Il futuro della competitività in Europa

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Mario Draghi ha presentato questa mattina il suo Rapporto che chiede un profondo e immediato cambiamento all’Unione europea. Al tempo stesso il Rapporto sostiene che finché non ci sarà il consenso tra gli Stati membri per riformare i Trattati questo cambiamento dovrà essere promosso dai Governi nazionali attraverso una stretta collaborazione e una maggiore integrazione reciproca.

Dato che difficilmente i Governi troveranno l’unanimità sugli avanzamenti necessari, il Rapporto arriva a sostenere la prospettiva di un’Europa a cerchi concentrici, con cooperazioni tra gli Stati membri attraverso le cooperazioni rafforzate o anche fuori dai Trattati, analogamente a quanto accaduto con il Fiscal compact.

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Di fronte alla situazione di pericolo per il futuro dell’UE che il Rapporto ipotizza in mancanza di profondi cambiamenti del suo modus operandi, e alle deboli proposte che avanza in tal senso, il Rapporto è di fatto la dimostrazione che non esiste alternativa ad una riforma organica dei Trattati attraverso un processo democratico e partecipato.

Il Parlamento europeo appena insediato raccolga il testimone della scorsa legislatura rilanciando la richiesta che è già nelle mani del Consiglio europeo per la convocazione di una Convenzione e prema affinché la Commissione si schieri al suo fianco.

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Il lungo Rapporto curato da Mario Draghi su incarico della Commissione europea e presentato oggi in Conferenza stampa parte dall’urgenza per l’Unione europea di modificare il suo sistema e la sua modalità di funzionamento per poter contrastare il costante rallentamento della sua crescita e il calo della sua produttività; un calo che comporta un progressivo impoverimento della popolazione e mette a rischio il modello di Stato sociale europeo e la coesione sociale. A questo si aggiunge il rischio politico implicito in questo trend che vede l’Unione europea incapace di garantire la propria sicurezza e dipendente da potenze esterne nei settori tecnologici strategici.

Il Rapporto offre quindi un’analisi approfondita dei deficit che bloccano lo sviluppo europeo e propone interventi concreti e dettagliati per invertire il trend attuale e liberare l’enorme potenziale inespresso dell’Unione europea, indicando i settori strategici da sviluppare per far fronte alle grandi trasformazioni in atto a livello globale nel commercio mondiale, nel settore dell’innovazione tecnologica, in quello dell’energia e nel campo della sicurezza.

Alla base della debolezza dell’UE in questi ambiti cruciali vi sono la sua frammentazione e il persistere di un modello di governance, in particolare economica, che, tra le altre cose, non prevede strumenti né di politica industriale, né di finanziamento per operare gli ingenti investimenti necessari in questa fase, ed è concepito per un quadro internazionale che non corrisponde più alla realtà. Sono queste caratteristiche del sistema che frenano pesantemente l’UE e che incidono, tra gli altri, sul costo dell’energia (i prezzi dell’elettricità sono 2-3 volte più alti che negli USA, o il gas naturale viene pagato 4-5 volte tanto), sugli scarsi finanziamenti per la ricerca e lo sviluppo (256 milioni messi a disposizione dall’UE contro i 6 miliardi americani) e anche su quelli specifici per la ricerca e lo sviluppo in campo militare, essenziali per costruire una difesa autonoma (10,7 miliardi di euro investiti in Europa nel 2022 contro i 130 degli USA – dato del 2023); così come sono alla radice delle gravi difficoltà del mercato del lavoro in Europa, del permanere dell’assenza di un mercato dei capitali a livello europeo e della mancanza di investimenti che servirebbero per almeno 750-800 miliardi all’anno, pari al 4,4 – 4,7 % del PIL quando il bilancio europeo attuale è pari circa all’1% del PIL.

Le trasformazioni della governance sono quindi parte integrante del Rapporto; anzi, ne costituiscono la conditio sine qua non, sia per quanto riguarda le scelte da fare e le decisioni necessarie per attuarle, sia per il problema delle risorse finanziarie da reperire; ma è qui che emerge tutta la debolezza della posizione della Commissione europea riguardo a questo tema. Mentre Draghi intervenendo pubblicamente a titolo personale nel recente passato aveva più volte sottolineato la necessità di un’unione politica di carattere federale a livello europeo, anche per inquadrare in questo ambito la riforma del bilancio europeo, oggi nel suo Rapporto si limita a riprendere le comunicazioni sulle riforme necessarie in vista dell’allargamento che la Commissione europea aveva preparato in primavera per il Consiglio europeo, in cui aveva ipotizzato la possibilità di avanzare a Trattati costanti tramite le clausole passerella o le cooperazioni rafforzate. In realtà, purtroppo, si tratta di due strumenti assolutamente inefficaci. Le clausole passerella – che non sono mai state utilizzate da quando sono state inserite nei Trattati (dal 2009), in quanto richiedono l’unanimità in seno al Consiglio europeo o al Consiglio per poter essere attivate – non si applicano a materie di importanza strategica come le modalità di finanziamento (il bilancio) o e questioni che abbiano implicazioni militari o nel settore della difesa. Le cooperazioni rafforzate, da parte loro, pur potendo essere attivate a maggioranza qualificata (tranne che nel settore della politica estera e di sicurezza comune) sono disegnate per promuovere la cooperazione in singoli settori, e devono rispettare le competenze, i diritti e gli obblighi degli Stati che non vi partecipano; sono pertanto strumenti che creano forme di cooperazione in settori limitati e fra gruppi diversi di Stati. Non sono quindi in grado di dar vita ad un nucleo di Stati che cooperano coerentemente in più settori. Forse, proprio per la difficoltà di utilizzare questi strumenti, la terza opzione prevista dal Rapporto per le modifiche alla governance indica la possibilità di avanzare in un gruppo di volonterosi fuori dai Trattati, analogamente a quanto avvenuto per il Fiscal Compact.

Il Rapporto quindi prende atto dell’impossibilità di avanzare a 27 sulla via del cambiamento necessario all’UE e sostiene la necessità di dar vita ad una struttura a cerchi concentrici. Tuttavia, la volontà di non affrontare il tema – che apparirebbe evidente e conseguente nel quadro delineato dal Rapporto – di una riforma dei Trattati è significativo delle resistenze da parte degli Stati membri (e della stessa Commissione europea) e di come queste resistenze abbiano influito sulla stesura del Rapporto.

È chiaro che in una Convenzione, grazie ad un dibattito politico aperto e trasparente sulle riforme necessarie per adeguare la governance europea alle nuove esigenze (in cui oltretutto il Parlamento europeo giocherebbe un ruolo cruciale), il tema della creazione di una sovranità europea condivisa emergerebbe naturalmente; così come è emerso nella Conferenza sul futuro dell’Europa e nelle conseguenti proposte di riforma dei Trattati approvate dal Parlamento europeo il 22 novembre scorso e trasmesse al Consiglio europeo, sulla base della procedura prevista dai Trattati. Fingere di ignorare che in questo momento il Consiglio europeo avrebbe la possibilità e il potere di decidere sin da ora a maggioranza semplice (14 Stati su 27) di accogliere la richiesta del Parlamento europeo e aprire la Convenzione per discutere come costruire questa nuova Europa a cerchi concentrici è al tempo stesso assurdo e profondamente antidemocratico. Oltretutto, nelle proposte di nuova governance del Rapporto non è previsto alcun ruolo per il Parlamento europeo – e quindi per i cittadini – e nessun avanzamento della democrazia europea.

Come federalisti chiediamo pertanto al Parlamento europeo di riprendere la sua richiesta e di rilanciarla, spingendo la Commissione europea a schierarsi con il Parlamento e i cittadini per superare l’attaccamento dei governi nazionali al loro piccolo e impotente potere che sta portando l’Europa ad autodistruggersi. Come ricorda Draghi, il momento è drammatico e se non cambia l’Europa è finita. Servono azioni coraggiose all’altezza del pericolo che stiamo correndo.