Ecco perché è ancora troppo presto per parlare di reflazione mondiale

Christopher Probyn -

Prosegue il dibattito in merito al fatto che i segnali di una crescita superiore alle aspettative al di fuori degli Stati Uniti possano portare ad un’effettiva reflazione globale.

Noi invece preferiamo adottare un atteggiamento più cauto. Il pacchetto di stimoli fiscali di Trump pone le basi per una possibile accelerazione delle maggiori economie del mondo. Tuttavia la reflazione a livello globale dipende principalmente dai mercati emergenti piuttosto che da quelli sviluppati, nonostante i timori legati al fatto che il neo presidente cinese Xi possa focalizzarsi sul debito piuttosto che sulla creazione di nuovi posti di lavoro. A dire il vero, è oramai da tempo riteniamo che l’accelerazione della crescita non sarebbe ottimale per Pechino, perché questa sarebbe possibile solo sacrificando la stabilità futura. L’opzione migliore sarebbe una decelerazione ben gestita, in linea con il calo del potenziale di crescita dell’economia e abbinata a riforme strutturali e modifiche regolamentari volte a garantire la sostenibilità di tale crescita.

Ovviamente, sarebbe positivo se queste misure fossero deliberatamente perseguite e non avvenissero in maniera forzata e disordinata. Inoltre, la mancata concretizzazione dei timori relativi alle possibili relazioni antagonistiche tra gli Stati Uniti e la Cina è rassicurante, anche se sembrano esagerate le recenti dichiarazioni del Segretario del Commercio Wilbur Ross secondo cui “i rapporti tra Stati Uniti e Cina sono ai massimi livelli, principalmente per quanto riguarda il commercio”. Ad ogni modo, i rapporti tra i due stati sono migliorati più del previsto, concedendo alla Cina il tempo necessario per implementare le riforme a un ritmo che non minacci la stabilità.

Per quanto riguarda gli altri mercati emergenti, invece, non è il miglioramento della crescita di per sé (per adesso minimo) che ci fa essere più positivi, ma piuttosto l’evidente sviluppo qualitativo delle politiche macroeconomiche. La nostra opinione piuttosto ottimista sulla Russia riflette in parte le attese di un incremento dei prezzi del greggio (nonostante la recente volatilità), ma anche la graduale ripresa della domanda interna al decrescere dell’inflazione e lo scenario di politica monetaria sono fattori a supporto della crescita. Non ci sono però segnali delle tanto auspicate riforme o misure orientate alla diversificazione. La Russia sembra quindi l’unico dei paesi BRIC dove la ripresa economica sembra essere molto ciclica e quindi più vulnerabile nel tempo.

Al contrario, la nuova legge sul diritto fallimentare e le recenti riforme agricole in India mostrano un forte potenziale per incrementare la produttività. Se da un lato la mossa per la demonetizzazione avrà delle conseguenze sulla crescita nel breve termine, dall’altro riuscirà a facilitare il raggiungimento degli obiettivi politici nel lungo termine, tra cui l’ampliamento della base imponibile, in vista dell’implementazione della nuova tassa GST (Goods and Services Tax).

Il Brasile ha realizzato nel primo trimestre dei progressi incoraggianti, prima che lo scandalo sulla corruzione del Presidente Temer mettesse a repentaglio sia le ambiziose riforme del Paese che i miglioramenti economici. Il governo ha compiuto notevoli passi in avanti nella gestione fiscale e, mentre le controverse riforme sulle pensioni verranno probabilmente diluite, le nuove misure fiscali rappresentano comunque il piano di riforme più completo degli ultimi dieci anni e un rilevante passo in avanti verso la sostenibilità fiscale a lungo termine.

Nell’ultimo anno e mezzo, l’economia brasiliana ha mostrato segnali di miglioramento. L’inflazione è passata da oltre il 10% di inizio 2016 al 4,1% di aprile, permettendo così alla Banca Centrale di tagliare nello stesso periodo i tassi di interesse, dal 14,5% all’11,25%. Inoltre, il PIL del primo trimestre di quest’anno è previsto in crescita, dopo otto trimestri consecutivi di calo.

Riassumendo, anche se effettivamente vediamo dei piccoli passi nella giusta direzione per l’economia mondiale, riteniamo che sia troppo presto per parlare apertamente di un trend di reflazione globale.


Christopher Probyn – Chief Economist – State Street Global Advisors