È tempo che l’oro luccichi?

Joachim Corbach -

Nei circoli finanziari, l’oro viene chiamato con il termine colloquiale e sminuente di “metallo giallo”. Ma l’oro è molto più di una semplice commodity: è l’epitome del metallo prezioso. Dalla sua scoperta, durante il periodo neolitico circa 12.000 anni fa, su scala globale sono state estratte solamente 190.000 tonnellate d’oro.

Grazie alle sue caratteristiche intrinseche (durata, brillantezza, malleabilità e scarsità), l’oro è uno dei mezzi di scambio più antichi. Nel corso della storia, le riserve di oro sono state utilizzate a garanzia della valuta, sia sotto forma di monete che di carta e, anche se lo standard aureo è stato abbandonato ovunque, i governi conservano ancora notevoli riserve di oro. Di conseguenza, gli interventi delle banche centrali continuano a influenzare il prezzo di questo metallo e le relative aspettative.

Recentemente, le dichiarazioni del vice primo ministro italiano Matteo Salvini (che è anche presidente della Lega Nord e uno dei politici più controversi del Paese) hanno provocato grande eccitazione sul mercato dell’oro. Salvini ha invitato la banca centrale italiana a vendere le sue riserve auree per finanziare la spesa fiscale prevista. Le riserve auree della Banca d’Italia (circa 2.400 tonnellate) sono al terzo posto al mondo, dopo quelle della Federal Reserve negli Stati Uniti e della Bundesbank in Germania. Indubbiamente la vendita di un volume di lingotti di questo tipo eserciterebbe un impatto consistente sul prezzo dell’oro.

Tuttavia, l’equivalente di cassa (circa 93 miliardi di euro) costituisce solamente il 4% circa del debito nazionale dell’Italia. Chiaramente, il problema del debito del Paese non verrebbe risolto dalla vendita dell’oro da parte della Banca d’Italia. Al contrario, secondo il nostro punto di vista, questa decisione potrebbe causare maggiori problemi. L’Articolo 30 del Trattato dell’Unione Europea stabilisce in modo inequivocabile l’indipendenza delle banche centrali nazionali e impedisce ogni forma di finanziamento dello stato. Salvini ha dimostrato ripetutamente negli ultimi mesi che il ritiro dell’Italia dall’UE per lui non rappresenta un’opzione praticabile. Le sue dichiarazioni in merito alla vendita di oro da parte della Banca d’Italia, secondo noi, possono quindi essere tranquillamente ignorate dagli operatori del mercato.

Infatti, le banche centrali di tutto il mondo sono state grandi acquirenti netti di oro durante l’anno solare 2018, incrementando le loro riserve di circa 650 tonnellate (con un aumento del 74% rispetto al 2017), cosa che le ha rese responsabili del 15% circa della domanda complessiva. Sono cifre al secondo posto nella classifica degli acquisti effettuati in un solo anno solare, superate solamente nel 1967 quando il dollaro USA era ancorato al lingotto. Oggi si stima che le banche centrali possiedano, complessivamente, circa 34.000 tonnellate di riserve di oro. Questo dato sembra destinato a salire ancora alla luce delle forti tensioni geopolitiche (l’oro spesso viene considerato l’ultimo “porto sicuro”) e del rafforzamento delle valute dei mercati emergenti (che richiedono meno supporto da parte delle banche centrali).

Un anno migliore rispetto al 2018?

Naturalmente, se consideriamo che le banche centrali sono state acquirenti particolarmente attive di oro nel corso del 2018, ci si domanda per quale motivo il prezzo dell’oro sia di fatto sceso leggermente durante l’anno solare. La risposta a questa domanda non solo chiarisce questa apparente anomalia ma illustra anche le prospettive future. La politica monetaria attuata dalle principali banche centrali al mondo in genere è persino più importante per la performance dell’oro che la gestione delle riserve auree.

Inoltre, c’è un rapporto speciale tra l’oro e il dollaro USA. Pertanto, la posizione della Federal Reserve risulta particolarmente pertinente, dato che il prezzo dell’oro (e di altre materie prime) viene espresso in dollari. Quando il valore del dollaro aumenta rispetto ad altre valute globali, l’oro diventa più costoso (non in dollari) e questo naturalmente limita la domanda. Analogamente è importante tenere presente che l’oro è come una “moneta” a rendimento zero. Questo significa che c’è un costo di opportunità correlato al possesso di lingotti in uno scenario caratterizzato da tassi al rialzo. Nel 2018 la Federal Reserve ha alzato i tassi di interesse quattro volte e operato un’ulteriore stretta monetaria riducendo tra l’altro le dimensioni della sua situazione patrimoniale. Queste decisioni sono state considerate come il tentativo di anticipare un previsto aumento dell’inflazione, ovvero la previsione che i tassi di interesse reali sarebbero inevitabilmente saliti nel breve termine.

Le aspettative riviste sui tassi di interesse reali e sull’andamento del dollaro hanno fatto salire il prezzo dell’oro quest’anno e tale rialzo potrebbe essere ulteriormente alimentato dalla domanda da parte delle banche centrali e di altri investitori alla ricerca di “porti sicuri”. In tale contesto crediamo che valga la pena di ricordare che l’oro (come le materie prime in generale) è un bene reale che può offrire una fonte di diversificazione eccellente e una protezione contro le perdite per i portafogli di investimento tradizionali.


Joachim Corbach – responsabile valute e materie prime – GAM