Le valutazioni dell’Inps su quota 100

Roberto Carli -

L’Inps ha presentato la propria Relazione annuale che sviluppa una serie di informazioni statistiche e di considerazioni sui progetti di nuovo riordino del nostro sistema previdenziale del Governo del cambiamento.

In primo luogo si sottolinea come l’andamento demografico del nostro Paese con un innalzamento della vita media e un calo della natalità ci espone a rischi di equilibrio prospettico. Diventa allora necessario il contributo lavorativo e previdenziale degli immigrati, si osserva. Anche perché solo il 4,1% delle pensioni vigenti oggi sono prestazioni liquidate interamente con il sistema contributivo e il 13,6% con il sistema misto.

La maggior parte sono ancora con il retributivo, molto “più caro” per chi lavora e insostenibile se i contribuiti previdenziali che entrano nel sistema sono esigui.  Andando alla platea dei beneficiari dei trattamenti previdenziali si evidenzia come nel 2017 i pensionati Inps sotto i mille euro al mese sono pari a 5 milioni e 548 mila, il 35,9 per cento del totale (15 milioni e 477 mila).

Per le donne la percentuale di chi riceve meno di 1.000 euro al mese si alza al 44,8% (3 milioni e 686 mila). Sono invece quasi 1 milione e 114 mila (il 7,2%) coloro che percepiscono più di 3 mila euro al mese.Con riferimento a quota 100 si calcola che , se “pura”, costa costa fino a 20 miliardi all’anno mentre quota 100 con 64 anni minimi di età costa fino a 18 miliardi annui che si riducono a 16 alzando il requisito anagrafico a 65 anni, quota 100 con 64 anni minimi di età e il mantenimento della legislazione vigente per quanto riguarda i requisiti di anzianità contributiva indipendenti dall’età costa fino a 8 miliardi. Ripristinare le pensioni d’anzianità significa poi ridurre il reddito netto dei lavoratori.

In un sistema pensionistico a ripartizione come il nostro, i contributi di chi lavora servono ogni anno a pagare le pensioni di chi si è ritirato dalla vita attiva. Oggi abbiamo circa 2 pensionati per ogni 3 lavoratori, rapporto destinato a salire nei prossimi anni. Se dovessimo oggi abbassare l’età di pensionamento con prestazioni che hanno ancora una forte componente retributiva, si creerebbe una situazione in cui i lavoratori dovrebbero destinare fino a due terzi del proprio salario al pagamento delle pensioni. Ad esempio, ripristinando le pensioni di anzianità con quota 100 (o 41 anni di contributi) si avrebbero subito circa 750.000 pensionati in più.

Secondo l’Inps bisognerebbe invece accelerare la transizione al metodo contributivo. Per quel che riguarda la riduzione delle pensioni di importo elevato così come proposto nel 2015 in “Non per cassa ma per equità”, andrebbero applicati i coefficienti di trasformazione anche alle pensioni retributive del passato superiori a un importo prefissato (nella proposta Inps si ragionava sul reddito pensionistico, inclusi eventuali vitalizi per cariche elettive, sopra i 5.000 euro lordi mensili). La correzione attuariale si ottiene moltiplicando la quiescenza maturata col metodo retributivo per il rapporto fra il coefficiente di trasformazione proprio dell’età di decorrenza e quello dell’età del pensionamento di vecchiaia in quegli anni.