Le osservazioni della Corte dei Conti sulle riforme previdenziali

Roberto Carli -

Nel Rapporto 2018 sul coordinamento della finanza pubblica della Corte dei Conti recentemente pubblicato vi è un ampio approfondimento sul nostro sistema previdenziale.

Si parte da una disamina del “passato prossimo” analizzando l’andamento del quinquennio 2012-17. Dopo l’approvazione della legge n. 214/2011, sul fronte della spesa previdenziale, si osserva, il legislatore è stato prevalentemente impegnato a contrastare gli effetti indesiderati di un brusco mutamento di regole imposto da un’acuta crisi di debito, effetti prevedibilmente esacerbati dal quadro economico generale al cui interno il processo di riforma si è dovuto produrre.

La strategia sembra essere stata contraddistinta da due fasi, prosegue la Corte dei Conti, una prima nella quale si è affrontato essenzialmente il tema degli “esodati” attraverso una successione, con molti strascichi, di norme di salvaguardia; una seconda in cui si è cercato di costruire un ponte tra la previgente e la nuova normativa, predisponendo strumenti ad hoc i cui effetti sono al momento solo in parte valutabili anche a motivo di rilevanti ritardi di implementazione. In particolare si è cercato di introdurre elementi di flessibilizzazione di carattere più generale come per esempio la rimozione delle penalità in caso di pensionamento anticipato, l’anticipo pensionistico per i “lavoratori precoci” la possibilità di cumulo gratuito dei periodi contributivi; l’anticipo pensionistico (APE) sociale, volontario e aziendale, nonché la Rendita integrativa temporanea anticipata (RITA).

Andando ad analizzare le prospettive future si evidenzia come il rapporto spesa per pensioni su Pil è influenzato da una evoluzione non positiva di natalità e mortalità e quindi del grado di dipendenza degli anziani, dalla capacità del sistema di esprimere adeguati tassi di produttività e quindi di crescita del prodotto considerato nel suo assieme.

È peraltro importante, in un tale contesto, avere consapevolezza del fatto che le politiche economiche dell’oggi e del futuro prossimo possono influire sulle determinanti della spesa pensionistica di lungo periodo ed influenzarle in positivo, creando i presupposti per future valutazioni più incoraggianti di quelle consegnate dagli aggiornamenti recenti.

Resta dunque fondamentale orientare le scelte di policy verso il rafforzamento delle variabili macroeconomiche e demografiche che maggiormente condizionano il rapporto spesa pensionistica/Pil (tasso di natalità, di partecipazione al mercato del lavoro, di infrastrutturazione materiale e immateriale, di investimento tecnologico e in capitale umano per stimolare la produttività totale dei fattori, politiche dei flussi migratori) e al tempo stesso preservare i miglioramenti strutturali di fondo che il sistema ha realizzato in questi decenni.

In questo ambito si iscrive certamente l’innalzamento dell’età effettiva di pensionamento, che un recente lavoro della Banca centrale europea6 ha indicato come il requisito che più e meglio di altri assicura sostenibilità di lungo termine al sistema previdenziale. Sotto questo aspetto, ogni elemento di possibile flessibilizzazione del sistema, dovrebbe comunque tener conto di compensazioni che assicurino l’indispensabile, menzionata, sostenibilità finanziaria.