Il mercato ora premierà chi sceglierà i temi e i titoli giusti
La scorsa settimana si è conclusa con una nota di relativa tranquillità, dopo un agosto piuttosto turbolento. Grazie all’aumento dei consumi, la seconda stima della crescita del PIL americano per il 2° trimestre è stata migliore di quella iniziale, con una revisione al 3,0% rispetto alla prima lettura del 2,8%. Nessun’ombra di recessione dunque su quel fronte.
Il dato sul PIL si interseca poi con richieste di disoccupazione settimanali inferiori al previsto: 231mila nuove richieste di disoccupazione presentate contro le 232mila attese. Ma forse l’aspetto più importante è la rassicurante misura dell’inflazione PCE di luglio, pari al 2,5% (al di sotto delle aspettative del 2,6%), che ha fornito ai mercati ulteriori garanzie di un soft landing. Ricordiamo che il PCE rimane l’indicatore di inflazione preferito dalla Fed.
Tuttavia, recentemente Powell a Jackson Hole ha fatto riferimento soprattutto al mercato del lavoro, più che all’inflazione, ed è sembrato indicare che questo potrebbe destare maggiori preoccupazioni. La massiccia revisione al ribasso dei dati del Bureau of Labor Statistics della scorsa settimana solleva interrogativi su quale realmente sia la situazione attuale. Se Powell dovesse vedere un ulteriore rischio di ribasso in questo senso, il ciclo dei tagli dei tassi potrebbe essere più prolungato del previsto. È importante tenere a mente che la Fed non ha dovuto affrontare un aumento sostenuto della disoccupazione dai tempi della crisi del 2008.
Sui mercati, la scorsa settimana l’S&P 500 è rimasto piatto, nonostante i notevoli guadagni dei settori ciclici e difensivi. Ciò evidenzia un problema fondamentale quando pochi titoli dominano i principali indici: quando un peso massimo come Nvidia scende di quasi il 10%, trascina al ribasso l’intero mercato, anche se la maggior parte dei settori dell’S&P sta registrando guadagni. Dall’11 luglio scorso, le Magnifiche 7 del settore tech hanno sottoperformato gli altri 493 titoli dell’S&P 500 del 14%. Questo è ciò che accade quando valutazioni altissime incontrano aspettative altrettanto elevate.
In generale, gli utili continuano comunque a mostrare una certa resilienza. Con la stagione delle trimestrali del secondo trimestre quasi conclusa, la crescita media degli utili ha raggiunto il 13%, la più forte dal quarto trimestre del 2021. Le small cap stanno superando le large cap, dal momento che si ritiene beneficeranno maggiormente dei tassi più bassi. Inoltre, i settori value e a bassa volatilità, tra cui quello delle infrastrutture, stanno guadagnando nuova attenzione.
In questo contesto, a nostro parere affidarsi ai soli benchmark diventa sempre più rischioso, soprattutto mentre i nomi più importanti perdono colpi. Stiamo passando a un mercato più favorevole a chi fa selezione dei titoli – e dei temi – dove il sapersi spostare su settori e aree che stanno guadagnando slancio potrebbe essere decisivo. Una rotazione strategica in temi mirati che offrono un’esposizione a nomi small cap innovativi, come la genomica o la cybersecurity, potrebbe essere l’approccio migliore rispetto a seguire i benchmark e sperare per il meglio.