L’alchimia di Bouke de Vries

Andrew Davies -

L’ideale sarebbe sempre incontrare gli artisti nel loro ambiente di lavoro. Questo piccolo accorgimento consente loro di essere a proprio agio e di parlare dei propri progetti conclusi o in corso, mentre continuano a lavorare.

Sono seduto all’interno di un piccolo studio bianco mentre Bouke (si pronuncia “BOW-ka”) de Vries realizza una rosa con cocci di porcellana blu e bianca del XV-XVI secolo rinvenuti sul fondale marino della Malesia. Prima di applicare qualche altro petalo con una colla realizzata dall’industria aeronautica (resta malleabile e non sbiadisce), crea la testa del fiore a partire da un cerchio fatto con bastoncini di metallo dorati posti attorno a una figura di porcellana blanc de Chine di Guanyin. La scultura della pacifica divinità circondata da una ghirlanda o, per meglio dire, da un “bocage” di rose blu e bianche (rose, non tulipani!) sta prendendo forma sotto i miei occhi. Chiedo se esista una bozza o un progetto iniziale dell’opera. Bouke alza le spalle, fa ruotare la sedia e solleva i piedi, pulendo gli eccessi di colla con il grembiule. “Il progetto è tutto nella mia testa. Non realizzo mai bozze, creo e basta,” afferma con un lieve accento olandese.

Potremmo essere seduti in un qualsiasi capanno da giardino sul retro di una casa degli anni Venti della West London. Tuttavia, le statue all’esterno di Mao Zedong che saluta e la recinzione realizzata con porte di camere da letto riciclate fanno di questo luogo uno spazio allegro e pieno di idee.
Bouke condivide questo approccio alla vita con il partner Miles Chapman, che dopo una brillante carriera come redattore di Tatler e Vanity Fair ha deciso di diventare gioielliere. Le sue creazioni combinano catene in argento e frasi provocatorie (Madonna ne ha comprata una).

“Creo e basta” è un vero e proprio leitmotiv dell’intera carriera di Bouke. Nato e cresciuto a Utrecht, ha studiato design a Eindhoven. Il corso richiedeva un anno di tirocinio con almeno tre mesi all’estero.
Sceglie così di andare a Londra e di bussare direttamente alla porta della fashion designer dai capelli rosa Zandra Rhodes. Zandra Rhodes ne è entusiasta, gli offre una stanza in casa sua e ne fa il suo tuttofare personale per tredici settimane. (Vi è poi tornato per sei anni, e potrebbe lasciare chiunque a bocca aperta semplicemente svelando tutte le celebrità che negli anni Ottanta ha visto passare per quella porta tinta di rosa di Notting Hill.) Nel frattempo completa gli studi e diventa il primo dipendente del modista Stephen Jones, capace di creare cappelli in stile New Romantic per stilisti del calibro di John Galliano e musicisti come Boy George, che ne ha indossato uno nel video del 1982 della hit musicale “Do you really want to hurt me” (l’esperienza con Stephen è stata per Bouke un vero “fuori programma”).

Tuttavia il mondo della moda non fa per lui. Così Bouke decide di passare oltre e di concentrarsi sull’antiquariato, da sempre la sua grande passione. Si iscrive quindi al West Dean College, nel West Sussex, dove frequenta un corso di due anni per il restauro della ceramica. Adora i 6.000 acri di terreno che circondano la residenza in selce realizzata dalla Fondazione Edward James per ospitare questo college di fama mondiale. In quel periodo Bouke risiede a Dower House e ottiene un posto al Victoria and Albert Museum. Anna Plowden, del gruppo di restauratori Plowden & Smith, è la sua responsabile. Bouke inizia la propria carriera individuale in uno spazio di lavoro condiviso; in breve tempo si costruisce un’ottima fama di restauratore di ceramiche che sarebbe durata per i diciotto anni a venire, lavorando per clienti come l’associazione National Trust, la Courtauld Gallery e alcune importanti case d’asta, facendosi notare dai principali mercanti di ceramica.

Restaurare la ceramica è un’arte meravigliosa. Rimango incantato dalla coordinazione tra l’occhio e la mano di Bouke e non posso credergli quando mi dice di essere un tipo poco paziente. La ceramica è l’opera d’arte primordiale più diffusa e popolare. Con il tempo aumenta il suo valore. Oggi accade spesso che gli oggetti, se danneggiati, perdano valore. Per molti occidentali il restauro ideale della ceramica deve essere impercettibile all’occhio umano. Tuttavia in Giappone, la tecnica secolare chiamata Kintsugi o Kintsukuroi (letteralmente “riparare con l’oro”) prevede che i pezzi rotti o mancanti vengano rispettivamente saldati o sostituiti utilizzando una mistura di lacca e oro, argento o platino in polvere. La filosofia di questa tecnica è di non nascondere la storia dell’oggetto, ma piuttosto di enfatizzarla tramite la riparazione.
In Giappone, i segni del tempo o di una riparazione contribuiscono alla bellezza imperfetta dell’oggetto. Anche Bouke utilizza questa tecnica (impiegando a volte la resina) poiché rispecchia la sua filosofia secondo la quale “anche se un oggetto è rotto, non perde valore e bellezza”. Mi mostra un piatto smaltato realizzato in ceramica di Delft restaurato con la tecnica Kintsugi e la semplicità delle riparazioni in oro lo rendono un pezzo estremamente contemporaneo. L’artista di ceramiche Grayson Perry, vincitore del Turner Prize, ha apprezzato così tanto l’idea che ha volontariamente rotto due vasi per consentire a Bouke di effettuarne una riparazione con l’oro. Da allora Bouke è il suo restauratore di fiducia.

Inoltre Bouke ha iniziato ad affiancare al restauro la realizzazione di oggetti divertenti che nascono per puro diletto. Pezzi ispirati a ceramiche rotte che, in questo modo, hanno avuto una seconda vita, talvolta molto diversa dalla prima. Per realizzare queste opere Bouke fa ampio uso delle abilità e delle tecniche perfezionate durante la carriera di restauratore.

Ad esempio, un’urna funeraria romana in vetro verde da lui restaurata al Victoria and Albert Museum ha fornito l’ispirazione per l’idea del “contenitore di memoria”: su richiesta dell’artista soffiatori di vetro professionisti hanno ricreato l’esatta forma del vaso, che diventa un involucro trasparente all’interno del quale Bouke ha collocato i pezzi rotti del vaso originale. Adrian Sassoon, esperto di porcellane di Sèvres e tra i maggiori espositori di opere decorative contemporanee, vede questi contenitori nello studio di Bouke, e da allora diventa il suo principale gallerista.

Ed ecco come avviene il suo passaggio da artigiano ad artista. Tuttavia la riparazione, il riciclo e il riuso di ceramiche storiche di valore resta il fil rouge del suo lavoro, che include una cartina della Cina realizzata con cocci blu e bianchi di epoca dinastica e una cartina dell’Olanda ottenuta con pezzi di oggetti domestici in ceramica di Delft bianca.

A oggi la sua opera più grande, War & Pieces, è un trionfo da tavola del 2012 realizzato per l’Holborn Museum di Bath con l’Arts Council. L’opera assemblata è lunga 8 metri, profonda 1,5 e alta 1,2 ed è stata esposta in luoghi prestigiosi come il Castello di Charlottenburg a Berlino (nel 2013), il castello di Alnwick e altre residenze di campagna in Gran Bretagna. L’opera è attesa al Wadsworth Atheneum in Connecticut. Il cuore del trionfo (circondato da un letto di cocci di ceramiche Ikea) è un fungo atomico nucleare affiancato dalle figure di Atena ed Ercole in stile Derby. Realizzate a mano, alcune delle figure sono state ricoperte di zucchero, un richiamo al fatto poco noto che le sculture da tavolo originariamente erano fatte proprio di zucchero.

Al Pallant House di Chichester, Bouke ha utilizzato il proprio estro creativo per rinnovare un’esposizione della famosa collezione del museo di porcellane di Bow. Una delle sue tecniche preferite prevede la selezione e la raccolta di articoli simili. Nel 2017 Bouke realizza la Golden Box, un’esposizione di porcellane storiche che offre un’esperienza a 360°. Lo spettatore si trova a camminare in un cubo di perspex posto all’interno della Croome Court nel Worcestershire. I sontuosi esterni del cubo riflettono l’architettura palladiana dell’altrimenti spoglia sala da pranzo e il paesaggio di Capability Brown circostante. All’interno del cubo vi è una immensa raccolta di luccicanti porcellane di Sèvres e Worcester, allestite persino sul soffitto. È inoltre possibile ammirare le fragole modellate del servizio “Blind Earl”, il cui nome risale al quinto Conte di Coventry, che perse la vista durante un incidente di caccia nel 1780. A seguito di questo episodio commissionò alla fabbrica di porcellana Worcester, situata nelle vicinanze, un servizio con dettagli di foglie e frutta in rilievo, in modo che attraverso il tatto potesse rivivere in qualche modo l’esperienza sensoriale di cui la cecità lo aveva privato.

Bouke lavora nel suo studio da solo, in compagnia di una radio. Oggi si dedica più alla sua arte che al restauro, lavorando rapidamente e con grande abilità. Mentre lasciamo lo studio mi soffermo ad ammirare una gabbia per uccelli intrecciata in fil di ferro in cui sono inserite vere ali di ghiandaia; all’interno sono stati assemblati cocci di porcellana blu e bianca che formano un uovo. Nella stanza in cui entro subito dopo, tra mensole piene di oggetti si trova una coppia di grandi vasi della memoria a balaustra, insieme a un set di cinque porcellane cinesi da decorazione destinate allo stand Adrian Sassoon in occasione del TEFAF. Davanti a me si staglia la magnifica figura di una Madonna che prega posta su un piedistallo e intagliata nel legno, alta circa due metri.
La superficie originale della statua degli anni Venti è stata soffiata per ottenerne una di colore nero opaco; la sua aureola è, ovviamente, un piatto cinese blu e bianco riparato con l’oro. Nel petto è posto un disco in perspex che racchiude un’orchidea bianca. Questo “reliquiario” è un altro “pezzo di memoria”, omaggio a una stravagante composizione di orchidee bianche spedita da una cliente entusiasta di come Bouke aveva restaurato un suo vaso di Grayson Perry. Quella cliente era Madonna.


Andrew Davies – Survey Manager ed esperto d’arte. Ex banditore d’asta – AXA Art