l’AIPB, sono passate dal 13 % al 26 % in un decennio, arrivando a detenere oltre il 30 % degli asset under management, cifre che corrispondono a circa 400 miliardi di euro, escludendo gli investimenti in co-proprietà.

Tuttavia, nella classificazione dei profili imprenditoriali, quel che emerge è una “forchetta stretta”: secondo le rilevazioni AIPB, solo il 10,4 % delle clienti donne Private può essere considerata imprenditrice. Un distacco che invita a riflettere su barriere culturali, strutturali e sulle politiche necessarie per facilitare la transizione da investitrici a “creatrici attive” di ricchezza.

In questo articolo approfondiamo le ragioni dietro questo divario secondo la visione di Antonella Massari e le connessioni con il dibattito internazionale sull’imprenditoria al femminile.

L’interpretazione di Antonella Massari: una “emergenza nazionale” da affrontare

Antonella Massari, Segretario Generale di AIPB, ha più volte richiamato la questione con toni urgenti. Nel suo intervento per We Wealth, traccia un identikit della clientela private femminile: le donne che operano con autonomia patrimoniale si concentrano soprattutto tra i 45 e i 64 anni, con una quota che nelle fasce 45-54 e 55-64 raggiunge rispettivamente 37 % e 29 %. We Wealth

Antonella Massari sottolineava  We Wealth come la difficoltà delle giovani donne ad accumulare un patrimonio autonomo emerga da condizioni di partenza sfavorevoli: la partecipazione femminile al lavoro rimane sotto la soglia del 50 %, e il numero di donne Ceo in Italia, circa il 20 % contro una media globale del 30%, lo conferma.

In altra sede (su FundsPeople), Antonella Massari definisce la disparità non solo un tema di equità, ma una mancanza strutturale per lo sviluppo economico: “La disparità di genere costituisca uno dei maggiori ostacoli allo sviluppo sostenibile e alla crescita economica.” 

E aggiunge: “Quel minuscolo ma significativo 0,3 % di donne ‘perle rare’, che il nostro osservatorio ha intercettato, conforta l’idea che il cambiamento non solo è necessario, ma è possibile.”

In un’intervista con Donne.it, Antonella Massari condivide come AIPB e CANDRIAM abbiano condotto studi volti a superare stereotipi di genere nella consulenza finanziaria: un approccio che includa formazione, consapevolezza e supporti strutturali.

Il richiamo alla responsabilità dell’industria private è esplicito: non può limitarsi ad osservare le tendenze, ma deve promuovere attivamente politiche e iniziative che riducano gli stereotipi, stimolino la formazione finanziaria delle donne e incentivino il loro ingresso nei ruoli decisionali.

Le barriere strutturali: cosa racchiude il divario imprenditoriale

Perché così poche donne private diventano imprenditrici attive, nonostante la capacità di gestire patrimoni rilevanti? Le ragioni sono molteplici e si intrecciano su più piani:
Accesso al capitale
A livello globale, numerose ricerche segnalano che le donne affrontano ostacoli più alti nell’ottenere finanziamenti, venture capital e condizioni bancarie favorevoli: una discriminazione implicita che riduce la propensione a lanciare nuove imprese.
Stereotipi di genere e cultura aziendale
I ruoli tradizionali, le aspettative sociali e i bias inconsci frenano l’ambizione imprenditoriale femminile, specialmente nei settori dominati da modelli maschili consolidati.
Networking e capitale relazionale
Le reti professionali (investitori, mentor, co-founder) sono spesso meno accessibili alle donne, il che limita la visibilità, la fiducia e le partnership strategiche.
Capacità percepite e formazione imprenditoriale
Alcune ricerche, per esempio nel contesto STEM, suggeriscono che il gap percepito nelle competenze imprenditoriali può deprimere l’intenzione di avviare un’impresa, anche quando le reali differenze sono ridotte o inesistenti.
Flessibilità, conciliazione e “time poverty”
Le responsabilità di cura e la distribuzione del carico familiare restano sbilanciate: molte donne potrebbero rinviare iniziative imprenditoriali per vincoli di orario, mutevolezza del tempo e mancanza di supporti integrativi. Inoltre, le misure pubbliche per l’imprenditoria femminile (fondi dedicati, incentivi, procedure semplificate) spesso restano marginali o poco visibili, mentre servirebbero politiche più strutturali e integrate. Questi gap strutturali fanno sì che molti patrimoni gestiti da donne restino “investiti” e non “impiegati” in nuove imprese.

Il panorama internazionale: cosa dicono le ricerche e la stampa global

Il tema dell’imprenditoria femminile è da anni al centro del dibattito globale. Alcune evidenze recenti aiutano a collocare il caso italiano in un contesto comparato.
Il Global Entrepreneurship Monitor (GEM) 2023/24 segnala che l’attività imprenditoriale femminile (startup e business consolidati) è cresciuta nei paesi partecipanti: le donne che avviano imprese sono passate da una media del 6,1 % (2001–2005) all’10,4 % nel periodo 2021–2023. Tuttavia, il divario con gli uomini persiste soprattutto nei paesi ad alto reddito. Il rapporto evidenzia che le donne guidano un terzo delle imprese ad alto potenziale (high-growth) e quasi il 40 % delle startup orientate all’export nei paesi considerati. In ambito accademico, l’articolo “Women entrepreneurs and innovation: Retrospect and prospects” (Mari et al., 2024) analizza come le imprese femminili tendano a enfatizzare l’innovazione sociale e sostenibile, con modelli di crescita spesso più inclusivi, ma al contempo con maggiori barriere iniziali alla crescita su larga scala.

A livello politico, l’OCSE ha programmato iniziative su misura per l’imprenditoria femminile: nel webinar “Women’s Entrepreneurship Policy” del gennaio 2024, si è posto in evidenza come le donne rappresentino i più ampi “imprenditori mancanti” nei paesi OCSE, e come le politiche pubbliche stiano evolvendo verso strumenti di formazione digitale, capitale rischio dedicato e semplificazioni burocratiche. Sul fronte macroeconomico, la World Bank ha recentemente annunciato la propria strategia gender 2024-2030, con obiettivi specifici tra cui l’estensione dell’accesso al capitale per 80 milioni di donne e imprese femminili — un segnale che il potenziamento dell’imprenditoria femminile è diventato tema di massa nei programmi globali.

La stampa internazionale rilancia la questione con dati concreti: un articolo su Business Insider del 2025 rileva che le imprese fondate da donne hanno rappresentato il 49 % di tutte le startup nel 2024, contro il 29 % del 2019, ma che il gap nei finanziamenti equity resta marcato (le aziende femminili ricevono il 75 % in meno di capitale rispetto ai colleghi maschili).

Come far crescere leadership imprenditoriali femminili

Alla luce di quanto emerge, quali leve possono favorire l’emersione di nuovi profili imprenditoriali femminili in Italia?
Programmi di formazione mirata e mentoring
Percorsi pratici — soprattutto in settori innovativi e tecnologici — che costruiscano competenze aziendali concrete e accompagnino le donne in fase di start-up.
Fondi e capitale dedicato
Veicoli di investimento “gender smart” con condizioni preferenziali per imprese guidate da donne, e incentivi fiscali per chi investe in tali imprese.
Reti e comunità di donna-imprenditrici
Creazione di network nazionali e locali che facilitino il matching con mentor, investitori, partner e know-how, rompendo l’isolamento relazionale.
Modelli flessibili e infrastrutture di supporto
Politiche di conciliazione reale (asili aziendali, orari flessibili, supporti di cura) che riducano il vincolo del “tempo sottratto” all’imprenditoria.
Politiche pubbliche integrate
Snellimento burocratico, bandi dedicati, capitale pubblico “seed” per startup femminili, obblighi di inclusione nei finanziamenti pubblici.
Promozione mediatica e cultura del ruolo
Dare visibilità a storie di successo, “role model” imprenditori donne, per cambiare l’immaginario culturale e ridurre stereotipi.

Il Private Banking, in questo contesto, può svolgere un ruolo chiave come incubatore finanziario e consulenziale per le donne che desiderano fare il salto da investitrici a imprenditrici, offrendo consulenza evoluta, strumenti di impresa e supporto ai progetti nascenti.