Da dove potrà giungere la prossima crisi finanziaria? Siamo pronti per affrontarla?

Philippe Ithurbide -

Il mondo non fa in tempo a uscire completamente dalle secche della crisi finanziaria del 2007-2008 che già si affaccia il rischio di un’altra crisi. Il tema del “cambio di regime” (volatilità, livello dei tassi d’interesse, inflazione ecc) è riemerso, portando a una correzione marcata sui mercati finanziari a gennaio e a febbraio.

Quando c’è un brusco cambio di regime, l’ingrediente tradizionale di una crisi finanziaria è l’eccesso di liquidità che porta a una bolla creditizia. La liquidità e l’evoluzione del debito privato (in particolare in Cina) e del debito pubblico, nonché la moderata riduzione dell’indebitamento dalla crisi del 2008 rimangono una fonte di preoccupazione. La storia economica c’insegna anche che difficilmente le crisi finanziarie possono essere previste, o meglio, ci insegna che le misure per evitarle non vengono mai prese in tempo.

In realtà, le crisi sono state tutte precedute da segnali spesso chiarissimi, che però sono stati ignorati o sottostimati (dalle autorità di regolamentazione, dalle banche centrali, dagli investitori…). Chi negli anni Novanta pensava davvero che la bolla tecnologica non avrebbe finito per scoppiare? Chi credeva davvero che il continuo eccesso di indebitamento non avrebbe creato delle forti turbolenze economiche e finanziarie negli anni Novanta? Come pensare seriamente che i sub-prime e l’anomalo grado di avversione al rischio non avrebbero creato grossi problemi dopo il Duemila? Come ebbe a dichiarare con un certo cinismo il CEO di una grande banca americana, quasi a voler giustificare le perdite, “finché la musica va, continuiamo tutti a ballare.” Infine, oggigiorno, chi crede ancora che il regime di bassa volatilità, bassa inflazione, bassi tassi e valutazioni eccessive degli attivi possa durare all’infinito? In altre parole, un nuovo cambiamento dei mercati finanziari potrebbe rappresentare ancora una volta una vera minaccia.

Esistono due tipi di “crisi”: gli shock di mercato (per esempio una flessione del 10%) che sono frequenti e in genere salutari perché consentono di ridurre le posizioni eccessive o di correggere le valutazioni troppo elevate. Queste correzioni non pregiudicano il proseguimento del regime; le crisi finanziarie, che spesso mettono invece in discussione il regime esistente, ovvero il funzionamento complessivo dei mercati finanziari e dell’economia (sono viste anche come crisi del capitalismo e dei dei suoi eccessi).

Le crisi finanziarie avvengono di solito dopo periodi di valutazioni eccessive o, ancora peggio, di bolle.

La domanda che ci si pone è se sia possibile passare da un regime di crescita senza inflazione e con dei tassi bassi a un altro di maggior volatilità e con inflazione e tassi di interesse più alti senza che intervenga una crisi finanziaria o uno shock macroeconomico… È questa la posta in gioco per il 2018.

Come si formano le bolle?

I fattori che possono contribuire allo sviluppo (e allo scoppio) delle bolle/delle valutazioni eccessive sono ben noti:

  • Razionalità: la giustificazione è spesso da ricercare nella situazione macroeconomica sottostante;
  • Opportunismo: l’attrattività del relativo mercato;
  • (Eccesso di) fiducia: dovuto spesso all’atteggiamento delle banche centrali (tassi bassi per sempre, forward guidance esplicita, programmi di QE – se guardiamo al passato recente);
  • Compiacenza: porta a un’esasperazione dei trend esistenti;
  • Mimetismo: quando le opinioni e le posizioni comuni di un grandissimo numero di attori dettano l’andamento dei mercati;
  • La sensazione che il periodo sia atipico (“questa volta è diverso”): tale convinzione porta in parte a esagerare.

Esistono dei mercati a rischio?

A torto o a ragione sono tre i mercati che possono scatenare uno shock di vasta portata o una crisi:

Il primo segmento di mercato a rischio è indubbiamente il mercato obbligazionario. L’inflazione resta su livelli contenuti. I tassi di interesse sono “troppo bassi” per via delle politiche monetarie ultra espansive e del QE, dell’eccesso di liquidità delle banche centrali e della minor liquidità di mercato. In una situazione di bolla, i prezzi sono ben lontani da una situazione di equilibrio, ed è proprio qui che sta il problema.
Il secondo segmento di mercato a rischio è quello del mercato del credito in Cina. L’economia cinese ha continuato a crescere a ritmi elevati dopo la crisi finanziaria del 2008 e il governo cinese sta facendo tutto il possibile per mantenere un tasso di crescita superiore al 6%. Ciò però ha causato un aumento del debito interno (debito pubblico, delle imprese e delle famiglie). Un rialzo dei tassi d’interesse su scala mondiale sarebbe quindi molto dannoso per l’economia cinese. Esiste un grande rischio di assistere a uno sgonfiamento difficile della bolla cinese: esso potrebbe essere controllato con difficoltà dall’autorità centrale il risultato finale dipende o dalla sua capacità di gestire la situazione. La cattiva gestione della bolla sul mercato azionario, che provocò e poi corresse nel 2015, o la gestione dello yuan nel 2015 e agli inizi del 2016, non fanno ben sperare.
Il terzo segmento a rischio è il mercato azionario americano, che da molti investitori è considerato, a volte con argomentazioni errate, eccessivamente sopravvalutato… ma la cui crescita è giustificata dalla solidità dell’attività economica (superiore alla crescita potenziale), dall’assenza d’inflazione, dalla dinamica degli utili, dalle misure fiscali, ma anche dalla politica monetaria accomodante.

Crisi finanziaria: fattori scatenanti e fattori d’accelerazione a confronto

Quando abbiamo a che fare con mercati all’improvviso ribassisti e con vendite massicce, non dobbiamo far confusione tra i fattori che scatenano una crisi (cambiamento di orientamento di politica monetaria, shock geopolitico…) e quelli che le accelerano come la concentrazione o la bassa liquidità… Il 1994 ci ricorda che una flessione del mercato o persino un vero crollo può avvenire anche senza shock significativi.

Cosa potrebbe scatenare la prossima crisi (sempre che ci sia)?

I fattori potenzialmente scatenanti sono numerosi.

  1. Un repricing dei premi per il rischio determinerebbe delle fasi di maggior volatilità, tassi d’interesse a breve e a lungo termine più alti, ampliamento degli spread del credito e senza dubbio frequenti cali dei mercati azionari, a meno che non ci sia un’ulteriore espansione del ciclo di crescita e delle prospettive degli utili.
  2. Uno shock inflazionistico: i tassi d’inflazione sono dappertutto, o quasi dappertutto, inferiori all’obiettivo delle banche centrali. A meno che non intervenga uno shock petrolifero o che non ci sia una volontà politica che porti a una politica salariale radicalmente diversa, è difficile immaginarsi una repentina fiammata dell’inflazione.
    L’attuale funzionamento dei mercati del lavoro sembra anzi andare nella direzione opposta: tuttavia potremmo risentire di una ripresa delle aspettative d’inflazione.
  3. Uno shock da politiche monetarie: la politica monetaria spesso fa da miccia alle crisi finanziarie. Nel febbraio del 1994 fu un evento di politica monetaria a scatenare il crack obbligazionario. A metà degli anni Novanta, fu il lassismo monetario della Fed a creare una bolla e poi scoppiò nel 2000. Questa crisi causò addirittura una recessione mondiale con una massiccia riduzione dell’indebitamento delle imprese, perdita di fiducia, calo dei mercati azionari ed effetti negativi sulla ricchezza. Dal 2002 al 2007 furono di nuovo i tassi bassi, unitamente ai premi per il rischio insolitamente contenuti, a causare la bolla del comparto immobiliare, affiancata dallo sviluppo di un processo di cartolarizzazioni a volte dubbie. Tutto ciò sfociò nella pesante crisi finanziaria del 2007/2008 (crisi dei sub-prime, fallimento di Lehman Brothers …) Nel 2013 fu l’annuncio della fine del programma di QE negli USA (e la fine effettiva degli acquisti di attività nel 2014) a provocare il forte calo sui mercati e la recessione in alcuni Paesi emergenti.
  4. Una delusione sulla dinamica di crescita e inflazione. I mercati finanziari potrebbero sovrastimare sia il tasso d’inflazione, sia quello di crescita. L’attuale ripresa dell’economia (con la crescita superiore al potenziale), le politiche monetarie accomodanti, l’inflazione bassa, i tassi bassi, la volatilità contenuta, (“grande moderazione”) non diventeranno un “nuovo paradigma” ed è probabile che la crescita torni al suo livello potenziale, e ciò ridurrebbe anche i rischi d’inflazione. Il rischio oggi è più basso perché le banche centrali preparano il terreno e non colgono mai i mercati di sorpresa.
  5. Lo smantellamento delle misure di regolamentazione finanziaria causerebbe indubbiamente un’eccessiva assunzione dei rischi e una compiacenza ancora superiore a quella attuale.
  6. Uno shock politico o geopolitico: non mancano di certo aree di tensione (Corea, Turchia, Arabia Saudita – Iran, Brexit, aumento dei populismi…), e uno shock inatteso e/o di vasta portata provocherebbe lo scenario più temuto, ovvero il repricing dei premi per il rischio. Un aumento del prezzo del petrolio a seguito delle tensioni in Medio Oriente sarebbe inoltre un elemento scatenante della ripresa delle aspettative d’inflazione più credibile di quanto non lo sia un aumento dei salari.
  7. Un aumento del protezionismo sarebbe probabilmente disastroso… soprattutto se dovesse portare a una guerra valutaria e a un crollo della globalizzazione. Ciò aggraverebbe il rallentamento dell’economia e creerebbe un circolo vizioso che scatenerebbe una nuova crisi, molto più grave di quella del 2008. Potrebbe essere una crisi economica, finanziaria e politica.

Con rare eccezioni, il contagio è inevitabile.

La portata del contagio è legata principalmente alla globalizzazione economica e finanziaria, ma anche alla natura della crisi. Se riguarda un Paese o una zona e se i non residenti hanno investito poco in quel Paese o in quella zona, il contagio rimane limitato. Un “semplice” repricing dei premi per il rischio, che determinerebbe un moderato rialzo dei tassi di interesse, danneggerebbe di meno le sfere reali perché i tassi di interesse finirebbero col rimanere oggettivamente bassi. Ma ci si deve comunque porre l’interrogativo dell’impatto della sfera finanziaria sulla sfera reale.

Siamo pronti ad affrontare una crisi finanziaria?

La capacità di affrontare un’eventuale crisi finanziaria può essere valutata rispetto a una serie di criteri:

  1. La vulnerabilità dei Paesi: ciò che si può dire è che i Paesi emergenti sono attualmente molto meno vulnerabili di quanto non fossero ai tempi della Grande crisi finanziaria del 2008 o ai tempi del tapering del QE da parte della Fed. Crescita più solida, più motori della crescita, miglior saldo delle partite correnti e miglior saldo di bilancio, maggiori riserve valutarie, tassi d’inflazione inferiori agli obiettivi (tranne in Paesi come la Malesia e la Turchia…)
  2. L’esistenza o meno di margini di manovra fiscale e di bilancio. Alcuni Paesi sono stati capaci di ricreare la flessibilità, come ad esempio la Germania, ma si tratta di casi isolati. Per il resto della zona Euro o degli Stati Uniti ciò è molto meno sicuro. A livello globale, il debito sta crescendo a ritmi più veloci del PIL. Già nel 2008 si pensava che l’indebitamento fosse eccessivo: cosa dovremmo dire oggi? In che modo i mercati finanziari reagirebbero a un rialzo dei tassi di interesse?
  3. L’esistenza o meno di uno spazio di manovra per le politiche monetarie. Abbiamo visto le banche centrali delle principali economie avanzate molto in ritardo rispetto al ciclo, la banca centrale giapponese più della BCE, e la BCE ben più della Fed. Visti i tassi bassissimi, si potrà ricorrere a nuovi programmi di QE, molto utili in caso di crisi finanziaria e/o quando si profilano delle minacce per l’attività economica.
  4. I mercati finanziari. Il posizionamento degli investitori e la liquidità. Più le posizioni sono consensuali e/o la liquidità è bassa, e maggiore è il rischio di crollo. Non ci vuole uno shock significativo per causare una flessione del mercato o persino un vero crollo. Quando diminuisce la liquidità, i prezzi diventano molto meno indicativi in termini di informazione perché si allontanano dai loro fondamentali. Inoltre tendono ad aumentare i rischi di contagio e di volatilità, mentre i mercati meno liquidi hanno più difficoltà ad assorbire gli shock. Nel complesso, possiamo vedere individuare problematiche di liquidità e posizionamento sul mercato nell’attuale contesto.
  5. Lo stato dell’economia. La congiuntura al momento è positiva e questo è indubbiamente un vantaggio. Tutti i motori della crescita sono attivi: consumi, investimenti, commercio mondiale, e le politiche fiscali, di bilancio e monetarie sono piuttosto accomodanti. Nella zona Euro, in Giappone, negli USA o in Cina la crescita è superiore al potenziale.
  6. I vincoli del debito: è ora evidente che il livello del debito forza o addirittura influenza le politiche economiche, tra cui le politiche monetarie. Mentre il servizio del debito è cambiato poco dal 2005 (in alcuni Paesi è persino diminuito), il debito nominale è aumentato costantemente (è quasi raddoppiato in soli 10 anni). In altre parole, un rialzo dei tassi di interesse solleverebbe nuovi interrogativi sulla solvibilità degli Stati/delle imprese fortemente indebitate. Su questo punto, l’economia mondiale non è di certo pronta ad affrontare una crisi finanziaria.

Tre possibili scenari

Scenario #1: 2018 un altro anno di “grande moderazione” con poca volatilità, stabilità della crescita e dell’inflazione, inflazione bassa (più bassa) e tassi di interessi bassi (più bassi) (probabilità: 10%).

Il 2018 non sarà come il 2017 perché la situazione economica sta cambiando velocemente. Gli output gap si riassorbiranno nei prossimi mesi, i tassi di disoccupazione ritorneranno ai livelli strutturali. Tutto ciò per dire che la crescita non accelererà, anzi, il contrario, e che i rischi d’inflazione, anche se moderati, sono evidenti. Tale situazione consentirà probabilmente alle banche centrali, Fed in testa, di continuare a ricostruire lo spazio di manovra. Il contesto di “grande moderazione” (stabilità dei principali aggregati economici come la crescita e l’inflazione), ma anche la scarsa volatilità e i bassi tassi di interesse, scomparirà.

Scenario #2: 2018, un anno di maggior volatilità, con frequenti sbalzi d’umore dei mercati finanziari (probabilità: 75%).

È molto difficile prevedere se ci sarà una crisi finanziaria di grandi dimensioni come quella del 2000 o del 2008. Tra i fattori rassicuranti:

  • Il buon stato di salute delle banche, ben capitalizzate, con un livello di leva ragionevole e ricavi più stabili;
  • Una situazione macroeconomica favorevole;
  • Un’inflazione moderata;
  • Una minore sensibilità delle economie all’inflazione;
  • Un tasso di interesse “neutrale” più basso di prima, il che significa che è più facile riassorbire il gap rispetto all’attuale livello dei tassi o che le politiche sui tassi di interessi sono meno ultra-accomodanti di quanto sembra (ciò vale per gli USA, ma molto meno per la zona Euro).
  • Le banche centrali sono ancora credibili, prevedibili, con una buona capacità di comunicazione.

Tuttavia, il contesto di mercato è mutato: (I) le politiche monetarie convenzionali (politiche sui tassi di interesse) hanno esaurito la loro funzione. “L’era dei tassi bassi per sempre” è finita (ii) il grande periodo della disinflazione è terminato; (iii) piano piano stanno scomparendo i programmi di politica monetaria non convenzionale (QE). Tutto ciò significa che il “repricing” dei premi per il rischio porterà inevitabilmente a periodi di maggior volatilità, con un rialzo dei tassi a breve e a lungo termine, con un ampliamento degli spread creditizi e senza dubbio shock ripetuti sui mercati azionari.

Scenario # 3: un anno di forte crisi (probabilità: 15%).

Nulla è impossibile, e la possibilità di una crisi finanziaria significativa non può essere del tutto esclusa. Tuttavia questo non è il nostro scenario centrale. La scarsa liquidità e il posizionamento simile di molti portafogli rappresentano un rischio supplementare per i mercati finanziari nel caso di una crisi/di uno shock. Ovviamente le politiche monetarie nei Paesi più avanzati non sono in grado di sostenere le economie e i mercati finanziari nel caso di una crisi, a meno che non lancino nuovi programmi di QE.


Philippe Ithurbide – Global Head of Research – Amundi