Malgrado il monetarismo convinto, l’attrattiva a lungo termine del Giappone rimane intatta

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La determinazione con cui il governatore della Banca del Giappone Haruhiko Kuroda si impegna a conseguire un obiettivo di inflazione probabilmente irrealizzabile è preoccupante, ma non è ancora troppo tardi per cambiare il corso della politica monetaria, afferma Joël Le Saux, gestore di portafoglio del fondo OYSTER Japan Opportunities di SYZ Asset Management.

Nel suo ultimo articolo Le Saux spiega perché Kuroda debba adottare misure urgenti per evitare conseguenze indesiderabili della politica monetaria ultra espansiva e, tralasciando i timori da questa suscitati, perché la correzione del mercato giapponese offra agli investitori con un orizzonte di lungo termine un punto di ingresso interessante.

Anche se la scelta di un obiettivo di inflazione ambizioso poteva essere giustificata quando il Giappone ristagnava nella deflazione, oggi il governatore della banca centrale nipponica dovrebbe rendersi conto che, come ha detto Albert Einstein: “è pura follia continuare a fare sempre la stessa cosa aspettandosi risultati diversi”. Malgrado per cinque anni la Banca del Giappone abbia somministrato stimoli monetari senza precedenti, l’obiettivo di inflazione del 2% resta un sogno irrealizzato.

Ma allora, perché insistere sul 2%? Memori degli effetti perniciosi dei picchi di inflazione negli anni 70 e all’inizio degli anni 80, le banche centrali delle economie sviluppate oggi vedono gli obiettivi come il caposaldo imprescindibile di un’efficace politica monetaria. Tuttavia l’economia giapponese è diversa dalla maggior parte delle economie avanzate, in quanto presenta caratteristiche demografiche preoccupanti e una lunga storia di deflazione.

Kuroda è vittima delle circostanze?

In una recente audizione dinnanzi alla camera bassa del Parlamento, Kuroda ha affermato che la banca centrale valuterà la possibilità di abbandonare l’attuale politica monetaria ultra espansiva nel 2019, se verrà centrato l’obiettivo d’inflazione. Ma il futuro dell’economia del Giappone è già tracciato, e Kuroda dovrebbe rendersi conto che un eccessivo allentamento monetario potrebbe non lasciare al paese spazi di manovra per reagire a eventuali turbolenze di mercato future. Inoltre, una politica eccessivamente espansiva è una minaccia per la solidità delle istituzioni finanziarie nazionali e la solvibilità futura del Giappone.

Non solo l’arsenale di misure monetarie a disposizione di Kuroda sta diminuendo, ma il previsto impatto dell’aumento dell’IVA, che entrerà in vigore nell’ottobre del 2019, potrebbe erodere la crescita. Nel frattempo, la probabile fine della stretta monetaria della Fed entro il 2020 acuirà il problema del differenziale tra i tassi statunitensi e quelli giapponesi. Per questo motivo, Kuroda non ha alternative e deve necessariamente modificare il corso della politica monetaria prima che ciò si verifichi. Inoltre, vista l’insistenza con cui ha sempre perseguito l’obiettivo del 2%, dovrà annunciare un aumento dei tassi con almeno due trimestri di anticipo per preparare gli investitori.

La Banca centrale potrebbe decidere di ridurre le misure di allentamento “in sordina”, ma i mercati se ne accorgerebbero subito esaminando il bilancio mensile, ciò si rifletterà sui rendimenti dei titoli di Stato a 5-10 anni e la curva dei tassi si irripidirebbe.

Il rafforzamento dello yen crea un interessante punto di ingresso

Anche se la Banca del Giappone rifiuta di accettare l’evidenza, i segnali sul mercato dei cambi sono inequivocabili. Il rafforzamento dello yen a quota 110 contro il dollaro statunitense agli inizi del 2018 mostra che il mercato sta già dando credito alle voci di un possibile aumento dei tassi.

La moneta nipponica continuerà ad apprezzarsi nei confronti del biglietto verde, anche perché in base ai piani del governo Abe entro il 2030 almeno un quinto dei consumi energetici del Giappone sarà coperto da fonti nucleari. Questo farà salire l’avanzo delle partite correnti (attorno al 5-6% del PIL) con la graduale riduzione delle importazioni di prodotti energetici.

L’apprezzamento dello yen non dovrebbe avere conseguenze sul volume degli scambi commerciali e sulle esportazioni, ma a causa dell’impatto valutario le società esportatrici e le loro controllate estere realizzeranno minori utili sulle vendite in yen. Le previsioni di consenso vedono una modesta crescita degli utili per azione nel 2018 e un P/E di 14 volte.

È quindi riemersa la ben nota correlazione negativa tra lo yen e il listino nipponico, con il Topix in ribasso a fronte dell’apprezzamento dello yen. Anche se è probabile che questo movimento abbia penalizzato gli operatori esteri che hanno investito in chiave opportunistica per sfruttare la dinamica positiva degli utili nipponici prima dell’ultimo ribasso, la correzione offre un interessante punto di ingresso per gli investitori con un orizzonte di investimento lungo.

Motivi di ottimismo

Tralasciando le perplessità sollevate dalla Banca del Giappone, vi sono giustificati motivi di ottimismo sull’evoluzione della crescita del paese. La temporanea contrazione del PIL dovuta alle condizioni climatiche avverse e al ciclo di riduzione delle scorte, interviene dopo nove trimestri consecutivi di espansione, il più lungo periodo di crescita economica del paese dal 1989. La fiducia delle imprese per il momento si mantiene vicina ai massimi degli ultimi 20 anni.

Inoltre, negli ultimi cinque anni gli occupati in Giappone sono cresciuti dello 0,6% all’anno, rispetto alla contrazione dello 0,2% su base annua nel “decennio perduto”. L’offerta di posti di lavoro impiegatizi è stagnante, ma la domanda di manodopera a basso costo supera l’offerta e i salari dei lavoratori occasionali mostrano un tasso di crescita del 2-3% l’anno.

L’ascesa dei robot

Dopo la crisi finanziaria, il mercato nipponico è stato caratterizzato dalla performance esponenziale delle mid cap (+235%), che ha nettamente superato quella delle large e mega cap (rispettivamente +172% e +126%). Dopo la lunga fase di sovraperformance rispetto alle azioni delle grandi imprese, oggi i titoli delle mid cap del mercato giapponese non rappresentano più un investimento di nicchia interessante.

Attualmente i titoli growth sono molto costosi, le loro quotazioni comportano un P/E di oltre 20 volte, mentre è ancora possibile trovare azioni value con un rapporto prezzo/utili inferiore a 10. Questa vertiginosa crescita ha interessato soprattutto i titoli dell’intelligenza artificiale, che sono stati letteralmente rastrellati dagli ETF dedicati ai settori della robotica e dell’intelligenza artificiale. Per tale motivo, sebbene il Topix rappresenti solo il 9% dell’indice MSCI, a causa della forte presenza di società giapponesi oltre il 25% dei titoli di questi segmenti è in mano ai fondi quantitativi. Pertanto, se queste tematiche dovessero diventare meno attrattive, le conseguenze potrebbero essere profonde e dolorose.

Nell’attuale contesto, cercare di sincronizzare la rotazione dello stile e delle capitalizzazioni di mercato è altamente rischioso. È di capitale importanza adottare un approccio di investimento rigoroso, che punti sui titoli trattati a sconto rispetto al loro valore equo invece di inseguire il dinamismo degli utili. Alla luce del rialzo messo a segno negli ultimi 12 anni e delle elevate valutazioni delle mid cap, è consigliabile anche costruire un portafoglio bilanciato tra mid e large/mega cap.


Joël Le Saux – Portfolio Manager – SYZ Asset Management