Fed, con il nuovo corso tornano driver di rendimento assenti dal 2017

Norman Villamin -

Con dati economici deludenti in quasi tutte le regioni del mondo nel quarto dello scorso anno e all’inizio del 2019, non sorprende che, nonostante la ripresa delle azioni globali, le preoccupazioni per un’imminente recessione siano aumentate.

Tuttavia, gli investitori dovrebbero considerare il rallentamento degli Stati Uniti in particolare come un “mini-ciclo” piuttosto che come un segno di recessione all’orizzonte. È vero che l’inasprimento delle condizioni credito negli Stati Uniti e il difficile contesto finanziario del paese alla fine del 2018 comportano il rischio che i vincoli generali sull’accesso al finanziamento possano trasformare questo rallentamento in una vera e propria recessione. Si tratta della stessa situazione che hanno dovuto affrontare i policy maker sia nel 2011-12 che nel 2015-16, quando l’economia statunitense ha visto segnali di rallentamento della crescita e di inasprimento delle condizioni di credito.

Ancora una volta, la Fed ha reagito in modo da evitare la recessione. A febbraio la Fed ha iniziato a segnalare che nel corso del 2019 porrà fine alla riduzione del suo bilancio, espanso attraverso il quantitative easing. Pertanto, a differenza delle modeste misure adottate in altri periodi (come nel 2015-16), le mosse della banca centrale nei primi due mesi di quest’anno rappresentano un sostanziale cambiamento nel regime di politica monetaria, che dovrebbe stabilizzare la crescita americana.

Storicamente, una pausa nel ciclo di rialzi della Fed permette ai multipli del PE di espandersi, ripristinando un driver per i rendimenti che è assente dal 2017. Tuttavia, con la Fed che non solo ha concluso il suo ciclo di aumento dei tassi, ma che ha anche aggiunto la propensione a un’ulteriore espansione, ponendo fine alla contrazione del suo bilancio nel corso dell’anno, ciò potrebbe portare a un ripetersi della strategia che abbiamo già visto mettere in campo quando la Fed ha messo in pausa il suo ciclo di rialzo nel 1994-95. I benefici di questo approccio dovrebbero vedersi sul mercato con la graduale stabilizzazione dell’economia statunitense e di quella globale, e come si è visto dopo la fine dell’aumento dei tassi nel 1994-95, ci si può attendere un’ulteriore espansione del PE nella seconda metà del 2019.

La combinazione di aspettative di utile riviste al ribasso ad una crescita più ragionevole del 5% per il 2019 e la prospettiva di un’ulteriore espansione del PE, sposta i rischi a favore degli investitori azionari, soprattutto se i mercati dovessero correggere dopo il loro rally da inizio anno.


Norman Villamin – Head of Asset Allocation – Union Bancaire Privée (UBP)