Viva l’arte è viva

Alessia Panella -

Viva Arte Viva è il titolo della 57^ Biennale di Venezia, coniato dalla direttrice Christine Macel. Forse la parola d’ordine di quest’anno dovrebbe essere «Viva L’arte è Viva».

Questo articolo è stato tratto da ARTS+ECONOMICS aprile 2018
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Infatti, il 2017 si è concluso con la 32^ edizione della fiera di Miami, Basel Art, che ha avuto 82 mila visitatori.  La 48^ Edizione di Art Basel ne aveva registrati 95 mila. Le fiere più importanti e le aste internazionali hanno registrato vendite da capogiro tanto che il 15 novembre, all’asta tenutasi da Christie’s a New York, si è venduta per 450 milioni di dollari l’opera Salvator Mundi attribuita a Leonardo e destinata ad essere esposta nel nuovo Louvre di Abu Dhabi. Anche le vendite in galleria hanno superato quelle del 2016 e i musei hanno registrato un incremento dei visitatori.

Insomma il 2017, se mai ci fossero stati dubbi, è l’anno in cui si è definitivamente superata la crisi del mercato dell’arte e si è sancito che l’Arte è più viva che mai visto che è tornata ad essere un investimento più proficuo di azioni e bitcoin.

L’Italia quest’anno ha visto varie gallerie internazionali aprire nelle città d’arte da Venezia a Napoli. E se è comprensibile che il nostro paese sia senza dubbio la patria del bello, e quindi un luogo dove artisti e galleristi amano vivere, vi è da chiedersi perché le gallerie tricolori fatichino a guadagnare in un mercato internazionale in crescita e a fronte di un incremento nella vendita di artisti italiani, quantomeno dell’arte del dopoguerra.
Se ci si rivolge agli operatori del settore essi attribuiscono l’abbandono della «piazza italiana» da parte di case d’asta e grandi investitori, a favore dei mercati londinesi ed orientali, all’arretratezza della nostra normativa in materia di beni culturali e di compravendita delle opere d’arte, poco più che ottocentesca.  Il legislatore, poco attento a questi temi, trascurerebbe come in effetti in questi anni ha fatto, una modifica normativa da più parti invocata almeno in materia di Iva, che è considerata la più alta d’Europa, riducendo almeno quella sulle importazioni. Infine, il diritto di seguito e la normativa sulle notifiche delle opere finirebbero per azzerare ogni energia nazionale.

Solo recentemente il Ministro Dario Franceschini, con molte difficoltà, ha tentato di modernizzare il settore culturale in un paese dove ancora i nostri politici affermano che «con l’arte non si mangia».

Questo articolo pone un focus sulle notifiche delle opere d’arte. Per notifica si intende la dichiarazione da parte del Ministero di interesse culturale di un bene mobile o immobile inviata al proprietario. Trattasi pertanto di un atto amministrativo con il quale anche un’opera di un privato diviene bene culturale.

Detti beni, anche se oggetto di proprietà privata, a seguito della notifica, rientrano tra quelli oggetto di interesse pubblico. Ed infatti in caso di notifica essi non sono più liberamente disponibili, subendo il proprietario una compressione del diritto di alienazione e di altri diritti conseguenti alla definizione di diritto pieno ed esclusivo che ne fa l’art. 832 del Codice Civile. 

Oggetto della notifica

Il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio all’art. 65 vieta l’uscita definitiva dal territorio dello stato dei beni culturali appartenenti allo Stato, alle Regioni e agli altri Enti Pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private, senza fine di lucro, che presentino interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico ed elencati nell’art. 10 nn. 1, 2 e 3. Per questi beni l’interesse culturale è ex lege e vige il divieto assoluto di esportazione. L’art. 65 presume poi l’interesse culturale in tutti i beni di cui sopra, non rientranti nella predetta elencazione, qualora siano opera di autore non più vivente e la sua esecuzione risalga ad oltre settant’anni. Per essi vige invece un divieto di esportazione cautelativo, ovvero vigente sino a quando non intervenga un procedimento di verifica. 

Infine, l’art. 65 presume l’interesse culturale dei beni di proprietà privata che siano opera di autore non più vivente e la cui esecuzione risalga ad oltre settant’anni. Essi sono sottratti all’esportazione sino alla conclusione del procedimento di dichiarazione di interesse culturale «particolarmente importante» e solo in caso di attestazione di mancanza di interesse possono essere venduti all’estero, previo il rilascio dell’Attestato di Libera Circolazione di cui sopra. Tale autorizzazione può essere negata, con motivato giudizio, dall’Ufficio Esportazione. Il diniego comporta l’avvio del procedimento di dichiarazione di interesse che si conclude con la notifica.  

Negli altri principali paesi Francia ed Inghilterra vincolano le opere presenti sul territorio nazionale da più di 50 anni, la Germania vincola le opere risalenti a più di 70 anni, la Spagna le opere risalenti a più di 100 anni. Negli Stati Uniti ed in Svizzera non esiste un certificato di esportazione e la notifica.

Doveri del proprietario di un’opera notificata

Una volta che l’opera del privato sia stata notificata il proprietario, al di là della compromissione del diritto di alienazione all’estero, subisce altre compromissioni del proprio diritto di proprietà conseguenti alla dichiarazione di pubblico interesse del bene quali per esempio l’obbligo di conservazione (il bene non va distrutto, deteriorato né danneggiato). Il proprietario ha pure l’obbligo di denuncia dello spostamento del bene, dovendo attendere una specifica autorizzazione del Soprintendente.

Infine in caso di vendita, all’interno del territorio, egli ha l’obbligo di denunciare alla Soprintendenza il trasferimento del diritto di proprietà entro 30 giorni dall’atto. La denuncia si presenta alla competente Soprintendenza. In questo caso l’opera deve rimanere in custodia del proprietario nei 60 giorni consecutivi in quanto la Pubblica Amministrazione ha la facoltà, entro detto termine, di esercitare il diritto di prelazione sulla vendita. L’atto di vendita pertanto in detto periodo rimane sospensivamente condizionato all’esercizio del diritto di prelazione. Dette norme sono rigide e soggette a precise formalità e la loro violazione comporta sanzioni penali.

Se lo Stato ha il diritto di prelazione e l’obbligo, in questo caso, di pagare il prezzo di vendita, perché la notifica spaventa tanto i proprietari limitandone il diritto di vendita?

In Italia la ragione sta nel fatto che lo Stato può esercitare il diritto di prelazione secondo le modalità descritte tuttavia allorquando non lo eserciti (per esempio come spesso succede non vi sono i fondi) può esercitare la notifica, impedendo che il bene esca comunque dal suo territorio. In detta ipotesi il bene vede diminuire di una gran percentuale il suo valore.

Per quanto concerne gli altri paesi europei, nel Regno Unito lo stato ha il diritto di prelazione sull’acquisto di un’opera per cui è stata richiesta l’esportazione. Nell’ipotesi in cui il Ministero ne riconosca l’importanza per il patrimonio nazionale lo Stato ne propone l’acquisto che deve essere esercitato entro 6 mesi. In mancanza di offerte statali l’opera si può esportare. In Francia l’esportazione dei tesori nazionali è vietata ma lo stato ha un termine di 30 mesi per presentare un’offerta d’acquisto ma se non la formula deve liberare il bene. In Germania, qualora l’esportazione di un bene culturale sia bloccata, lo Stato non ha l’obbligo di acquistare l’opera ma deve aiutare il proprietario con agevolazioni fiscali.

Conseguenze della notifica sul valore dell’opera.

Molti collezionisti privati e galleristi vedono nella severissima normativa Italiana (che trae le sue origini nelle leggi fasciste che tutelavano in modo esasperato l’interesse pubblico) una forte limitazione sia alla proprietà privata che al mercato dell’arte italiana in quanto un’opera, pur di inestimabile valore culturale, spesso vede ridotto il suo valore veniale per l’impossibilità di circolare al di fuori dello Stato italiano ed essere collocata nelle più importanti piazze internazionali. Questo sistema sarebbe uno dei grandi mali del mercato italiano (con gallerie che faticano a rimanere competitive) in un periodo, come quello attuale, che vede un mercato internazionale in crescita ed una rivalutazione del valore delle opere italiane del dopo guerra.

La ragione di ciò sarebbe dovuta innanzitutto al fatto che le opere notificate vedono ridotto il loro valore in quanto, a seguito della procedura amministrativa, esse possono essere vendute solo all’interno dello stato italiano, ove spesso non ci sono i capitali necessari per l’acquisto. I proprietari pertanto temono la vendita di dette opere per non incorrere nella notifica e finiscono per non farle emergere. Per contro, gli stranieri che vogliano acquistare in Italia capolavori che superino la soglia temporale dei settant’anni e privi di Certificato di Esportazione, seppure non notificati, temono che possano essere «bloccati» in fase di vendita da un procedimento caratterizzato da un’ampia discrezionalità nella dichiarazione di interesse culturale e che spesso si conclude con il diniego. Procedimento peraltro che può essere lungo e complesso.

La necessità di una forte tutela dei beni culturali italiani tuttavia deriva dal fatto che l’Italia non solo è un museo a cielo aperto ma detiene una grande percentuale dei beni culturali mondiali (solo la regione toscana ne detiene una quantità che, secondo alcuni studi, corrisponderebbe alla totalità dei beni culturali della Spagna). Questo aveva portato Fabrizio Moretti, Segretario Generale della Biennale Internazionale dell’Antiquariato di Firenze nonché membro di varie associazioni italiane ed internazionali di antiquari, in controtendenza rispetto alla maggioranza dei suoi colleghi, a dichiarare che «In Italia è più dura sulla carta che in pratica. Abbiamo ottimi funzionari che conoscono il patrimonio storico nazionale e sanno perfettamente cosa può uscire e cosa non deve uscire dal territorio. È importante che ci sia una tutela forte o sarebbe uscito il Colosseo. Il nostro problema è la burocrazia che dovrebbe essere semplificata sul modello francese, ci auspichiamo che il ministro snellisca tutto l’apparato».

E’ comprensibile quindi la richiesta proveniente dagli operatori del settore di modificare la normativa culturale sia in materia fiscale che con riferimento alla libera circolazione delle opere d’arte. Tuttavia è pur vero che in una società industriale e tecnologica come la nostra non si può non sentire come imprescindibile la necessità di una forte tutela della cultura e dei suoi beni come stimolo per una crescita civile e sociale.

Cenni storici e normativi

La notifica è stata introdotta nel nostro sistema giuridico dalla Legge N. 1089 del 1939 (Cd. Legge Bottai) che prevedeva un rigido sistema di protezione dei beni nazionali al fine di evitare la fuoriuscita dal territorio nazionale dei capolavori italiani. 

Detta legge è stata abrogata con l’entrata in vigore del Codice dei Beni Culturali tuttavia il sistema della notifica è rimasto.   

L’art. 2 del predetto codice stabilisce che le opere d’arte rientrano tra i beni culturali definiti come le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e costituiscono testimonianza avente valore di civiltà. Essi costituiscono quindi il patrimonio di ogni nazione. 

D’altronde la tutela di siffatti beni ha origine nella nostra carta costituzionale in quanto l’art. 9 della Costituzione sancisce che «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione».

In materia di tutela dei beni culturali in generale, e delle opere d’arte in particolare, si contrappongono infatti sullo stesso bene (opera d’arte) le esigenze pubblicistiche alla conservazione e alla protezione e quelle privatistiche al completo esercizio di tutte le facoltà connesse alla proprietà privata, ivi compresa la libertà di alienazione.

L’equilibrio che ogni Stato raggiunge nel bilanciamento tra gli opposti interessi pubblici, alla fruizione e conservazione di un bene che costituisce «testimonianza di un popolo», e gli interessi del privato cittadino, a godere dell’utilità economica del medesimo, detta la scelta nazionale in materia di circolazione delle opere d’arte.

A livello internazionale l’Italia possiede un patrimonio culturale immenso e di inestimabile qualità, di conseguenza da sempre il legislatore da sempre ha fatto prevalere l’interesse pubblico alla sua conservazione e fruizione, limitandone la libera circolazione, al fine di scongiurare la fuoriuscita dei capolavori. 

Negli Stati Uniti, Paese che a livello costituzionale difende con forza la proprietà privata, mentre è lasciata alla legislazione statale la tutela del patrimonio artistico-culturale, i singoli stati non hanno la possibilità di limitare la proprietà privata nemmeno ai fini della conservazione, sicché colà non vi è una normativa che limiti le esportazioni dei beni culturali (se non per gli oggetti rubati) e non è richiesto alcun certificato di esportazione.

In Europa negli anni ’90 la Comunità Europea, con l’abolizione delle frontiere interne e la libera circolazione di merci e beni nel mercato comune, ha sentito la necessità di armonizzare anche le legislazioni interne in materia di circolazione di opere d’arte. Per esempio le normative nazionali in materia erano più restrittive in alcuni nei paesi del Sud (Italia, Spagna e Grecia) che in quelli del Nord. E’ stato quindi adottato prima il Regolamento Comunitario N. 3911/92, più volte emendato, e poi il Regolamento (CE) n. 116/2009. Nel tentativo di armonizzare le leggi nazionali esso ha introdotto una Licenza di Esportazione Comunitaria la quale viene rilasciata, su richiesta dell’interessato, dall’Autorità competente dello Stato. Essa è richiesta per le esportazioni extracomunitarie di tutti i beni culturali che rientrano nel campo di applicazione del regolamento CE (che ne contiene un’analitica elencazione). Ogni stato membro tuttavia ha diritto ad applicare pure le normative in materia, anche se più restrittive, pertanto un bene culturale che abbia diritto al certificato di esportazione comunitario potrebbe vedersi negata la licenza di esportazione laddove lo stato membro lo faccia rientrare tra quelli aventi interesse artistico, storico o archeologico. La Licenza di Esportazione Comunitaria è rilasciata dall’Ufficio di Esportazione contestualmente all’attestato di Libera Circolazione: in Italia non oltre trenta mesi dal rilascio di quest’ultimo da parte del medesimo ufficio, ed è valida sei mesi (ora un anno).

Modifiche apportate dal DDL Concorrenza

Le norme legislative italiane in vigore sino all’agosto del 2017 fissavano in 50 anni dalla realizzazione dell’opera il limite temporale in cui le opere di artisti defunti potevano uscire dal territorio nazionale senza il rischio della notifica.

Per venire incontro alle esigenze dei vari operatori del mondo dell’arte (gallerie, case d’asta e privati proprietari) che, come sopra precisato, attribuivano alla severa normativa italiana l’andamento negativo del mercato, il Parlamento, dopo anni di discussione, ha modificato in parte le norme nazionali sulla notifica, armonizzandola con quella comunitaria.

Il DL concorrenza, approvato il 17 agosto 2017, ha innanzitutto innalzato il limite temporale per la notifica delle opere di un artista defunto da cinquant’anni a settant’anni (favorendo il commercio delle opere dal 1948 al 1968) e poi ha introdotto una soglia di valore unica per i beni notificabili introducendo la libera circolazione delle opere di autore non più vivente realizzate da oltre settant’anni se di valore inferiore ad € 13.500. A dette opere il regime della notifica non si applica e per esse il proprietario potrà chiedere ed ottenere il certificato di esportazione sulla scorta di un’autocertificazione (che sarà valutata dagli uffici sulle esportazioni e dalle soprintendenze). Detta soglia è stata volutamente stabilita in misura di molto inferiore rispetto agli altri paesi comunitari per impedire la libera fuoriuscita dal territorio nazionale di beni sulla scorta della mera autocertificazione. Già il regolamento comunitario prevedeva la possibilità di circolazione all’interno della Comunità di opere d’arte non dichiarate tesoro nazionale al di sotto di un certo valore che cambia di Stato in Stato. La soglia di valore di fatto non è mai stata applicata dall’Italia la quale accanto alla Licenza Europea, come sopra precisato, ha previsto pure la necessità di un Attestato di Circolazione che non fa riferimento alcuno a valori soglia. Con la riforma è stato introdotto il sopracitato limite di € 13.500 per le vendite sia intracomunitarie che extracomunitarie.

La riforma ha introdotto poi un passaporto per le opere avente durata quinquennale per agevolare il rientro delle opere che escono dal territorio nazionale. E’ stato anche innalzato il limite temporale di validità della licenza di esportazione dei beni culturali al di fuori del territorio dell’Unione Europea da sei mesi ad un anno.

Da ultimo il registro «delle cose antiche ed usate» è stato trasformato in un «registro in formato elettronico», consultabile in tempo reale.

Sintesi: Certificazioni necessarie per la circolazione di opere d’arte

Affinchè possa uscire definitivamente dal territorio italiano un’opera d’arte o qualsiasi bene culturale non notificato o realizzato da un autore defunto da più di settant’anni, e di valore superiore a € 13.500, essa necessita di:

  • un Attestato di Libera Circolazione per l’uscita verso un altro stato membro dell’Unione Europea;
  • una Licenza Comunitaria oltre all’Attestato di Libera Circolazione per l’uscita verso i paesi extracomunitari.

Per l’esportazione o la spedizione di opere di u autore defunto che abbiano meno di 70 anni e di valore inferiore ad € 13.500 o di autore vivente è sufficiente un’autocertificazione da consegnare all’Ufficio Esportazione, alla quale saranno allegate la fotocopia di un documento d’identità del richiedente e la fotografia dell’oggetto.


Questo articolo è stato tratto da ARTS+ECONOMICS aprile 2018
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