Portafoglio anti-Trump

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Le elezioni presidenziali americane hanno premiato Donald Trump con un risultato oltre le attese e consegnato ai Repubblicani il controllo di Camera e Senato. I mercati hanno reagito prontamente, premiando gli asset associati al “Trump Trade”: Tesla, bitcoin, e i settori energetico, finanziario e dei consumi discrezionali hanno registrato netti rialzi. Resta ora da chiedersi: quale strategia di portafoglio adottare guardando al 2025?

Chi ha scommesso sul Trump Trade ha vinto, chi ha scommesso contro ha perso, per ora. Le promesse elettorali di Trump in campo economico prevedono abbassamento delle aliquote fiscali, deregulation del settore finanziario, meno vincoli per l’estrazione di idrocarburi, dazi sui beni d’importazione, sviluppo e, ci si augura, anche maggiore controllo del mercato delle criptovalute. Gli operatori finanziari come sempre hanno giocato d’anticipo premiando i settori che avranno i maggiori benefici dalle politiche trumpiane: finanziari che con meno vincoli di bilancio godranno di ulteriori vantaggi competitivi verso i concorrenti europei, le aziende dei consumi discrezionali che vedranno aumentare i profitti grazie al ritocco delle aliquote fiscali e alla maggior propensione di spesa dei consumatori americani, e il settore dell’energia tradizionale che ha in Trump e nella sua amministrazione un grande sostenitore. Abbiamo poi assistito ad un balzo delle criptovalute, con il Bitcoin che dai 70.000 dollari di inizio novembre è volato oltre i 90.000 di questi giorni grazie alla promessa di Trump di far diventare gli Stati Uniti la “capitale mondiale delle criptovalute” e di costituire una riserva strategica nazionale di Bitcoin.

Nel breve questi temi d’investimento dovrebbero continuare a funzionare, ma guardando al 2025 è difficile pensare che il trend possa proseguire con questo ritmo. Il differenziale di valutazioni fra il listino azionario americano e il resto del mondo era già su livelli record prima delle elezioni, in queste ultime settimane si è ulteriormente ampliato. Le controindicazioni della cura Trump sono molte e non trascurabili, in primis una nuova fiammata inflattiva causata dai dazi e dall’onshoring, oltre ovviamente alla contrazione del commercio globale e quindi della crescita economica. Anche se il dato di inflazione core è rimasto stabile in ottobre, quello complessivo che include cibo ed energia ha segnato un aumento annuo del 2,6% dal 2,4% precedente. I dati certificano che la lotta contro l’inflazione procede lentamente, quindi un’inversione di tendenza causata da politiche protezionistiche forti non può essere esclusa a priori. E infatti le attese di mercato sui tagli dei tassi da parte della Fed per il prossimo anno sono già cambiate sensibilmente: dai 5 tagli previsti a inizio novembre, pre-elezioni, siamo passati ai 3 attuali.

Come posizionarsi allora in vista del 2025? Se davvero ci sarà una sorta di decoupling fra Fed e Bce, allora sulla componente obbligazionaria governativa varrà la pena privilegiare la parte intermedia e lunga della Zona Euro e quella breve della curva americana a cambio aperto; per la parte a spread, la deregulation americana forse stimolerà le attività di M&A, ma renderà certo meno sicuri i bilanci delle banche, in particolare quelle di piccole e medie dimensioni, forse meglio puntare sulla carta di istituti europei di miglior qualità, anche sul segmento subordinato dove è possibile trovare ancora rendimenti interessanti. Per il comparto azionario, oltre alle large cap americane, varrà la pena monitorare le small e mid cap europee che dovrebbero beneficiare di tassi più bassi e subire meno danni dall’aumento dei dazi. Lo stesso dicasi per l’azionario emergente, in particolare quello cinese. Se è vero che la Cina continuerà ad essere il sorvegliato speciale dell’amministrazione americana, è anche vero che i prezzi stanno già incorporando buona parte delle cattive notizie e le valutazioni sono ai minimi storici. Se gli interventi di governo e PBoC riuscissero a stabilizzare il mercato immobiliare e sostenere i consumi interni, il potenziale di apprezzamento del listino cinese sarebbe enorme, a prescindere dall’inasprimento dei dazi US.