Bitcoin: una bolla pronta allo scoppio?

Roberto Russo -

Negli ultimi mesi stiamo assistendo al vertiginoso rialzo delle quotazioni del bitcoin, una valuta virtuale la cui quotazione ha recentemente superato il valore di 15mila dollari quando solo un anno fa valeva circa 750 dollari.

Tuttavia, nonostante l’enorme popolarità raggiunta in seguito al suo clamoroso apprezzamento, ad oggi circa il 99% degli investitori o potenziali investitori ignora del tutto i processi che ne regolano il funzionamento.

Il bitcoin è una valuta elettronica nata nel 2009 da un inventore la cui identità è sconosciuta (è stato utilizzato lo pseudonimo di Satoshi Nakamoto). Con questa moneta virtuale è possibile acquistare beni reali da chi la accetta come denaro o convertirla in valuta corrente ricorrendo alle piattaforme online che svolgono questo servizio.

A differenza delle valute tradizionali, il bitcoin non è regolamentato da un’autorità di controllo (banca centrale), per cui sia la creazione di nuova moneta che le transazioni commerciali vengono certificate e archiviate all’interno di una sorta di registro pubblico creato all’interno della rete informatica e suddiviso in comparti tra loro collegati (“blockchain”). Le informazioni contenute all’interno dei comparti del registro pubblico virtuale sono automaticamente protette attraverso l’utilizzo della crittografia. Per tale motivo si parla di criptovaluta.

Come si può intuire da questi primi concetti, il meccanismo di creazione e di utilizzo del bitcoin è molto complicato; di seguito ne riassumiamo alcune informazioni di base.

La coniazione di nuovi bitcoin è regolata da un algoritmo all’interno del sistema informatico e terminerà nel 2040 quando sarà raggiunto il totale di 21 milioni di unità. Ad oggi sono stati emessi circa 16 milioni di bitcoin, ovvero il 76% del totale.

Per diventare proprietari di bitcoin occorre necessariamente disporre di un computer e scaricare un programma (“client”) attraverso cui viene creato un portafoglio virtuale (“wallet”), grazie al quale sarà possibile ricevere, custodire e spendere la moneta.

Il “wallet” è identificato sul computer da un codice alfanumerico di 34 caratteri che non può mai essere smarrito, altrimenti tutti i bitcoin contenuti nel portafoglio andrebbero persi per sempre scomparendo dalla rete. Quanto al reperimento delle monete (il “mining”), si tratta di un meccanismo altrettanto complicato: la prima cosa da fare è unirsi tramite internet a una specie di consorzio, detto “pool”, all’interno del quale ciascun membro cede e condivide con gli altri una parte delle risorse di calcolo del proprio computer per eseguire dei calcoli estremamente complessi (che da solo un PC non sarebbe in grado di svolgere) per risolvere delle crittografie che servono a certificare la generazione e il trasferimento di proprietà dei bitcoin. Provando a semplificare (impresa davvero ardua), poiché si tratta di una valuta virtuale non soggetta ad alcuna legge o regolamentazione, per certificare la veridicità delle transazioni, ovvero il definitivo passaggio di proprietà della moneta da un soggetto a un altro, occorre garantire un livello di sicurezza informatica elevatissimo; a tal fine, per chiudere una transazione vengono create due chiavi personali crittografate (una dell’acquirente e una del venditore) e perché ci sia una compravendita è necessario che le chiavi e gli indirizzi delle due controparti si “riconoscano”.

La certificazione definitiva avviene attraverso un sistema di consenso collettivo, dove la capacità cumulata di calcolo di più PC che intervengono contemporaneamente permette di decriptare i codici delle chiavi che identificano ciascuna transazione. Tutte le operazioni di compravendita avvengono quindi esclusivamente tra utenti appartenenti a questo micro universo informatico e in genere la procedura di conferma sopra descritta, chiamata estrazione dei dati, dura circa dieci minuti. Il processo si conclude quando le transazioni eseguite vengono impacchettate e archiviate secondo un rigido ordine cronologico all’interno di un blocco virtuale (“blockchain”) che, di fatto, attesta che l’intera procedura sia andata a buon fine e che il denaro transitato sia stato effettivamente posseduto prima e depositato dopo.

Questa breve disamina sul complesso funzionamento del bitcoin è utile per comprendere la logica che ha portato alla creazione delle criptovalute (ne esistono altre meno famose in circolazione).

Dopo la grande crisi americana dei mutui subprime del 2008, culminata con il fallimento di Lehman Brothers, è nata l’idea di creare una valuta digitale che permettesse ai cittadini di tutto il mondo di scambiare beni e servizi senza l’intermediazione delle banche. I vantaggi di un tale meccanismo sono numerosi: non occorre alcun prerequisito per utilizzare i bitcoin, in quanto qualsiasi persona può iscriversi tramite il proprio computer al sistema digitale di pagamento senza alcuna restrizione e senza sostenere alcun costo (a differenza dell’apertura di un conto corrente); le monete possono essere utilizzate in tutto il mondo senza costi di transazione (non c’è bisogno di alcun intermediario creditizio) e il trasferimento avviene praticamente in tempo reale a prescindere dalla distanza geografica tra compratore e venditore; è possibile inviare e ricevere qualsiasi somma di denaro virtuale senza alcun limite.

L’attuale vuoto legislativo in materia lascia aperte alcune questioni molto delicate: ad esempio, il complesso meccanismo che regola le transazioni consente di proteggere in modo quasi totale l’anonimato per cui sotto il profilo fiscale, poiché il bitcoin non è una valuta ufficiale, è lasciata alla responsabilità dell’utente pagare le imposte sui guadagni realizzati tramite l’utilizzo della moneta virtuale e rispettare le norme imposte dal proprio governo.

Dietro i vantaggi sopra descritti si nascondono rischi enormi. Innanzitutto, il presupposto fondamentale perché una valuta sia utilizzata è la stabilità delle sue quotazioni; in parole semplici, occorre che ci sia una relazione il più possibile stabile tra mezzo di pagamento ed economia reale. Ad esempio, se un individuo viene remunerato dal proprio datore di lavoro in una determinata valuta (euro, dollaro, ecc.), è fondamentale che sia in grado di programmare con ragionevole certezza un piano di spese necessario a soddisfare i bisogni propri e della propria famiglia. Tale pianificazione è legata alla stabilità del potere di acquisto della valuta con la quale si è pagati e con la quale si effettuano le proprie spese.

Il bitcoin si è apprezzato del 2000% circa negli ultimi dodici mesi e del 3400% circa negli ultimi due anni, per cui non può assolutamente essere assimilato a una valuta, ma al contrario è agli antipodi del concetto di valuta, perché sta provocando un ingente trasferimento di ricchezza a vantaggio di pochi soggetti alterando le regole basilari su cui è fondato lo scambio di beni e servizi dietro pagamento di un prezzo.

Ciò che giustifica le oscillazioni (anche ampie) di una qualsiasi attività finanziaria è che essa esista nel mondo reale e, cosa ancor più importante, che abbia un valore intrinseco o contabile di riferimento.

È dunque possibile attribuire un prezzo e quindi acquistare o vendere azioni, obbligazioni e materie prime perché innanzitutto esistono nel mondo reale anche se, grazie all’avvento della tecnologia, sono in gran parte espresse in formato elettronico.

Se da un lato è in parte criticabile il comportamento dei governi, delle banche centrali e delle banche su come hanno gestito il monopolio sui mezzi per regolare le transazioni, è altrettanto vero che non si può prescindere dalla presenza di un ente regolatore che vigili sulla stabilità dei tassi di cambio e sulla trasparenza dei pagamenti. Il progresso tecnologico ha già favorito lo sviluppo di numerosi servizi di pagamento digitale e di trasferimento di denaro via internet, ma dietro l’innovazione sono sempre state tutelate la sicurezza e la stabilità del potere di acquisto degli utenti.

Poiché il bitcoin non è sottoposto ad alcuna normativa antiriciclaggio e, come rilevato, il complesso meccanismo di compravendita sopra descritto rende di fatto più facile nascondere l’identità di chi effettua le transazioni, esiste un concreto rischio sull’utilizzo di questa moneta virtuale come mezzo di pagamento nelle mani della criminalità per finanziare traffici illeciti e per “ripulire” ingenti quantità di denaro.

Il bitcoin, non essendo un bene produttivo di valore, oltre a non essere assimilabile a una valuta non può neanche rappresentare un investimento tangibile, poiché di fatto non genera guadagni e non paga alcun dividendo. In compenso, le šfluttuazioni record del prezzo alle quali stiamo assistendo negli ultimi mesi rappresentano il terreno ideale per gli affari dei titolari di piattaforme di trading (a volte illegali) che stanno beneficiando dell’ondata speculativa che si è riversata su questo strumento, perché gli individui che comprano bitcoin stanno scommettendo che il suo prezzo continuerà a salire senza porsi alcuna altra domanda in merito. Questa corsa all’acquisto sarà ulteriormente favorita dal fatto che due delle principali piattaforme mondiali di strumenti derivati hanno appena ottenuto il via libera dall’autorità di vigilanza americana per mettere in quotazione i future sul prezzo del bitcoin.

La data dello storico avvio delle contrattazioni è il 10 dicembre 2017, anche se le grandi banche d’affari (proprietarie delle principali piattaforme di future) hanno inviato una lettera alla commissione di vigilanza sui contratti derivati nella quale chiedono di bloccare il provvedimento autorizzativo con la motivazione che, a loro parere, non sono stati adeguatamente esaminati i rischi potenziali di questi nuovi prodotti. Come dice Warren Buffett, “La gente si esalta con grandi movimenti di prezzo e Wall Street la soddisfa”.

L’impressionante ascesa del prezzo del bitcoin e il fatto che la quasi totalità degli investitori/speculatori ignori il significato di “criptovaluta” rappresentano due forti indizi per affermare che siamo in presenza di una bolla speculativa destinata prima o poi a scoppiare.

Una bolla si verifica quando gli speculatori notano il rapido aumento di uno o più strumenti finanziari e decidono di comprare in previsione di ulteriori rialzi piuttosto che ragionare sul reale rapporto tra valore e prezzo. Il termine può essere utilizzato con certezza solo a posteriori, poiché quando la bolla scoppia i prezzi cadono drammaticamente e molti investitori, come si dice in gergo, “restano con il cerino in mano”.

L’ultimo esempio eclatante di bolla speculativa è riferibile al boom dei prezzi che coinvolse tra il 1998 e il 2000 numerose società americane operanti nel settore tecnologico che provocò un apprezzamento dell’indice NASDAQ del 260% circa in poco più di due anni. Lo scoppio della bolla si manifestò tra il 2000 e il 2001 e portò al fallimento di numerose società.

Le vittime delle bolle speculative sono tipicamente i piccoli risparmiatori che, spinti dall’idea del facile guadagno e dall’onda mediatica di notizie che pongono in risalto l’ascesa dei prezzi dei titoli, cadono nella trappola generata dal clima di euforia decidendo di scommettere sul rialzo perpetuo delle quotazioni e ignorando il reale valore di ciò che acquistano.

Molti ricordano ancora la folla di persone che, negli anni della “bolla internet”, si formava per strada davanti ai terminali delle banche che mostravano le quotazioni giornaliere delle aziende del settore tecnologico con prezzi che venivano ripetutamente sospesi per eccesso di rialzo. Dopo qualche mese le quotazioni di molti di quei titoli si sono azzerate o avvicinate allo zero.

La recente vertiginosa ascesa del prezzo del bitcoin e il clima di euforia che ruota in questi giorni intorno al tema delle criptovalute ricordano molto da vicino gli eventi appena descritti; basti pensare che il controvalore complessivo delle principali criptovalute ha toccato lo scorso 7 dicembre il livello di 500 miliardi di dollari, una cifra pari a un terzo del prodotto interno lordo italiano.

La possibilità di trattare future sul bitcoin all’interno di un mercato regolamentato potrebbe avere delle importanti ripercussioni sul prezzo della criptovaluta: infatti, se da un lato la presenza di una piattaforma di trading ufficiale alimenterà ulteriormente la speculazione perché renderà molto più semplice scommettere sull’ulteriore rialzo della moneta virtuale, dall’altro il future rappresenterà la prima vera occasione nelle mani degli investitori per vendere “allo scoperto” bitcoin, ovvero per scommettere sul ribasso del prezzo della criptovaluta e, in ultima analisi, sullo scoppio della (potenziale) bolla speculativa. Inƒ ne, e questo è un aspetto alquanto inquietante, il future potrebbe rappresentare uno strumento micidiale nelle mani di coloro i quali, come sopra rilevato, utilizzano i bitcoin come mezzi di pagamento per effettuare traffici illeciti all’interno della piattaforma informatica perché, d’ora in poi, vendendo future si proteggeranno dal potenziale crollo del potere di acquisto della criptovaluta cristallizzando i guadagni ƒ no ad allora realizzati grazie alla straordinaria ascesa dei prezzi.

Come tutte le bolle speculative, lo sapremo solo a Posteriori.


Roberto Russo – amministratore delegato – Assiteca Sim