Semplificazioni nella circolazione dei beni immobili culturali

Claudia Petraglia -

Prima di affrontare il tema specifico affidatomi, vorrei tentare un piccolo inquadramento del fenomeno circolatorio dei beni culturali nell’ambito del più ampio panorama della tutela del patrimonio culturale in Italia, anche per meglio comprendere le proposte che il notariato desidera sottoporre all’attenzione della politica che si occupa di beni culturali.

Questo articolo è stato tratto da ARTS+ECONOMICS gennaio 2019
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Proposte che, anticipo, vanno nella direzione di suggerire una semplificazione nei procedimenti per la circolazione dei beni culturali e di incoraggiare le iniziative che coinvolgano in maniera sempre più forte e consapevole i privati nella valorizzazione del nostro meravigliosamente ampio patrimonio culturale.

La cultura e il patrimonio storico ed artistico della Nazione rappresentano valori costituzionalmente protetti. L’art. 9 della Carta Costituzionale stabilisce che «La Repubblica Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione». Non deve stupire che nell’art. 9 Cost. si faccia riferimento al patrimonio storico e artistico della Nazione e non al patrimonio dello Stato: il termine Nazione ha, infatti, una valenza più ampia e sta ad indicare non lo Stato inteso quale soggetto pubblico o pubblica amministrazione ma lo Stato Comunità, ossia l’insieme di tutti i soggetti che lo compongono, accomunati da pensiero, cultura, lingua, tradizioni, religione. Senza voler indagare le ragioni storiche e il dibattito che hanno condotto alla formulazione della norma, può con certezza affermarsi che la protezione costituzionale è giustificata dal fatto che la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale hanno la funzione di concorrere a preservare la memoria della comunità nazionale e rafforzare il senso di appartenenza di una comunità, mentre la fruizione dei beni culturali, la conoscenza, la cultura hanno a loro volta hanno la funzione di elevare il grado di giudizio e di discernimento delle persone e di fortificarne la libertà di scelta, contro imposizioni di regime, più o meno oscure o malcelate.

Tutela e fruizione devono andare di pari passo: a nulla vale un bene culturale se esso è sottratto alla sua naturale destinazione che è appunto il godimento da parte della collettività.

E il concetto moderno di bene culturale è ben espresso nel codice dei beni culturali e del paesaggio (D. Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42) ove il termine bene culturale sostituisce le vecchie categorie di cose di interesse artistico e storico, di cose d’arte e d’antichità. Il bene cultura, infatti, viene protetto per ragioni storiche e non solo estetiche.

Si vuol evidenziare così l’importanza che quel bene riveste per la storia dell’uomo e per il progresso della scienza, abbandonandosi la concezione estetizzante alla base della legge del 1939. Il bene culturale ha la funzione di documentazione del tempo e dell’ambiente in cui esso nasce e non è tanto, o non solo, una cosa ma ciò che quella cosa esprime, i valori di cui essa è portatrice.

Poiché il variegato patrimonio culturale nazionale, pur composito, senza che rilevi l’appartenenza a privati, ad un ente pubblico e allo Stato, è tuttavia una universitas di beni che, nell’insieme, contribuisce a consolidare nel tempo il valore identitario della Nazione, spetta allo Stato il potere di esercitare le funzioni di tutela, potere che può giungere, se necessario, alla compressione dei diritti soggettivi vantati dai privati su quegli stessi beni, per assicurarne l’integrità, la conservazione o il godimento da parte della collettività.

Di qui la disciplina del Codice dei beni culturali che prevede una serie di limitazioni nelle alienazioni dei beni culturali, o in caso di beni mobili alle esportazioni degli stessi, con la possibilità addirittura di acquisire coattivamente i beni culturali privati trasferendoli in mano pubblica. Ma come si concilia questa limitazione così forte del diritto di proprietà, anch’essa tutelata dalla Costituzione? (art. 42, comma 1, Cost.).

La risposta è nell’art. 42, comma 2 della Costituzione che afferma che la legge determina i limiti alla proprietà privata allo scopo di assicurarne la «funzione sociale», in una visione solidaristica di collaborazione pubblico/privato per la soddisfazione di interessi superiori e dei diritti fondamentali degli individui, senza mai perdere di vista che la proprietà – tanto più la «proprietà» del bene culturale – presenta la funzione ultima di servire alla persona umana e alla società. E questa è una considerazione da tenere ben presente per verificare se le norme vigenti, anche in materia di circolazione, assicurino davvero la soddisfazione ultima dell’interesse ultimo sotteso alla tutela del bene culturale.

I beni immobili culturali

Partiamo, dunque, dalla individuazione dei BENI CULTURALI. I meccanismi di individuazione sono vari e dipendono dall’appartenenza, privata o pubblica, dei beni culturali. L’art.2 del codice, dopo avere definito i beni culturali come le cose immobili o mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà, distingue, ai fini della tutela, i beni culturali a seconda che appartengano

  1. allo Stato, alle Regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, compresi gli enti ecclesiastici
  2. ai privati.

I primi, purché siano opera di autore non più vivente e siano stati realizzati da oltre settanta anni, sono assoggettati a tutela indipendentemente da qualsivoglia espressa dichiarazione e lo sono fino a quando i competenti organi del Ministero, d’ufficio o su richiesta formulata dai soggetti cui le cose appartengono, non abbiano verificato la sussistenza dell’interesse artistico sulla base di indirizzi di carattere generale stabiliti dal Ministero. Qualora nelle cose sottoposte a verifica non sia stato riscontrato l’interesse, le cose medesime sono escluse dall’applicazione delle disposizioni in tema di tutela ed inoltre, nel caso di verifica con esito negativo su cose appartenenti al demanio dello Stato, delle regioni e degli altri enti pubblici territoriali, la scheda contenente i relativi dati è trasmessa ai competenti uffici affinché ne dispongano la sdemanializzazione qualora, secondo le valutazioni dell’amministrazione interessata, non vi ostino altre ragioni di pubblico interesse.

L’esito positivo dell’accertamento, invece, costituisce dichiarazione di interesse culturale e il relativo provvedimento è trascritto nei pubblici registri.

I secondi, invece, sono assoggettati a tutela solo se si tratti di cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico particolarmente importante e sempre che sia intervenuta apposita dichiarazione di interesse, al termine di un procedimento avviato dal Soprintendente. La dichiarazione, avente valenza costitutiva del vincolo culturale, è adottata dal Ministero e, qualora oggetto del provvedimento di dichiarazione siano cose soggette a pubblicità immobiliare o mobiliare, esso deve essere trascritto nei relativi registri. La ratio di siffatta formalità pubblicitaria è quella di rendere noto ai terzi il carattere culturale del bene.

Regime dei beni culturali: la circolazione

I beni tutelati, come sopra individuati, sono assoggettati alle misure di TUTELA e VALORIZZAZIONE. Nelle misure di tutela rientrano le attività di protezione e conservazione nonché i VINCOLI ALLA CIRCOLAZIONE.

La valorizzazione ricomprende, invece, ogni attività diretta a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso, anche da parte delle persone diversamente abili, al fine di promuovere lo sviluppo della cultura, e comprende, ancora, la promozione ed il sostegno degli interventi di conservazione del patrimonio culturale.

Anche per quanto concerne i vincoli alla CIRCOLAZIONE, il codice dei beni culturali distingue i beni culturali a seconda dell’appartenenza: a) beni culturali appartenenti a soggetto di diritto pubblico o a persona giuridica priva di scopo di lucro; b) beni culturali appartenenti a persona fisica oppure a società commerciale. Nel primo caso (ipotesi sub a) per la negoziazione del bene culturale, ove sia possibile, è richiesta una preventiva autorizzazione alla dismissione. Per i secondi (ipotesi sub b) è previsto solo l’obbligo di denuncia del trasferimento.

Autorizzazione

Gli immobili e le aree di interesse archeologico, gli immobili riconosciuti monumenti nazionali, le cose immobili appartenenti allo Stato, alle Regioni e agli altri enti pubblici territoriali, che ai sensi dell’art. 822 del codice civile fanno parte del demanio pubblico, se dichiarate di interesse particolarmente importante quali testimonianze dell’identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive, religiose, sono inalienabili.

Le cose immobili appartenenti ai soggetti pubblici, territoriali e non, ovvero a persone giuridiche private senza scopo di lucro, compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, qualora siano opera di autore non più vivente e la loro realizzazione risalga ad oltre settanta anni, sono soggetti ad un regime di inalienabilità provvisoria, finché non si esaurisce il procedimento di verifica (e non sia intervenuta, eventualmente, la sdemanializzazione, nell’ipotesi in cui oggetto del suddetto procedimento sia un bene demaniale).

All’esito della verifica positiva, la circolazione è assoggettata ad autorizzazione ministeriale. In tal caso il provvedimento autorizzativo dovrà contenere appropriate prescrizioni e le destinazioni d’uso compatibili con il carattere storico-artistico degli immobili, al fine di garantire la tutela, la valorizzazione e il pubblico godimento degli stessi. Le prescrizioni e condizioni contenute nell’autorizzazione sono riportate nell’atto di alienazione, del quale costituiscono obbligazione ai sensi dell’articolo 1456 del codice civile ed oggetto di apposita clausola risolutiva espressa. Esse sono anche trascritte, su richiesta del soprintendente, nei registri immobiliari. Il soprintendente, qualora verifichi l’inadempimento, da parte dell’acquirente, dell’obbligazione di cui al comma 1, fermo restando l’esercizio dei poteri di tutela, dà comunicazione delle accertate inadempienze alle amministrazioni alienanti ai fini della risoluzione di diritto dell’atto di alienazione.

I beni culturali, anche demaniali, o appartenenti a soggetti pubblici, ante verifica, sono liberamente alienabili nell’ipotesi in cui il trasferimento avvenga tra lo Stato, le Regioni e gli altri enti pubblici territoriali, in considerazione del fatto che il passaggio da un ente territoriale all’altro favorisce la destinazione del bene alla fruizione pubblica.

Né è prevista alcuna autorizzazione per gli atti di alienazione dei beni culturali a favore dello Stato, comprese le cessioni in pagamento di obbligazioni tributarie.

Ovviamente, diventano liberamente alienabili quei beni per i quali il procedimento di verifica di culturalità abbia avuto esito negativo, salvo, qualora sia possibile e necessario, il successivo sub-procedimento di «sdemanializzazione».

Denuncia

In ogni caso di alienazione, anche a titolo gratuito, di un bene culturale, a prescindere dalla natura del soggetto titolare dello stesso (Stato, ente pubblico territoriale e non, soggetto privato) è prevista, sempre, la denuncia di trasferimento.

La denuncia, innanzitutto, è finalizzata a garantire l’esigenza di informazione della pubblica autorità in ordine alla disponibilità giuridica del bene, in modo che la stessa possa vigilare sulla conservazione e tutela della cosa. Solo in presenza di ulteriori presupposti persegue il fine di consentire l’esercizio della prelazione in favore dello Stato. Essa deve essere trasmessa al Soprintendente competente per territorio entro trenta giorni: a) dall’alienante o dal cedente la detenzione, in caso di alienazione a titolo oneroso o gratuito o di trasferimento della detenzione; b) dall’acquirente, in caso di trasferimento avvenuto nell’ambito di procedure di vendita forzata o fallimentare ovvero in forza di sentenza che produca gli effetti di un contratto di alienazione non concluso; c) dall’erede o dal legatario, in caso di successione a causa di morte. (Per l’erede, il termine decorre dall’accettazione dell’eredità o dalla presentazione della dichiarazione ai competenti uffici tributari; per il legatario, il termine decorre dall’apertura della successione, salvo rinuncia ai sensi delle disposizioni del codice civile).

Nel caso in cui si tratti di un atto di alienazione a titolo oneroso di un bene culturale o di un conferimento di beni in società scatta la prelazione in favore del Ministero, e quindi dello Stato (o della Regione e degli altri enti pubblici territoriali nel cui ambito si trova il bene, in caso di rinuncia dello Stato). L’ente può acquistare il bene culturale al medesimo prezzo stabilito nell’atto di alienazione, qualora si tratti di atto di trasferimento a titolo oneroso, ovvero al medesimo valore attribuito nell’atto di conferimento, nel caso di beni conferiti in società. La prelazione è esercitata nel termine di sessanta giorni dalla data di ricezione della denuncia. In pendenza del termine l’atto di alienazione rimane condizionato sospensivamente all’esercizio della prelazione e all’alienante è vietato effettuare la consegna della cosa.

La prelazione artistica costituisce un privilegio a favore dello Stato finalizzato al perseguimento di finalità politico-culturali di rilievo costituzionale. Attraverso la prelazione si attua il controllo del mercato delle opere d’arte e la protezione del patrimonio culturale ed artistico da parte dello Stato . In effetti l’acquisto dei beni culturali in mano pubblica rimuove certamente i limiti alla loro fruibilità, rendendo accessibili beni che in precedenza, in virtù dell’appartenenza ai soggetti privati, o erano interamente preclusi alla fruizione (beni mobili) o erano fruibili in modo parziale (beni immobili di eccezionale interesse).

Criticità – Proposte normative

I) Certezza del vincolo
Nonostante la trascrizione dei vincoli nei RR. II. e nonostante una certa digitalizzazione dei servizi e delle risorse culturali del Ministero per i beni e le attività culturali (oggi noi abbiamo a disposizione il cd. Sistema «Vincoli in Rete (VIR)», una banca data in cui sono confluiti i vincoli imposti sul patrimonio immobiliare italiano) accade sovente:

  1. che i dati contenuti nella banca dati ministeriale potrebbero essere non aggiornati e/o in corso di modifica alla data di consultazione, e il Ministero stesso specifica espressamente che la certezza degli stessi potrà essere acquisita solo tramite validazione da parte dei competenti uffici ministeriali a seguito di esplicita richiesta.
  2. la consultazione dei Registri immobiliari è problematica. I registri immobiliari sono su base personale e dunque rappresentano perfettamente le vicende negoziali che hanno interessato un soggetto ma non consentono una fedele ricostruzione di tutte le vicende che riguardano gli immobili. Spesso i provvedimenti sono trascritti in modo impreciso, ma soprattutto la trascrizione risente della situazione giuridica dell’epoca (ad esempio la trascrizione del vincolo sui beni culturali degli enti ecclesiastici eseguita prima del Concordato del 1929, che ha riconosciuto la personalità giuridica agli enti di diritto canonico, era effettuata fiduciariamente a nome del legale rappresentante).

Eppure, è di fondamentale importanza conoscere l’esistenza di un vincolo per il cittadino.
Di qui l’opportunità di introdurre nel codice dei beni un art.15 bis, per prevedere che «la verifica con esito positivo di bene culturale prevista dall’art. 12, nonché la dichiarazione dell’interesse culturale prevista dall’art. 13, quando abbiano ad oggetto beni immobili, devono essere a cura della Soprintendenza comunicate al catasto ai fini della loro indicazione nei registri catastali» così da rendere più semplice per il cittadino l’individuazione dell’esistenza del vincolo culturale dei beni immobili attraverso l’ispezione dei registri catastali. Al fine di recuperare anche i vincoli precedenti si potrebbe onerare i proprietari di segnalare al catasto l’esistenza del vincolo culturale sul bene, con il vantaggio di ottenere o di conservare le agevolazioni fiscali previste per i beni immobili culturali. L’individuazione dell’esistenza del vincolo culturale dei beni immobili nei registri catastali realizzerebbe il duplice obiettivo, da un lato, di semplificare le procedure della Pubblica Amministrazione, in quanto si eviterebbero le richieste e le relative pratiche istruttorie tese a certificare la sussistenza o meno dei vincoli nei casi di vetustà dell’immobile di proprietà di enti non lucrativi, e, dall’altro, di conseguire una maggiore sicurezza dei traffici giuridici, evitando le incertezze originate dalla mancata ispezione di trascrizioni di vincoli molto risalenti nel tempo.

II) Rapidità della circolazione
La denuncia per l’esercizio della prelazione artistica segue, per legge, l’atto di vendita, che nelle more resta sospensivamente condizionato. In un’ottica di semplificazione e velocizzazione dei traffici, potrebbe tornare utile anticipare la denuncia, e dunque l’offerta in prelazione allo Stato degli immobili vincolati, al momento della conclusione di un contratto preliminare trascritto nei registri immobiliari ai sensi dell’art. 2645-bis c.c., così come avviene in altre ipotesi di prelazione legale (ad esempio per la c.d. prelazione agraria).

III) Beni culturali
Altra questione riguarda l’ipotesi in cui ad essere vincolato sia un intero fabbricato condominiale ai sensi dell’art. 1117 del Codice Civile e il trasferimento abbia ad oggetto singole unità immobiliari.

È evidente che in questo caso la prelazione non verrà mai realisticamente esercitata.
Appare, quindi, opportuno escludere l’operatività della prelazione «artistica» – fermi naturalmente gli obblighi di tutela e conservazione previsti dal Testo Unico – per gli immobili condominiali alienati frazionatamente; il tutto per ovvie ragioni di semplificazione ed economia, anche della Pubblica Amministrazione, che così non dovrà più attivare in numerosi casi procedimenti gravosi di verifica dell’interesse ai fini dell’esercizio della prelazione.

Una notazione finale

Nell’affrontare il tema della circolazione dei beni culturali ed i limiti ad essa imposti, nel verificare la farraginosità delle procedure, la sensazione, nonostante il mutamento di rotta delle normative più recenti (Si pensi al decreto legge 31 maggio 2014, n. 83 «Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo», convertito nella legge 29 luglio 2014, n. 106, che introduce, nell’ambito della cultura e del turismo, strumenti concreti ed operativi per sostenere il patrimonio culturale e rilanciare il settore turistico, favorendo in particolare le donazioni che cittadini e imprese faranno in favore di musei, siti archeologici, archivi, biblioteche, teatri e fondazioni lirico sinfoniche in cambio di importanti benefici fiscali sotto forma di credito di imposta – ART BONUS), è che si sia ancora distanti dall’abbandono di una logica di mera tutela, di mera conservazione del bene culturale, in favore di una logica di concreta valorizzazione del bene culturale.

La funzione di tutela che è la prima ad essere stata oggetto di interventi legislativi in materia di beni culturali, a cominciare dalla legge 1 giugno 1939, n. 1089 è purtroppo un’attività statica. Essa è necessaria e strumentale alla valorizzazione ma è quest’ultima ad essere il vero segreto ancora nascosto dei beni culturali, un’attività, cioè, che fa veramente cultura, promozione della cultura e rappresenta un’opportunità di rilancio economico del Paese, di sviluppo «sostenibile» del sistema Italia.

Purtroppo, a causa delle scarse risorse finanziarie dello Stato, la prelazione non viene quasi mai esercitata restando vanificata quella funzione di ricondurre il bene in mano pubblica per garantirne la fruizione. Al contempo i beni culturali in mano pubblica necessitano di enormi risorse per la loro conservazione e per il loro utilizzo anche a fini turistici.
E allora bisogna puntare su altri meccanismi.

Mentre le funzioni di tutela devono essere gestite direttamente dalla pubblica amministrazione, le funzioni di valorizzazione possono essere esternalizzate: è lo stesso art. 115 Codice dei Beni Culturali a prevedere, infatti, la gestione indiretta attuata tramite concessione a terzi delle attività di valorizzazione, anche in forma congiunta e integrata.

La valorizzazione dei beni culturali, cioè, può essere un fecondo campo poco esplorato di sussidiarietà. Il settore culturale, peraltro, è in grado di coinvolgere, per sua stessa natura, soggetti privati non orientati al profitto e spinti da un’idea condivisa di lavorare per il bene comune, l’interesse generale (volontariato, comitati spontanei, enti del terzo settore, società benefit, fondazioni e tra queste ultime, in particolar modo, quelle «bancarie»).

Al di là, dunque, delle esperienze pur utili, e necessarie, sia del mecenatismo, e dunque delle erogazioni liberali detassate, che della sponsorizzazione, dunque del finanziamento di progetti culturali a fronte di un importante ritorno pubblicitario (come è accaduto per i restauri a Roma della «Fontana del Tritone» a Piazza Barberini, della «Fontana di piazza Trilussa» del «Colosseo» grazie all’investimento del “Tod’s Group” e della «Scalinata di Piazza di Spagna» in virtù del finanziamento della maison «BULGARI» nonché della «Fontana di Trevi» e del «Palazzo della Civiltà» grazie alla «FENDI») appare opportuno andare oltre il modello definito del doppio ruolo , il pubblico che mantiene il compito di «gestione» del bene culturale e il privato che si limita a finanziarne le attività.

Appare auspicabile una forma di partecipazione più intensa dei privati, in ossequio allo spirito costituzionale e al portato dello stesso codice che appare sollecitare forme più evolute ed efficaci di partenariato pubblico/privato nella valorizzazione dei beni culturali (es. attraverso concessioni in uso o in locazione). Il contributo dei privati alla valorizzazione si presenta come un’importante risorsa sussidiaria, specialmente in tempi di restrizioni della spesa pubblica.

Ciò che occorre non dimenticare è che la fruizione pubblica del patrimonio culturale, quale scopo della valorizzazione culturale, è la ragione stessa del suo eccezionale statuto giuridico. E’ comprensibile il timore dello Stato che la situazione possa sfuggire di mano, che scelte scellerate possano produrre danni al patrimonio o assecondare solo logiche speculative e meramente economiche. Le scelte circa la fruizione pubblica e gli indirizzi delle iniziative di valorizzazione richiedono pertanto un ruolo incisivo dell’apparato pubblico: è sempre obbligo dello Stato sorvegliare sul necessario allineamento tra tutela del bene, la sua valorizzazione economica e la sua valorizzazione culturale. Ma la difficoltà di tale compito non giustifica una preventiva mera rinuncia a svolgere questo ruolo.

In definitiva, la valorizzazione culturale dei beni culturali, passa per la tutela, ma per realizzarsi pienamente ha bisogno di uno sforzo ulteriore, costruito con la competenza, la volontà e una visione di futuro che restituisca dignità e bellezza al nostro immenso patrimonio culturale per il suo pieno godimento.


Claudia Petraglia – Notaio in Salerno, membro del Consiglio Nazionale del Notariato 


Questo articolo è stato tratto da ARTS+ECONOMICS gennaio 2019
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