il caso Italia dimostra che il mercato è più forte delle banche centrali

Maurizio Novelli -

Il profilo di rischio del sistema finanziario è ai massimi: il 45% dei bond in circolazione sono high yield

La pressione sui bond dell’Italia è avvenuta nonostante la Bce sia ancora impegnata nel quantitative easing e dimostra che il mercato è molto più forte delle banche centrali se decide di prendere una direzione. Le pesanti cadute sui Btp e il rischio di contagio ad altri segmenti del credito dimostrano che siamo vulnerabili come non mai a potenziali riduzioni della propensione al rischio e l’impatto sui tassi sfugge totalmente al controllo delle banche centrali.

La grande liquidità che circola nel sistema finanziario dipende prevalentemente dalla propensione al rischio degli investitori e, in caso di difficoltà, si dissolve rapidamente. L’industria della finanza ha bisogno di convincere gli investitori che la propensione al rischio deve rimanere alta perché il mondo è pieno di opportunità. Il profilo di rischio del sistema finanziario non è però mai stato così alto nella storia, dato che il 45% di tutti i bond in circolazione nel mondo sono high yield. Questa percentuale di credito speculativo è la fotografia di un sistema che ha spinto eccessivamente nella ricerca del rendimento a tutti i costi e ora non ha nessuna possibilità di modificare il suo profilo di rischio senza procurare un credit crunch e una recessione. Questa situazione evidenzia una cosa molto importante: i margini di manovra delle politiche monetarie sono limitati e gli spazi di intervento in caso di crisi si sono ridotti.

L’economia internazionale continua intanto a rallentare dal suo picco ciclico di fine 2017 e gli Stati Uniti rimangono, per ora, la sola economia occidentale che cresce sopra il suo potenziale. Ovviamente questa situazione diventa sempre meno sostenibile perché richiede che l’America continui nell’espansione del debito e nell’accumulo di un deficit commerciale che l’amministrazione Trump vorrebbe invece ridurre. Chiedere alla Cina di ridurre il surplus commerciale di 200 miliardi di dollari è un’operazione quasi impossibile senza una restrizione del commercio mondiale. Il problema del deficit Usa non può essere risolto in questo modo e i rischi di dazi commerciali tra Stati Uniti e Cina rimangono molto alti.

Gli Stati Uniti rimangono il principale elemento di instabilità globale. La forza dell’economia americana non è sostenibile perché dipende eccessivamente dal debito finanziato da risparmio di Asia e Europa, proprio quelle aree dove l’amministrazione Trump vede una minaccia per il benessere perduto della classe media americana. Per uscire dal grande pasticcio finanziario del 2008 non sono stati fatti investimenti reali ma si è solo rimesso la finanza al centro del meccanismo di crescita, grazie all’intervento delle banche centrali che hanno indotto i privati risparmiatori a cercare rendimenti su strumenti finanziari che le banche non potevano più acquistare. Oggi i fondi d’investimento sottoscrivono le cartolarizzazioni, acquistano i leverage loans e forniscono il 35% del credito all’economia, in una caccia al rendimento senza precedenti. Ma questo modello di crescita, che forse è l’unico che l’America conosce, è diventato sempre più vulnerabile e conferma la totale mancanza di lucidità di un sistema che ormai vede nel leverage la fonte di sostentamento.

La politica fiscale introdotta dall’amministrazione Trump è l’ulteriore conferma di un desiderio di insistere in politiche mirate a sostenere una crescita non sostenibile. Il miraggio del Pil al 3% è stato toccato solo in alcuni trimestri dal 2009 a oggi, ma il Pil tendenziale rimane ancorato nell’area 1,8%-2,2% da sette anni, nonostante una forte spinta sul debito (+55% rispetto al picco del 2007). Intervenire con uno stimolo fiscale quando l’economia cresce, aumentando l’indebitamento pubblico a oltre il 100% del Pil, riduce lo spazio per interventi successivi quando l’economia richiederà misure ulteriori per crescere. In questo momento abbiamo i tassi Usa all’1,75% e il debito pubblico e privato nel sistema al 400% del Pil, i margini di manovra in caso di difficoltà sono limitati sia per la politica monetaria che per la politica fiscale, in concomitanza con una propensione al rischio degli investitori particolarmente elevata per ottenere rendimenti modesti.


Maurizio Novelli – gestore del Lemanik Global Strategy Fund – Lemanik