La caduta del dollaro potrebbe accellerare la normalizazzione economica

Paul Ehrlichman -

Per la prima volta da oltre 25 anni un segretario del Tesoro americano ha fatto un passo indietro rispetto al promuovere pubblicamente un dollaro forte.

Nelle 48 ore successive il biglietto verde è rapidamente caduto del 2% circa, e contemporaneamente lo yen, l’euro e la sterlina sono saliti. Anche il rendimento dei bond USA è cresciuto più o meno del 2%, accelerando la sofferenza degli investitori cinesi ed europei sui Treasury a 10 anni. Il segretario Mnuchin potrebbe non esserne troppo contento: proprio ora deve cominciare a vendere quantità record di nuovo debito, e senza l’aiuto della Federal Reserve.

Ora il mondo sa che gli Stati Uniti desiderano un dollaro debole, e contemporaneamente l’amministrazione Trump sta lavorando a politiche per la crescita come il recente taglio fiscale e le politiche di spesa del deficit.

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Per noi, la questione chiave è: in che modo questa crescente consapevolezza riguardo le politiche monetarie può modificare la nostra idea che ci stiamo muovendo, nei prossimi anni, verso una “Grande Inversione”? Ci aspettiamo, infatti, che l’inflazione globale e la crescita nominale del PIL aumenteranno più di quanto ci si aspetta, il che porterà ad una normalizzazione dei tassi di interesse e della curva dei rendimenti. A causa di un allargamento geografico dell’espansione, la crescita dei profitti fuori dagli USA sarà relativamente forte e ci aspettiamo che le azioni continueranno a performare meglio dei bond. Questo porterà ad un cambiamento del comportamento dei prezzi delle asset class, che favorirà molti investimenti da lungo tempo in difficoltà, come i titoli ciclici e finanziari.

È chiaro, una escalation che – dall’appena annunciato dazio sulle lavatrici e sull’acciaio – giunga infine a una guerra commerciale più ampia sarebbe un duro colpo per la ripresa economica. Inoltre, un rapido cambiamento nelle valutazioni relative delle monete potrebbe suscitare reazioni destabilizzanti da parte delle banche centrali, e aumentare la volatilità azionaria ed obbligazionaria. Fino ad ora, la risposta dal resto del mondo è stata critica ma comunque misurata, con molte nazioni che continuano a sostenere l’apertura del mercato e si esprimono contro le svalutazioni concorrenziali.
Inoltre, è importante notare che il recente declino del dollaro USA è nato da una sua sopravvalutazione, e quindi riflette semplicemente il miglioramento della crescita economica fuori dagli USA. Né l’euro, né la sterlina o lo yen sono su valori economicamente dannosi.

Un dollaro in picchiata tenderà a far aumentare la crescita del PIL nominale globale, portando una maggiore inflazione sui beni denominati in dollari e un maggior potere d’acquisto dall’altra parte dell’oceano, in particolare per i mercati emergenti. La produzione negli USA diventerà più economica, il che potrebbe portare ad un miglioramento negli investimenti, maggior domanda dai consumatori esteri e maggiori importazioni di prodotti USA.

Questo avrà l’effetto di ridurre gli squilibri globali, e di creare un espansione economica più sostenibile. La richiesta, da parte degli investitori obbligazionari, di maggiori indennizzi per compensare l’inflazione in aumento renderà più ripida la curva dei rendimenti e potenzierà i profitti di creditori e compagnie assicurative.

Anche se il ritmo con cui il dollaro sta scendendo è preoccupante, l’effetto finora è quello di accelerare i positivi trend di riequilibrio che già erano in corso. Le frizioni commerciali in aumento e un salto improvviso dei tassi di interesse USA potrebbe avere effetti di disruption, ma ci aspettiamo che la Grande Inversione continui.


Paul Ehrlichman – Head of Global Value – ClearBridge Investments (Gruppo Legg Mason)