Tra autenticità e conservazione

Cristina Resti -

Dalle avanguardie artistiche in poi, l’arte ha cercato di liberarsi dai vincoli imposti dai materiali tradizionali (tela, cornice e colori a olio, marmo, pietra e carta), per esplorare nuovi mezzi di produzione e incorporare il mondo contemporaneo nell’opera stessa.

Sempre più spesso in tali opere sono realizzate con materiali diversi, compresi alcuni materiali di scarto quotidiano, creando così significati inediti e nuovi valori estetici. Inevitabilmente, però, questa “liberazione” ha un prezzo — e il più delle volte è il collezionista che paga il conto.

Per sua natura, l’arte creata con gli oggetti e i materiali contemporanei è fragile, suscettibile d’invecchiare prematuramente e deteriorarsi e, quindi, di diventare un esempio fugace di un’età e di una cultura “usa e getta”. I materiali sintetici moderni sono spesso instabili e di bassa qualità, e vengono usati in maniera sperimentale, senza riflettere su quanto potrebbero deteriorarsi con il passare del tempo. Molte opere sono nate dal desiderio dell’artista di vedere i materiali quotidiani sotto una nuova luce, senza considerare come potrebbero degradarsi. I prodotti usati non sono stati inventati per scopi artistici e non sono mai stati usati con questo fine, per cui può anche capitare che a un certo punto la loro produzione venga interrotta e non siano più disponibili. Data la loro intrinseca fragilità, qualsiasi cambiamento — come il trasporto per una mostra o lo spostamento in altri ambienti — potrebbe rivelarsi fatale. Oppure, con il passare del tempo, potrebbero comunque cadere a pezzi.

Per il collezionista d’arte contemporanea, le prospettive di longevità non sono poi così incoraggianti. È ovvio che le opere contemporanee non invecchiano come le opere d’arte tradizionale, eppure al tempo stesso non possono essere mantenute in buono stato per sempre. Quindi, in ogni caso di danno o di degrado, è compito del mercato emettere dei giudizi su come preservare sia la condizione che l’integrità: in definitiva è necessaria un’analisi di ciò che costituisce l’autenticità di un’opera, sulla quale non è possibile applicare le tecniche di restauro tradizionali.

È un ambito molto complesso, perché per sua natura l’arte contemporanea rompe gli schemi e pone continuamente nuovi interrogativi. Se un’opera contemporanea subisce un danno “importante”, vengono inevitabilmente coinvolti i principali protagonisti del mondo dell’arte: collezionisti, restauratori, galleristi, case d’asta, musei, assicuratore e, infine, la fondazione o l’archivio di riferimento dell’artista.

Fino a poco tempo fa, l’importanza degli archivi per la conservazione è stata poco considerata: il loro ruolo è stato principalmente quello di fornire ai ricercatori una prova di autenticità e di proteggere il diritto morale degli artisti, salvaguardando il patrimonio e l’integrità del loro lavoro. Ora che l’idea d’integrità si sta estendendo anche ai materiali usati in qualsiasi operazione di restauro, l’archivio comincia ad avere una maggiore voce in capitolo.

Naturalmente, in qualsiasi caso di danno, spetta in ultima analisi al restauratore decidere le opportune modalità tecniche e metodologiche d’intervento, soprattutto quando l’autenticità di un’opera può essere irrimediabilmente compromessa da qualsiasi tentativo d’intervento. Quando però si tratta di sostituire alcuni elementi (talvolta anche con materiali non originali), di decidere il livello appropriato di pulizia o di determinare il giusto obiettivo estetico, è l’archivio — o l’artista, se ancora in vita, — ad avere l’ultima parola.

Sempre più persone del settore pensano che gli archivi dovrebbero diventare depositi di dati relativi a materiali e tecniche. In questo modo potrebbero fornire direttamente ai restauratori un background d’informazioni e orientamenti tecnici, scientifici e metodologici aggiornati, a seconda delle necessità. Non solo: potrebbero anche fungere da base di conoscenze a lungo termine, creando nel tempo documenti di conservazione e fornendo agli studiosi un insieme d’informazioni sulla storia dei danni, sugli interventi di restauro e conservazione, sui materiali e sulle tecniche di esecuzione. Con un approccio proattivo, questo tipo di dati consentirebbe a sua volta agli archivi di confrontarsi con collezionisti e restauratori, nel rispetto della visione originale dell’artista e del concetto d’integrità. Così, se la vostra preziosa installazione appena acquistata inizia improvvisamente a smontarsi, non dovrete più affrontare da soli il problema: l’archivio-database mette a vostra disposizione un patrimonio di esperienze.

I nuovi materiali, che vengono usati in maniera sperimentale, possono diventare fragili con il passare del tempo — una condizione che può derivare anche dalla manipolazione o dal trasporto, soprattutto se vengono trasferiti in contesti e microclimi diversi. Spesso gli archivi consentono interventi minimi volti ad arrestare il degrado e la modifica dei materiali costitutivi, se ciò può favorire l’integrità nel lungo periodo.

Inevitabilmente, questa tecnica non funziona però in tutti i casi: a volte il degrado è intrinseco all’opera stessa. Prendendo ad esempio le sculture in gomma uretanica di Loris Cecchini, l’artista ha giocato con le qualità intrinseche dei polimeri termoindurenti e pertanto un certo grado di deformità, variazione di forma e “incoerenza” fa parte dell’opera. Questo discorso è valido, però, soltanto fino a quando il materiale non inizia a degradarsi al di là dell’intenzione originaria dell’artista. Nel caso di Cecchini, le sue sculture stanno perdendo le loro caratteristiche fisiche e meccaniche. La gomma è diventata appiccicosa, si deforma e s’incrina. Cecchini ha quindi scelto di continuare la produzione con una mescola di gomma molto più stabile, che invecchia meglio. Per quel che riguarda le opere già esistenti, un restauratore è stato incaricato di rallentare il degrado e di salvare l’integrità del materiale, in linea con il concetto artistico originale. In questo caso spetta all’archivio verificare che l’intervento non sia di manipolazione, ma di manutenzione, e al tempo stesso coerente con l’intenzione originaria dell’artista.

Dal punto di vista del collezionista gli artisti contemporanei possono, a volte, rappresentare una scommessa impossibile. La maggior parte, per loro natura, privilegia la creatività e la sperimentazione rispetto alle riflessioni sulla durata dell’opera, prerogativa difficilmente compatibile con le richieste del mercato. E sebbene non siano molto inclini a tenere a mente la longevità nella creazione artistica, la maggior parte degli artisti, una volta avvisati, diranno con insistenza che qualsiasi intervento è fedele alla loro idea originale. A essere onesti, alcuni addirittura forniscono in anticipo le istruzioni per la manutenzione o giustificano il processo di decadimento come una parte integrante dell’arte stessa. L’artista Valerio Berruti, a ogni vendita delle sue sculture “Genesis” in cemento armato rilascia una dichiarazione in cui si afferma che le opere possono sviluppare nel tempo cambiamenti nell’aspetto (crepe ecc.), che non devono essere considerati come danni, ma semplicemente effetti secondari del trascorrere del tempo. Considerando la questione da un altro punto di vista, l’artista Daniel Buren impone rigorosamente all’acquirente, per la sua opera “Avertissement”, un contratto che sancisce alcune clausole precise a garanzia dell’autenticità dell’opera, che qualora non rispettate causerebbero non solo la perdita di “aura” del lavoro, ma anche un’incertezza nella definizione dell’attribuzione dell’opera, con una conseguente perdita di valore economico.

Da un punto di vista conservativo, per sapere quando e se restaurare, sostituire o intervenire in altro modo su un’opera d’arte contemporanea è essenziale capire se i cambiamenti materiali costituiscono un danno o sono semplicemente una mutazione intrinseca. Nel caso di un “Kunstlerpost” di Joseph Beuys, il cioccolato e la margarina contenuti in buste di plastica sigillate nel tempo si sono alterati, assumendo uno stato e una forma decisamente poco appetibili. La plastica si è degradata e strappata, gli involucri e le tavolette di cioccolato si sono staccati e queste ultime si sono spostate, cambiando forma e mutandosi biologicamente man mano che il cioccolato e la margarina si fondevano. Bisogna però capire che, anche se si tratta di un oggetto che nessuno vorrebbe avere nel proprio frigo, non si tratta di un danno reale, ma di un processo naturale e intrinseco all’opera.

Le sfide insite nell’arte contemporanea possono diventare un vero incubo per un assicuratore: basti pensare alle sculture in cera dell’artista svizzero Urs Fischer (ritratti a grandezza naturale trasformati in candele che si consumano lentamente). Quando si fa una polizza bisogna mettere in conto non solo la possibilità di furto, ma anche di qualsiasi atto vandalico o danno che ne interrompa la lenta decomposizione, invalidando così il naturale cambiamento della forma.

Improvvisamente, tutti i termini convenzionalmente associati al danno (come usura, decadimento, decomposizione e scomparsa) non sono più applicabili. Sono proprio queste condizioni che, secondo l’intenzione dell’artista, trasformano alla lunga la sua opera d’arte in “nessuna opera d’arte”.

La conservazione dell’arte moderna e contemporanea è chiaramente una sorta di campo minato. Gli esempi che abbiamo fatto, pur nella loro grande diversità, dimostrano che oggi non basta un certificato di autenticità a garantire l’integrità artistica di un’opera: c’è molto altro.

Bisogna applicare un approccio interdisciplinare e considerare che la provenienza e il contributo diretto dell’artista giocano un ruolo centrale: sono essenziali per valutare l’impatto di qualsiasi danno e per capire come una determinata scelta d’intervento possa influire sul valore di un’opera.

Esiste una regola d’oro? In caso di danno critico o di degrado, bisogna cercare sempre il consenso e la collaborazione da parte dell’archivio o dell’artista su ogni questione di conservazione o restauro. Non esiste ovviamente un obbligo specifico, ma le controversie sulla procedura e sulla manipolazione non autorizzata dell’intento creativo possono diventare davvero complesse. In queste acque in gran parte inesplorate, è necessario lavorare insieme per sviluppare un approccio unitario alla conservazione contemporanea, che sia a vantaggio di tutti.


Cristina Resti – Claims Handler e Art Expert – AXA Art