Mercati verso una nuova normalità

Manuela D’Onofrio -

Per quanto nella maggior parte attese, il mese di luglio si è concluso con alcune significative novità sui mercati: il taglio dei tassi di interesse di 25 punti base da parte della FED, la crescita delle quotazioni dell’oro oltre la soglia di 1.375 dollari per oncia (inviolata da sette anni), segnali di rallentamento dall’economia USA e una sensibile contrazione della manifattura globale.

Un’epoca ricca di contrasti dove, a fronte di economie in frenata, il primo semestre dell’anno ha visto le Borse segnare record assoluti, sintetizzati da quello dell’indice MSCI All Country World (ACWI) che ha registrato un rialzo del 16,6% in dollari USA – il migliore di sempre.

L’ultimo giorno di luglio sarà ricordato come quello della consacrazione della nuova stagione di tagli dei tassi, con la riduzione di 25 punti base operata dalla FED. Non è una sorpresa, ma oggi le aspettative del mercato sono fin troppo ambiziose: la curva forward probabilmente sovrastima la svolta dovish della FED, scontando una riduzione dei FED Funds di circa 100 punti base in 12 mesi, mentre la riduzione giustificata dai fondamentali è verosimilmente più limitata. Allo stesso modo potrebbero venir deluse le attese su un nuovo “whatever it takes” della BCE, che in verità ha poco spazio di manovra, come testimonia il valore dei tassi sui depositi, già a quota -0,4%: anche in questo caso le attese sono di un’ulteriore spinta in territorio negativo in settembre sui tassi e di riattivazione del QE entro la fine dell’anno.

La crescita globale è attesa rallentare a +3,1% nel 2019 dopo aver registrato un aumento del 3,6% nel 2018. Nel secondo trimestre la frenata si è estesa anche agli USA (+2,1% rispetto al +3,1% nel primo trimestre del 2019), mentre in Eurozona i PMI sono coerenti con una crescita trimestre su trimestre dello 0,25%, sotto potenziale e in rallentamento rispetto allo 0,4% del primo trimestre. A contribuire a questa debolezza la manifattura, globalmente in contrazione (il JPMorgan Global Manufacturing PMI in giugno si è attestato a 49,4) – in modo particolare in Eurozona (a 46,4 da 47,6) e in Germania (a 43,1 da 45 in giugno) – a causa delle tensioni commerciali, della Brexit e della crisi del settore auto. Una dinamica che deve destare una certa attenzione in quanto potrebbe essere il sintomo evidente di un cambiamento secolare delle economie (o di una crisi più profonda di quella che appare oggi nei fondamentali).

A fronte di una congiuntura che mostra sempre più fratture, il lavoro sembra confermare la propria forza. La continua discesa del tasso di disoccupazione, al 3,7% negli USA e al 7,6% in Eurozona, supporta la domanda domestica e il settore dei servizi. E, sostanzialmente, è il fattore che per ora tiene le economie al riparo dalla recessione. Tuttavia, non si osserva, a fronte di questo dato, il corrispondente e atteso rialzo dei prezzi, come dimostra l’inflazione che si mantiene contenuta (sotto la soglia del 2% che vale come riferimento sia per la FED sia per la BCE). Una condizione che si protrae da mesi e che la stessa FED inizia a non ritenere più temporanea. Ciò indica, con ogni probabilità, la rottura di una correlazione diretta tra lavoro e prezzi e l’ingresso in un new normal ancora di non facile lettura – un mondo con tassi di crescita e inflazione “normali” che però sono diversi da quelli a cui eravamo abituati. Pertanto ci troviamo probabilmente alle porte di un nuovo mondo in cui i paradigmi cambiano e in cui sono necessarie strategie nuove e spesso ancora non del tutto chiare.

Nel mese di luglio, inoltre, l’oro ha violato la fatidica barriera psicologica dei 1.375 dollari l’oncia, per la prima volta in sette anni. A favorire le quotazioni è stato soprattutto il processo di riduzione dei tassi d’interesse a livello globale: il metallo giallo è ben impostato ora per toccare nuovi massimi. Nella seconda metà del 2019, la crescita anemica, soprattutto di Europa e Giappone, potrebbe comportare per i mercati azionari ritorni più bassi e una maggiore volatilità. Nel 2019 ci aspettiamo una crescita del PIL USA del 2,4% e dell’1% per il PIL dell’Eurozona, ma con rischi al ribasso per il venir meno degli stimoli fiscali negli USA e per il peggioramento delle relazioni commerciali.

In Cina, grazie agli stimoli monetari e fiscali, la crescita è in fase di stabilizzazione (+6,2% atteso nel 2019). Tuttavia, gli elementi a favore dei beni rifugio sono molteplici: l’indice relativo all’incertezza politica globale è ai massimi di 10 anni e continuano a pesare i rischi di un duraturo confronto commerciale USA-Cina con il relativo impatto sulle catene di fornitura globali. In Europa inoltre aumentano le possibilità di una Brexit no deal dopo la nomina di Boris Johnson a premier del Regno Unito, mentre l’Italia è per ora rimandata a settembre sui conti pubblici.

Operativamente i fattori di rischio elencati ci inducono a mantenere il peso dell’azionario globale nella fascia bassa del range di neutralità e, a livello di Paesi Emergenti, a sottopesare l’equity per favorire le obbligazioni che offrono invece un rendimento interessante, nell’ottica di rendere il portafoglio più difensivo.


Manuela D’Onofrio – Head of Investments & Products – Cordusio Sim