Le previsioni dei mercati finanziari 2019: nessuno sa nulla

Luca Berlanda -

Come reagire al fatto che, durante l’anno appena trascorso, dopo che il mercato azionario prevedeva un boom mentre il mercato obbligazionario prevedeva una recessione, i due mercati si sono invertiti, contraddicendosi l’un l’altro?

O al fatto che i trader di petrolio meglio informati del mondo credevano che una contrazione dell’offerta globale avrebbe fatto impennare i prezzi sopra i 100$ al barile subito prima che un eccesso di offerta li schiacciasse sotto i 50 dollari? Verrebbe naturale sospettare che, di fatto, nessuno sappia nulla. Chi opera sui mercati si può spesso trovare spaesato, in balia degli eventi, e pensare che nemmeno studiare l’ultimo Market Outlook possa servire a qualcosa di certo non è incoraggiante. Riconoscere che nemmeno chi ne sa non ne sa può lasciare atterriti. Il primo passo è ammetterlo.

Ma non bisogna disperare: una volta ammesso, la strada è tutta in discesa e si può riiniziare a pensare alle previsioni economiche in maniera meno tranchant. La domanda che è necessario porsi è se e in quale misura le variabili economiche possano essere oggetto di previsione. I sistemi economici sono sistemi complessi: sono quindi composti da una miriade di parti che interagiscono tra loro. Analizzare il comportamento di queste parti separatamente dice poco sul comportamento del sistema nel suo complesso; l’interazione delle componenti dà al sistema delle caratteristiche (dette emergenti) totalmente nuove. Può dunque essere quasi inutile analizzare il tasso di disoccupazione o l’andamento dei profitti per predire come si muoveranno i mercati, specialmente nel breve-medio periodo.

Nel lungo periodo, il discorso si fa un po’ diverso. Benjamin Graham sostiene che il mercato sia un televoto (voting machine) nel breve periodo (vince il più popolare) ma una bilancia (weighting machine) nel lungo periodo (vince chi ha più “sostanza”). Il mercato può essere nervoso su orizzonti molto brevi, ma a lungo andare, fatta salva l’incertezza di fondo, le isterie temporanee si elidono e i fondamentali lavorano come “attrattori”.

A rendere il tutto più difficile però, nei sistemi economico-finanziari si aggiunge un altro ordine di complessità, ossia quello attraverso il quale le previsioni influiscono sul comportamento del sistema (attraverso i così detti “feedback loop”), dando vita a fenomeni come le profezie auto-avverantesi e causando delle distribuzioni dei rendimenti degli strumenti finanziari meno trattabili, come quelle a “coda spessa”.

In questo contesto, misure comuni come la media e la deviazione standard hanno molto meno senso di quello che comunemente hanno in campi più “scientifici”. Come già riconosceva Hayek, gli studiosi della “scienza triste”, nel tentativo di dare alle loro analisi una veste di scientificità, hanno sradicato teorie e modelli dai loro campi di provenienza (specialmente dalla fisica) e li hanno applicati in maniera meccanica e acritica all’economia. Questo rende la maggior parte delle analisi economiche eleganti su carta ma totalmente inadeguate.

Da qualche anno, sospinti anche dalla crisi del 2008, ci sono stati vari tentativi di riportare rigore all’interno dell’economia. Nuove branche si stanno sviluppando; branche che afferiscono alla Teoria delle Reti o la Teoria della Complessità, per citarne un paio. Ad onor del vero, anche la maggior parte di questi nuovi approcci sono stati mutuati da altri campi; ma una reputazione scricchiolante e la voglia di non cedere il passo a cechi rigurgiti anti-esperti dovrebbero aver aiutato a rispolverare un principio negletto per chi fa previsioni in campo economico-finanziario: quello dell’accountability.

Più che previsioni, queste teorie forniscono descrizioni olistiche, o di alto livello, delle variabili economiche, riconoscendone implicitamente la natura complessa. Ma meglio sapere poco, piuttosto che non sapere nulla.


Luca Berlanda – Portfolio Manager – Euclidea