IPO di Saudi Aramco

Kinan Khadam-Al-Jame -

L’Arabia Saudita ha manifestato l’intenzione di vendere il 5% della sua compagnia nazionale di idrocarburi Aramco, il cui valore è stimato dal governo in USD 2.000 miliardi.

Questa stima equivale ai due terzi delle capitalizzazioni borsistiche totali di tutte le società quotate sulla Borsa di Londra e conferirebbe ad Aramco una valutazione pari a oltre il doppio rispetto a quella di Apple. Pertanto, qualora la cessione dovesse andare in porto, potrebbe rappresentare non soltanto la maggiore capitalizzazione borsistica mai realizzata, con un valore di circa USD 100 miliardi, ma consentirebbe inoltre di portare luce sul funzionamento interno di una delle compagnie più misteriose e segrete al mondo.

La decisione di vendere una quota di Aramco rientra nel piano elaborato dal principe ereditario Mohammed Ben Salmane (MbS) di dotarsi del più grande fondo sovrano al mondo e ridurre la dipendenza del Regno dagli idrocarburi. In realtà, questa mossa è dettata in maggiore misura dalla necessità per il Regno di ridurre il deficit di bilancio, pari a USD 83 miliardi, che rappresenta oltre il 10% del suo prodotto interno lordo per il 2016.

Nell’ambito degli sforzi profusi in tal senso, il governo ha tagliato le sovvenzioni e diminuito gli stipendi dei dipendenti pubblici. Dato che queste prime misure si sono rivelate insufficienti, il Regno ha deciso di migliorare l’efficacia dell’economia nazionale diversificando, entro il 2030, le fonti di reddito; oggi, infatti, il 90% di tutti i redditi proviene dal petrolio.

La privatizzazione di Aramco sarà pertanto la prima tappa del processo teso a riequilibrare l’economia. Separando la compagnia dallo stato, MbS spera di ridurre la dipendenza di Riad dal petrolio, raccogliendo al contempo capitali da investire in nuove attività, dal settore tecnologico, per il quale è previsto uno stanziamento di USD 45 miliardi nel fondo Softbank Vision, a quelli dell’assistenza sanitaria e del turismo.

Per quanto la privatizzazione di questo fiore all’occhiello nazionale sia una tappa imprescindibile del processo, rischia tuttavia di essere costellata di insidie: Aramco è oggi un conglomerato i cui interessi esulano dal settore energetico, abbracciando altri ambiti quali la gestione di ospedali e la costruzione di strade e stadi. La scissione delle attività periferiche si rivelerà pertanto un’operazione complessa, ma indispensabile per consentire agli investitori di concentrarsi sul potenziale petrolifero di Aramco.

Sarà inoltre difficile convincere il mercato del valore annunciato di USD 2.000 miliardi, poiché Aramco ha comunicato soltanto scarse informazioni finanziarie e determinati dati non sono disponibili nel suo bilancio annuale, nello specifico le vendite e gli utili del gruppo. Inoltre, la complessa struttura della compagnia, il suo ruolo unico e nevralgico nel Regno e i problemi legali associati al progetto di offerta pubblica iniziale sono solo alcuni degli ostacoli che le autorità saudite dovranno superare al momento della quotazione in borsa sui mercati internazionali. Gli analisti di Stanfort C. Bernstein & Co. e Rystad Energy AS ritengono pertanto che la valutazione globale verrà dimezzata, senza nemmeno affrontare la questione di quanto petrolio si celi realmente sotto le sabbie del deserto saudita.

È chiaro che la quantità di petrolio che Aramco dichiara di avere a disposizione è un nodo centrale da sciogliere. Infatti, per ottenere la valutazione massima prevista, Aramco dovrà controllare tutti i 261 miliardi di barili di riserve annunciati dallo Stato. Il fatto che il Regno abbia a più riprese ribadito la fondatezza della valutazione di USD 2.000 miliardi, suggerisce che prevede di iscrivere nel bilancio della società tutte queste riserve petrolifere. Saranno con ogni probabilità inclusi anche gli 8,43 miliardi di metri cubi di gas naturale, pari a 49 miliardi di barili di petrolio.

Il limitato accesso al suo petrolio rappresenta un altro ostacolo alla quotazione in borsa al prezzo annunciato. Quando in passato sono state privatizzate altre compagnie petrolifere come la norvegese Statoil, il governo non solo aveva autorizzato i concorrenti esteri a sfruttare dei giacimenti petroliferi nazionali, ma anche a detenere determinate parti della piattaforma continentale norvegese. Questo approccio ha permesso agli investitori di farsi un’idea più chiara delle performance di Statoil rispetto ai concorrenti internazionali, agevolando la verifica delle riserve petrolifere. Al contrario, dalla nazionalizzazione della società nel 1980, le compagnie petrolifere straniere hanno usufruito di un accesso ridotto al petrolio saudita, attraverso joint venture o in altro modo.

Inoltre, stando ad alcune ipotesi, l’Arabia Saudita è intenzionata a privatizzare unicamente l’attività di raffinazione di Aramco, in modo da mantenere la maggior parte della compagnia lontana da occhi indiscreti. Quest’eventualità è tuttavia smentita dalla nostra analisi. L’offerta pubblica iniziale dovrebbe interessare l’intera società, comprese la produzione petrolifera e le attività di raffinazione e trattamento chimico a valle. La quantità di petrolio & gas sotto il suo controllo assumerà scarsa rilevanza: il mercato si concentrerà più sugli utili piuttosto che sui giacimenti e l’importo di tali utili dipenderà da due fattori, i prezzi del petrolio e la riduzione delle imposte. Lo scorso marzo, un decreto reale ha ridotto l’aliquota d’imposta applicabile al settore degli idrocarburi. Per Aramco questa misura si è tradotta in una diminuzione del carico fiscale, passato dall’85 al 50%, che ne ha aumentato l’attrattiva.

Inoltre, il luogo scelto per l’offerta pubblica iniziale potrebbe influire sulla valutazione della compagnia. Le borse di New York e Londra sono in prima linea per l’emissione all’estero, ma anche Hong Kong è tra le pretendenti. Per quanto gli Stati Uniti, che dispongono del maggiore mercato finanziario al mondo, e Londra, più orientata verso una dimensione internazionale, sembrino essere le opzioni più interessanti, la quotazione su queste piazze risulta tuttavia difficoltosa. Anche se sulla Borsa di Londra sono già quotate numerose multinazionali delle materie prime, alcune regole potrebbero dissuadere Aramco. La borsa britannica impone in particolare l’obbligo, per tutte le società, di quotare il 25% dei propri titoli, mentre Aramco intende cedere soltanto il 5% del suo capitale. Per essere quotata su questo mercato, Aramco dovrebbe pertanto beneficiare di un provvedimento straordinario. La quotazione sulla Borsa di New York presenterebbe invece difficoltà di altra natura. A settembre 2017, infatti, il Congresso americano ha adottato, ignorando un veto presidenziale, la legge “Justice Against Sponsors of Terrorism Act”, che consente ai cittadini americani di intentare azioni legali contro uno Stato qualora si sentano minacciati dai terroristi di uno specifico paese. Dall’introduzione di questa legge, sono già state presentate denunce contro il Regno, in ragione del ruolo ricoperto dai sauditi negli attentati dell’11 settembre. Essendo il governo saudita esposto a possibili procedimenti giudiziari, la quotazione sulla Borsa di New York implicherebbe pertanto dei notevoli rischi per gli investitori.

Infine, i timori relativi al rischio sovrano sul mercato potrebbero influire negativamente sulla valutazione di USD 2.000 miliardi prevista dal Regno; le autorità saudite devono pertanto prestare attenzione a questo aspetto.

Con ogni probabilità, l’offerta pubblica iniziale della compagnia non potrà essere ultimata prima del 2019. Aramco valuta inoltre un collocamento privato dei propri titoli presso altri fondi sovrani, come la Cina.

Per quanto l’operazione relativa a Saudi Aramco possa sembrare smisurata, è perfettamente realizzabile se agli investitori vengono comunicate, in modo corretto, le informazioni necessarie. L’ottenimento della valutazione ottimale per questo fiore all’occhiello del Regno risulta invece incerta. Per l’Arabia Saudita, il raggiungimento di questo obiettivo potrebbe scontrarsi con un importante ostacolo, ossia la disponibilità del governo a condividere l’attività petrolifera nazionale del Regno con un mondo indiscreto e, talvolta, critico.


Kinan Khadam-Al-Jame – head of investments & portfolio management – REYL & Cie Holding SA