Hermes Investment Management commenta il risultato delle elezioni nel Regno Unito

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Col senno di poi, la decisione del Primo Ministro May di indire un’elezione anticipata è fallita in modo spettacolare.

Un’ondata populista, simile a quella che abbiamo visto in occasione del referendum sulla Brexit o nelle elezioni americane e francesi, ha visto gli elettori rispondere alle politiche economiche di McDonnell e all’autenticità di Corbyn. Questo, unito alla crescente incertezza sulla leadership del Primo Ministro May, in particolare dopo le critiche per non aver fatto abbastanza per evitare gli attacchi terroristici di Manchester e Londra, ha portato a uno dei risultati più inaspettati degli ultimi decenni nelle elezioni parlamentari nel Regno Unito. E i mercati detestano sia le soprese sia l’incertezza.

La reazione prevista è il calo sia della sterlina sia, probabilmente, del FTSE, nonostante il crollo della sterlina. È anche possibile che i mercati forward scontino un rialzo dei tassi di interesse, con un impatto negativo sui consumatori nel breve termine, in quanto i tassi dei mutui potrebbero iniziare ad aumentare ulteriormente e più velocemente del previsto.

Neil Williams, Capo Economista di Hermes Investment Management
Le azioni e la sterlina potrebbero essere le prime e più ovvie asset class a risentirne, con percezioni ora basate sulla confusione politica, su un governo più “allargato”, su un rialzo delle tasse e su un ancora più ampio deficit di budget. Quando tutto questo sarà rientrato, la realtà riporterà a concentrarsi sulle negoziazioni per la Brexit che dovrebbero cominciare il 19 giugno. Si è sempre prospettato un processo per la Brexit, ma un parlamento senza maggioranza rappresenta un ulteriore rallentamento.

La decisione del Primo Ministro May di anticipare le elezioni all’8 giugno non era solo un modo per consolidare la propria posizione politica. Era anche una tacita ammissione del fatto che le negoziazioni sulla Brexit sarebbero durate più a lungo rispetto ai due anni previsti. In teoria, l’aver indetto elezioni prima della scadenza naturale nel maggio del 2020, offre alla nuova amministrazione altri due anni per trovare un accordo prima di tornare nuovamente al voto.

Anche questo, tuttavia, potrebbe non essere sufficiente, rimanendo in sospeso la questione di quanto ancora sarà lungo il viaggio verso Brexit. Temo, infatti, che le negoziazioni possano durare diversi anni e che possano potenzialmente riportare al punto di partenza impattando l’accordo di libero scambio voluto sia dai conservatori sia da Corbyn. Questo suggerisce che si negozierà per mantenerne l’accesso, ma non l’adesione a pieno titolo, un sistema senza tariffe simile all’accordo con il Canada e/o un’unione doganale simile a quella della Turchia.

Anche per questo, però, ci vorrà tempo. In primo luogo, dopo l’accordo sarà necessaria l’approvazione del Parlamento con un periodo di introduzione graduale per permettere a imprese, consumatori e pubblica amministrazione di adeguarsi alle nuove disposizioni. Se le parti non dovessero trovare un accordo, la possibilità di un’altra elezione anticipata potrebbe essere una complicazione indesiderata.

In secondo luogo, l’unico precedente di uscita dall’Unione Europea è quello della Groenlandia nel 1985, con un percorso “soft” che è comunque durato tre anni. Il Regno Unito, con dimensioni maggiori e collegato all’Unione Europea da 44 anni, avrà bisogno di più tempo.

Stiamo anche attraversando un anno altamente carico di implicazioni politiche. Abbiamo ancora le elezioni in Germania e probabilmente l’Italia potrebbe assumere un atteggiamento di protesta a causa di sei anni all’insegna dell’austerità della zona euro. Nelle economie periferiche, la forze anti-riformiste e i partiti populisti stanno mettendo radici. Infine, gli altri Stati potrebbero non concedere una facile via d’uscita al Regno Unito che dia precedenza alla sua economia rispetto all’interesse comune.

Bisogna poi considerare che la legislazione dell’Unione Europea vieta a uno stato membro, come è attualmente il Regno Unito, la sottoscrizione di ulteriori accordi commerciali. Ad esempio, ciò impedisce la rapida conclusione di un accordo con gli Stati Uniti. Così la sfida di qualsiasi nuova coalizione è quella di restare sufficientemente vicina al tavolo dei negoziati europei al fine di mantenere le migliori condizioni e norme per scambi commerciali e servizi, che rappresentano l’80% del valore aggiunto lordo.

La Bank of England dovrà inoltre evitare che una sterlina più debole alimenti l’inflazione, in particolare con i principali indicatori in rialzo dal referendum di giugno dello scorso anno. Se le forze protezionistiche dovessero rafforzarsi, l’inflazione potrebbe ritornare, ma sarà un’inflazione “sbagliata”, guidata da costi, tariffe, e carenza di beni e forza lavoro, piuttosto che da una crescita della domanda. Questo ci porta più verso le spinte inflazionistiche dei primi anni ‘80 e ‘90 in occasione delle recessioni nel Regno Unito, rispetto a quelle di fine anni ‘80 e metà del 2000. In questo caso, l’inflazione potrebbe eliminarsi da sola senza un intervento della Bank of England.

In conclusione, dovremo ancora negoziare per raggiungere un accordo di libero scambio. Questo sarebbe il secondo divorzio dall’Europa per il Regno Unito, dopo quello del meccanismo dei tassi di cambio nel 1992. Perciò, qualsiasi accordo futuro, con l’Europa o con qualsiasi altro Paese, sarà senza dubbio soggetto ad alcune condizioni. Un pò come per l’adesione all’Unione Europea!


Saker Nusseibeh – Chief Executive – Hermes Investment Management