Per l’Ocse il nostro Paese è quello che ha per gli uomini l’età di uscita “effettiva” per pensionamento più bassa

Roberto Carli -

L’Ocse ha pubblicato il proprio rapporto annuale Pensions at a Glance 2017 che profila i tratti evolutivi dei diversi sistemi previdenziali con un approfondimento specifico sui singoli Paesi.

Per quel che riguarda l’Italia si sottolinea in primo luogo come si mantenga une spesa elevata per la protezione sociale pubblica elevata rispetto al Pil, il 32 per cento del Pil, la quarta quota più alta (la media è del 22 per cento del Pil) e per le pensioni circa il 16,3 per cento del Pil (14 per cento in termini netti), inferiore solo al 17,4 per cento della Grecia, pari a quasi il doppio della media Ocse (8,2 per cento) e in aumento di quasi il 21 per cento rispetto al 2000.

Per effetto delle riforme, l’incidenza nel tempo è destinata ad attenuarsi, scendendo al 15,3 per cento nel 2020 e al 13,8 per cento nel 2060, ma restando sopra la media Ocse.

Una spesa non molto efficiente sottolineano gli esperti perchè il tasso di contribuzione previdenziale, pari al 33 per cento, è il più alto dell’intera Ocse (media 18,4 per cento). Con riferimento alla vexata quaestio dell’ età pensionabile, nel 2016 si registra tra l’età di uscita per vecchiaia (66,7 anni) e quella media effettiva 4,4 anni di differenza, il divario più alto nell’area Ocse. Si esce quindi abbondantemente prima dei 63 anni.

In media nell’area Ocse il divario tra età legale ed effettiva di uscita per pensionamento è di 0,8 anni per gli uomini e di 0,2 anni per le donne. Nel futuro prossimo si verificherà un aumento dell’età di pensionamento in metà dei Paesi membri, con sistemi che la agganciano all’aspettativa di vita in 6 casi tra cui l’Italia (oltre a Danimarca, Finlandia, Olanda, Portogallo e Repubblica Slovacca). L’aumento dell’età pensionabile effettiva dovrebbe allora continuare a essere la priorità” dell’Italia al fine di garantire benefici adeguati senza minacciare la sostenibilità finanziaria.

In media, nei Paesi dell’Ocse, l’età normale della pensione passerà, secondo le attuali legislazioni, da 64,3 anni a 65,8 anni per gli uomini e da 63,4 anni a 65,5 anni per le donne. Per quel che riguarda i giovani viene considerato il case study di un 20enne che inizi a lavorare oggi. L’età di pensionamento stimata nel nostro Paese è di 71,2 anni dietro la Danimarca a 74 anni e prima dei 71 anni dell’Olanda.

La media dei Paesi industrializzati è stimata attorno ai 65,5 anni. Per quel che concerne il tasso di sostituzione, cioè la percentuale di stipendio medio accumulato nel corso di una vita lavorativa che va a formare la pensione, nei 35 Paesi Ocse è attualmente del 63 per cento, mentre il Italia sale al 93,2 per cento, contro un minimo del 29 per cento in Gran Bretagna e un massimo del 102 per cento in Turchia. L’Ocse rimarca poi la necessità di stimolare nei diversi Paesi una maggiore flessibilità d’impiego negli ultimi anni della vita lavorativa anche per prolungarne la durata, magari cumulando parte della pensione con un salario e un orario ridotto.

Attualmente solo il 10 per cento riesce a trovare una soluzione adeguata, e solo il 50 per cento di chi lavora dopo i 65 anni è riuscito a passare a un contratto part time..Con riferimento particolare al nostro Paese il ritiro graduale dal mercato del lavoro non è comune; meno di un terzo di coloro che hanno più di 64 anni svolge tale attività part-time contro circa la metà dell’Ocse. Inoltre, secondo l’Organizzazione parigina in Italia la flessibilità in uscita sarà molto richiesta a partire da circa .

Sull’Ape il giudizio è sostanzialmente positivo dirigendosi su una strada saggia, rappresentano una forma di finanziamento ponte che supera i vincoli di bilancio pubblico consentendo un ritiro anticipato ma anche il passaggio a forme di contratti diversi che possono essere cumulati, come il part time