Rendimenti al rialzo, pronti per una pausa

Chris Iggo -

È sempre piuttosto interessante assistere al modo in cui i flussi di investimento reagiscono agli eventi di mercato.

I rendimenti obbligazionari sono saliti (dopo che molti lo avevano previsto), dunque i fondi obbligazionari hanno riportato performance negative accompagnate da abbondanti deflussi. Era da un po’ che non erano così convenienti.

Ma probabilmente aumenteranno col tempo poiché l’economia americana procede a tutto gas con l’introduzione dei nuovi stimoli fiscali. Nel breve termine gli investitori possono trovare interessanti opportunità nel reddito fisso. Il segmento “high yield” è tornato a essere effettivamente degno di questo nome, e anche le obbligazioni dei mercati emergenti stanno andando bene. La propensione al rischio sui mercati azionari favorirà le componenti del mercato obbligazionario a più alto beta. Ma le prospettive per i tassi rimangono un punto chiave.

Deflussi

È interessante notare, almeno sulla base dei segnali oggettivi, che gli investitori stanno ritirando il loro denaro dai fondi a reddito fisso a fronte del rialzo dei tassi e dei rendimenti negativi. I flussi tendono a seguire la performance. Pur non essendo del tutto logica, questa tendenza evidenzia che l’avversione al rischio è strettamente correlata alla volatilità. Quando i rendimenti obbligazionari erano molto bassi e stabili, non c’erano segnali che gli investitori stessero riducendo le loro esposizioni sul reddito fisso. Ora che la volatilità sta aumentando e i rendimenti stanno risalendo, riprendono i deflussi.
Non è ancora chiaro dove confluirà questo denaro, ma i flussi indicano che gli investitori, almeno sulla base del loro comportamento, si aspettano che la situazione peggiorerà prima di migliorare nel mondo delle obbligazioni. Nel momento in cui scrivo, il rendimento dei Treasury a 10 anni è al 3%. Si tratta del livello più alto dall’inizio del 2014 e rappresenta un aumento del rendimento di 160 punti base (p.b.) dai minimi di metà 2016. Lo stesso andamento, se non l’effettiva portata dell’oscillazione o il livello di rendimento, è emerso nei Bund tedeschi e nei Gilt britannici. Forse gli investitori si stanno liberando delle obbligazioni con un po’ di ritardo.

Valore

Tali deflussi dai fondi obbligazionari avvengono in un momento in cui c’è più valore sul mercato rispetto all’ultimo periodo. Il rendimento dei titoli di Stato, come abbiamo già sottolineato, è salito di oltre 50 p.b. negli Stati Uniti dall’inizio dell’anno (con un andamento simile per Gilt e Bund). Gli spread di credito delle obbligazioni societarie investment grade sono più o meno invariati da inizio anno, ma si sono ampliati nelle ultime due settimane in risposta all’intensificarsi della volatilità sul mercato azionario.
Dunque il rendimento delle obbligazioni investment grade negli Stati Uniti, in Europa e nel Regno Unito non ha subìto una variazione più ampia di quello dei titoli di Stato.
Tuttavia, nei mercati high yield abbiamo assistito a un deciso repricing, e oggi il mercato americano rende 100 p.b. in più rispetto a inizio gennaio. Per coloro che seguono da tempo il segmento high yield USA, il rendimento del benchmark è risalito oltre il 6% per la prima volta dalla fine del 2016. Le obbligazioni high yield europee non hanno riportato una variazione della stessa portata, ma il rendimento dell’indice è comunque risalito oltre il 3%. Dubito che questi rendimenti siano sufficienti ad attirare nuovamente gli investitori verso il reddito fisso, soprattutto considerato il regnante pessimismo e la previsione di un rialzo dei tassi mentre prosegue il processo di normalizzazione monetaria. In effetti, lo scenario del rischio oggi non riguarda una posizione “short” bensì “long”.
Gli investitori hanno accettato il rischio che la crescita globale potrebbe continuare a essere robusta, l’inflazione potrebbe alzarsi ancora, la Federal Reserve potrebbe non fermarsi sul 3% e il premio a termine potrebbe salire; dunque i tassi di interesse a più lungo termine dovranno offrire un potenziale di rendimento adeguato al rischio più elevato. Praticamente, se si manterrà lo spread attuale tra il rendimento decennale e il target della Fed di 140 p.b. e se la banca centrale americana alzerà i tassi di altri 100 p.b. quest’anno, allora assisteremo a rendimenti intorno al 4%.
Sì, la curva dei rendimenti probabilmente si appiattirà con la stretta monetaria da parte della Federal Reserve, ma questo dipende da ciò che accadrà sul fronte delle aspettative di crescita e inflazione, e dalla domanda sul mercato a fronte dell’incremento del debito pubblico. Coloro che hanno voluto mantenere una posizione al ribasso sul mercato negli ultimi anni, e hanno risentito del calo dei rendimenti, sono convinti che questa volta sarà diverso. In questo momento, sul mercato obbligazionario non c’è la mentalità di “comprare al ribasso”, bensì prevale più che altro quella di “vendere al rialzo”. La situazione può cambiare rapidamente, ma significa anche che c’è il rischio che i rendimenti salgano.

Copertura

Non è semplice, né particolarmente utile, prevedere quando i rendimenti obbligazionari raggiungono il livello massimo (o minimo). Tuttavia, vale la pena di considerare il valore delle obbligazioni nell’ambito di un’intera strategia di investimento, poiché i rendimenti sono molto più alti rispetto a un anno fa. Se gli investitori multiasset sono preoccupati per il recente aumento della volatilità sui mercati azionari, forse dovrebbero valutare il ruolo di copertura che possono avere le obbligazioni. Per esempio, nel Regno Unito, il rendimento dei Gilt trentennali è salito dall’1,7% di dicembre al 2,05% di oggi.
Il titolo di riferimento trentennale (1,5%, 2047) in questo momento ha un rendimento a scadenza del 2,04%.
Considerata la duration di 23,5 anni, un rally di 50 p.b. per questa obbligazione in risposta a un periodo di debolezza dell’azionario farebbe rivalutare il prezzo di quasi il 12%. In un anno significa un rendimento complessivo di oltre il 14%.
Il fatto che i rendimenti siano saliti forse rende più probabile che possano scendere ancora in una fase di stress del mercato.

Federal Reserve

È veramente un mercato macro. Quando ho iniziato a lavorare in questo settore, la Federal Reserve aveva un ruolo importante nella definizione delle aspettative del mercato. All’epoca (a metà degli anni ‘80) non si parlava di forward guidance né della pubblicazione dei verbali. Gli operatori del mercato dovevano tentare di decifrare l’orientamento della Federal Reserve analizzando le operazioni quotidiane sul mercato aperto per cercare di capire se stava cercando di far alzare o abbassare i tassi di interesse. Ma siamo tornati al punto di partenza: cosa farà la Federal Reserve durante il prossimo anno è importante per definire le future dinamiche dei rendimenti. Gli ultimi dati economici in genere hanno spinto al rialzo le stime su tassi di interesse, crescita e inflazione.
Eppure la recente volatilità del mercato implica che c’è più incertezza rispetto al livello su cui si attesteranno i prezzi.
Se il rendimento a 10 anni negli Stati Uniti si attesterà sul 4% o sul 2% entro fine anno dipenderà dalla rapidità con cui la Federal Reserve alzerà i tassi, da cosa accadrà sul fronte del ridimensionamento della sua situazione patrimoniale e del debito pubblico nonché dalle dinamiche inflazionistiche.
Sembra ci sia consenso sul fatto che la banca centrale americana alzerà i tassi di 100 p.b. quest’anno e che la curva dei rendimenti si appiattirà; eppure i rendimenti decennali si attesteranno più vicino al 3,5% che al 3,0%.
E questo senza formulare stime economiche particolarmente azzardate. Se la crescita risale al 3,0% dopo un 1° trimestre sotto tono e l’inflazione core supera il 2,5%, allora ci troveremo in una situazione in cui il mercato può aspettarsi più rialzi dei tassi da parte della Fed nel 2019, con un rendimento obbligazionario vicino al 4%. Dunque, per quel che vale, la mia previsione a breve termine è che i rendimenti potrebbero scendere un po’ prima di un intervento di tale portata, ma poi alla fine saliranno.

Il problema Brexit

Per un po’ ho cercato di evitare di parlare del Regno Unito. Perché tutto ruota attorno alla Brexit. Anche se la vita di tutti i giorni non è cambiata molto, si parla ancora tanto della questione. Giornali, notiziari televisivi e talk show radiofonici diffondono opinioni radicalmente opposte sull’unione doganale, sull’immigrazione, sui diritti dei cittadini europei e sul periodo di transizione. La Brexit sta accadendo, ma nessuno sa esattamente cosa comporterà. La Bank of England non può fare una prognosi sull’economia senza subire la critica di essere troppo “politica”. Politici e commentatori reagiscono male alla pubblicazione dei risultati di modelli economici che illustrano l’impatto della Brexit.
Tutti dovrebbero sapere che probabilmente hanno lo stesso grado di precisione, ovvero di imprecisione, di ogni altro modello economico. Le aziende internazionali non vogliono lasciare il Regno Unito, ma non hanno idea di come prepararsi ai futuri accordi commerciali. E sul fronte degli investimenti, chi sa cosa significa tutto ciò? Ciò di cui siamo sicuri è che la Bank of England probabilmente non interverrà abbastanza sui tassi di interesse da produrre sul mercato dei Gilt lo stesso effetto che sta avendo la situazione globale. I rendimenti dei Gilt sono saliti dall’inizio dell’anno, ma in questo la Brexit non c’entra. Dipende quasi interamente dal rafforzamento delle prospettive di crescita globale e dai segnali di inflazione negli Stati Uniti.
Dunque il modo migliore per operare sul mercato britannico è di ignorare la Brexit per il momento. I tassi stanno salendo un po’, i rendimenti obbligazionari dipendono da ciò che accadrà negli Stati Uniti e per ora l’economia e le imprese se la stanno cavando bene. Non guardate i dibattiti televisivi e non leggete i giornali.

Nel mondo

Il reddito fisso nei mercati emergenti ha registrato un incremento di volatilità così come gli altri settori. Resto però un sostenitore di questa asset class per via del livello generalmente più elevato dei rendimenti disponibili, delle opportunità di diversificazione tra Paesi e regioni, settori ed emittenti, oltre che del miglioramento della situazione macroeconomica e politica in buona parte dei mercati emergenti. Gli spread sul dollaro sono più ampi di quasi 10 p.b. da inizio anno, e solo di 30 p.b. rispetto ai minimi di fine gennaio. Il fatto che il dollaro resti abbastanza debole mentre i prezzi delle materie prime siano alti favorisce i mercati emergenti, così come le dinamiche tendenzialmente positive degli scambi commerciali globali.
Il repricing del mercato obbligazionario crea qualche buona opportunità.
Un mercato che ha beneficiato delle notizie positive è il Sud Africa con le dimissioni di Jacob Zuma.
Sia il rand sudafricano che il mercato obbligazionario locale si sono rafforzati nelle ultime settimane in previsione delle dimissioni di Zuma e in vista di uno scenario politico più costruttivo nel Paese. Per quanto concerne il dollaro, le obbligazioni decennali rendono più del 5%, quasi 50 p.b. in più rispetto ai recenti minimi. Mentre tutte le obbligazioni dei mercati emergenti in dollari sono soggette al rischio di duration derivante dall’aumento dei rendimenti sul mercato dei Treasury USA, gli spread si sono ampliati e questo offre qualche opportunità interessante, soprattutto se i rendimenti dei Treasury sono sui massimi per il momento.

Boom

Per le economie sviluppate ed emergenti, le prospettive di crescita restano piuttosto positive per quest’anno. Molti economisti hanno rivisto al rialzo le loro stime sul Pil USA sulla scorta del recente accordo sui fondi federali. L’amministrazione Trump vuole incrementare anche la spesa per infrastrutture, finanziandola in parte attraverso un aumento delle imposte sulla benzina. È iniziata la reflazione di Trump.
È opinione condivisa che Jay Powell, come nuovo presidente della Federal Reserve, rappresenti la continuità rispetto al mandato di Janet Yellen, ma si tratta di una posizione pericolosa. La Yellen ha cercato per anni di capire perché l’inflazione fosse così lenta e per questo motivo ha dovuto mantenere i tassi di interesse bassi e la politica accomodante. Ora l’inflazione sta salendo (l’indice dei prezzi al consumo a gennaio è salito dello 0,5% su base mensile e del 2,1% su base annua), mentre i tassi reali sono ancora molto bassi. Powell alla fine potrebbe trovarsi costretto ad alzare i tassi di interesse più di quanto previsto con la Yellen, qualora l’economia americana, trainata dalla politica fiscale, iniziasse a surriscaldarsi. I mercati potrebbero fermarsi un attimo a prendere fiato, ma secondo me i rendimenti obbligazionari saliranno ancora nel corso del prossimo anno circa.


Chris Iggo – CIO Obbligazionario – AXA Investment Managers