Le Banche centrali rispondono all’appello

Giordano Beani -

Nella conclusione del commento di settimana scorsa si segnalava che “i mercati obbligazionari chiamano ad alta voce in soccorso le Banche Centrali, in particolare la FED, affinché possano agire da pompieri e prevenire gli incendi dovuti alle alte temperature”.

Ebbene la risposta all’appello è prontamente arrivata sia dalla Federal Reserve statunitense sia dalla Banca Centrale Europea. Martedì 4 giugno il Presidente della Fed Jerome Powell durante un suo intervento ad un forum sulle politiche monetarie organizzato dalla Chicago Federal Reserve ha affermato che la Fed sta attentamente monitorando le implicazioni per l’economia statunitense delle aumentate tensioni sul fronte del commercio internazionale e che “agirà in modo appropriato” per sostenere l’espansione economica. È stato abbandonato quindi il riferimento finora usato alla “pazienza” prima di adottare nuove decisioni di politica monetaria. L’immediata lettura da parte dei mercati finanziari è che la Banca Centrale è pronta a ridurre i tassi di interesse. Sulla tempistica il mercato dà per quasi certo un ribasso a settembre, ma prezza anche una possibilità di intervento già a fine luglio. Quanto alla BCE, nella riunione del Consiglio Direttivo di giovedì 6 giugno è stata modificata la cosiddetta “forward guidance”, vale a dire l’indicazione sulle prospettive future della politica monetaria, spostando l’eventuale prima modifica dei tassi ufficiali a non prima della metà del 2020, mentre l’indicazione precedente faceva riferimento alla fine del 2019. La BCE ha anche fornito i dettagli delle prossime operazioni di rifinanziamento di lungo termine del sistema bancario dell’Eurozona, note in gergo tecnico come TLTRO3 (Targeted Long Term Refinancing Operations). Le condizioni applicate appaiono migliori rispetto a quanto in precedenza dichiarato, nel senso che il costo per il sistema bancario di tali operazioni può oscillare tra +0,10% ed un minimo di -0,3% nel caso in cui le banche rispettino specifici obiettivi di crescita del credito alle imprese e dalle famiglie al netto dei mutui ipotecari. Le differenze principali rispetto al TLTRO2 sono da un lato che il tasso è variabile, mentre prima era fisso, e che la scadenza delle operazioni è a due anni invece che quattro.

Sul fronte macroeconomico da segnalare la pubblicazione di vari indici PMI dei servizi in Cina, USA ed Eurozona, che complessivamente segnalano una maggior tenuta del settore dei servizi rispetto a quello manifatturiero, maggiormente colpito in prima battuta dalle guerre commerciali. Inoltre, venerdì scorso sono stati pubblicati i dati sugli occupati non agricoli per il mese di maggio negli Stati Uniti, dati che sono stati nettamente inferiori alle attese con solo 75.000 nuovi occupati rispetto ai 185.000 attesi dal consenso. Sono stati rivisti, peraltro al ribasso, anche i nuovi occupati del mese di marzo e aprile, confermando i timori del mercato di una fase di rallentamento già in corso prima dell’acuirsi delle tensioni commerciali. Il tasso di disoccupazione è invariato al 3,6% e di salari medi orari sono saliti del 3,1% su base annua, lo 0,1% in meno delle attese. L’effetto combinato di quanto sopraesposto sui mercati finanziari è stato ampiamente positivo.

I mercati azionari internazionali hanno salutato il “pronto soccorso” delle Banche Centrali con rialzi consistenti, in particolare in USA ed Europa. Gli Stati Uniti infatti chiudono la settimana con l’Indice S&P500 in rialzo del 4,4%, fornendo un segnale molto positivo dopo la rottura al ribasso la settimana precedente della media mobile a 200 giorni e della soglia psicologica importante di 2.800 punti dell’Indice.

Anche l’Area Euro ha rimbalzato in modo consistente con l’Indice Eurostoxx50 in ascesa del 2,99% e il nostro mercato domestico che tiene il passo con un +2,82%, aiutato in parte dall’appello alla responsabilità e alla lealtà di lunedì 3 giugno del Premier Conte ai due partiti della coalizione. Il Premier si è detto pubblicamente pronto a lasciare la guida dell’Esecutivo se il clima di eterna campagna elettorale che inficia l’azione di Governo non sarà abbandonato concretamente dalle forze politiche della maggioranza. Meno spumeggianti il Giappone con un +1,38% dell’Indice Nikkei225 ed i mercati emergenti, che va però ricordato erano saliti in controtendenza la settimana precedente, con l’Indice MSCI Emerging che sale del +0,94%.

Quanto ai mercati obbligazionari rendimenti governativi “core” ancora in calo grazie agli effetti delle azioni delle Banche Centrali e spread italiano in forte riduzione a 262 punti base (25 punti base). Sulle divise internazionali da segnalare il deciso indebolimento del dollaro nei confronti dell’Euro da 1,1167 a 1,1330 e per le commodity lieve ripresa del petrolio con il Brent che recupera il 2% dopo i ribassi delle ultime settimane, mentre l’oro rivisita i massimi dell’anno a 1.340,9 dollari l’oncia (+2,7%).

In conclusione, sul finire di settimana si è raggiunto un accordo tra Stati Uniti e Messico che dovrebbe scongiurare l’imposizione delle tariffe minacciata da Trump la settimana precedente. Questo, insieme all’atteggiamento distensivo delle Banche Centrali, dovrebbe consentire ai mercati di consolidare il recupero di settimana scorsa in attesa degli sviluppi del conflitto commerciale sino-americano, della riunione della Federal Reserve del 18-19 giugno e della riunione del G20 a fine giugno in Giappone.

Azioni

Questa settimana i mercati azionari hanno messo a segno una ripresa grazie a una Fed apparentemente più accomodante. Tuttavia non siamo di fronte a un’inversione di tendenza. Il mercato azionario americano è salito più degli altri. I listini azionari continuano a essere influenzati dagli sviluppi del commercio mondiale. La posizione della Fed suscita delle speranze la cui fondatezza rimane da vedere, mentre nelle prossime settimane le stime sui risultati delle società verranno probabilmente riviste al ribasso. La volatilità continuerà a imperversare sui mercati azionari.

Obbligazioni governative

I rendimenti dei titoli di Stato core continuano a scendere. Il rendimento dei Treasury decennali USA si aggira attorno al 2,08% e quello dei bund decennali tedeschi al -0,26% è il nuovo minimo storico (quello precedente -0,19%) era stato registrato il 07/08/2016. Lo spread tra i BTP decennali italiani e i bund decennali tedeschi si è ristretto di 25 pb. All’inizio della settimana la minaccia del presidente Trump di imporre dei dazi del 5% su tutte le importazioni provenienti dal Messico ha acuito i timori che le misure protezionistiche possano incidere pesantemente non solo sul sentiment, ma anche sull’economia reale. Anche i discorsi accomodanti della Fed hanno contribuito alla discesa dei tassi.

Obbligazioni corporate

Gli spread dei prodotti sintetici e delle obbligazioni liquide si sono generalmente ristretti nel corso della settimana sia negli Stati Uniti, sia in Europa. Gli ultimi commenti di Powell riguardo a un possibile cambiamento d’orientamento della politica monetaria a seconda dei futuri sviluppi del commercio mondiale hanno contribuito alla ripresa parziale e alla stabilizzazione degli attivi rischiosi. Nonostante l’ampliamento degli spread nel corso delle ultime settimane, i rendimenti totali delle obbligazioni societarie investment grade americane ed europee hanno dato in generale prova di buona tenuta perché questa classe di attivi è stata sostenuta dal brusco crollo dei rendimenti dei titoli di Stato. Le ultimissime decisioni e comunicazioni della BCE sono state percepite come più accomodanti del previsto, ed è probabile che nei prossimi mesi mantengano dei fattori tecnici favorevoli al credito europeo.

Tassi di cambio

Tra le valute dei G10, il tasso di cambio effettivo del dollaro si è svalutato nel complesso di circa lo 0,80% perdendo terreno soprattutto nei confronti del dollaro neozelandese e del franco svizzero. Lo stesso trend è stato osservato tra le valute dei Paesi emergenti, con il biglietto verde che si è rafforzato solo nei confronti del peso messicano, del peso argentino e del rand sudafricano. Il dollaro statunitense si è svalutato soprattutto per via degli accresciuti timori sulle politiche commerciali americane visto che gli Stati Uniti ora minacciano di applicare dei dazi anche sulle merci importate dal Messico. Le sorprese positive dell’indice PMI della zona Euro e le delusioni riservate dall’indice ISM manifatturiero USA hanno giocato entrambe a sfavore del dollaro che si è svalutato nei confronti dell’euro.

Materie prime

Il petrolio rimane sotto pressione. Le quotazioni del WTI e del Brent sono scese rispettivamente a 53 e 63 dollari al barile a causa di un aumento delle scorte a maggio e dei timori sulla domanda mondiale. L’oro è salito a 1.340 dollari l’oncia grazie ai toni accomodanti della Fed. I metalli di base sono rimasti relativamente tranquilli e sembrano essere in procinto di stabilizzarsi dopo un maggio difficile. Nonostante i recenti timori sulla crescita dovuti all’escalation della guerra commerciale, il quadro economico rimane favorevole alle materie prime. L’OPEC ha smesso di tagliare la produzione e nel caso di un rallentamento dell’economia si adopererà per una stabilizzazione dei prezzi del greggio. I prezzi attuali hanno già scontato i timori sulla domanda e non ci aspettiamo ulteriori correzioni a breve termine. I metalli di base dovrebbero quindi riprendersi rispetto ai livelli attuali. Il tono accomodante delle banche centrali sosterrà in futuro l’oro e il quadro generale appare favorevole.

Stati Uniti

L’indice ISM manifatturiero è sceso a maggio di 0,7 punti a 52,1, mentre l’indice ISM non manifatturiero è salito di 1,4 punti e si è assestato a 56,9. Mentre l’indice manifatturiero ha sorpreso leggermente al ribasso, quello non manifatturiero ha riservato una sorpresa moderatamente positiva. Entrambi rimangono in territorio espansivo e il rapporto indica un certo consolidamento del settore manifatturiero. Maggiore stabilità per i entrambi gli indici: per quanto riguarda quello manifatturiero, la sotto-componente dei nuovi ordini (+1,0 punti a 52,7) e dell’occupazione (+1,3 punti a 53,7) hanno registrato un incremento, e anche quella degli ordini è ritornata in area d’espansione. Per quanto riguarda l’indice non manifatturiero le sotto-componenti dell’attività delle imprese, dei nuovi ordini e dell’occupazione hanno registrato degli aumenti.

Europa

Ripresa di gran parte delle componenti del PIL nel primo trimestre. La crescita del PIL nel primo trimestre si è confermata al +0,4% rispetto al trimestre precedente grazie all’espansione dei consumi delle famiglie (+ 0,5%), degli investimenti (+1,1%) e dei consumi pubblici (0,1%). Il contributo del commercio estero è stato di 0,1 punti percentuali (aumento dello 0,3% per le esportazioni e dello 0,2% delle importazioni), mentre il contributo delle scorte è stato negativo (-0,3 punti percentuali). Questa ripresa semi-generalizzata rappresenta una notizia molto incoraggiante dopo un secondo semestre 2018 deludente. Il calo delle scorte riflette il processo di normalizzazione attualmente in corso dopo le forti difficoltà incontrate lo scorso anno dal settore automobilistico tedesco. Tuttavia, visto il difficile quadro esterno (tensioni commerciali internazionali e l’aumento del rischio di una Brexit senza accordo), prevediamo che nel resto del 2019 la crescita, pur rimanendo positiva, non sarà altrettanto vigorosa.

Mercati Emergenti

I dati sul PIL sudafricano nel primo trimestre hanno evidenziato una crescita dello 0% annuo (-3,2% trimestrale), ben più bassa del previsto e sensibilmente inferiore a quella del trimestre precedente. La debolezza è stata generalizzata. Gli investimenti privati sono diminuiti per quattro trimestri consecutivi su base annua. Le esportazioni sono cresciute nel primo trimestre del 2019 di un po’ meno del 2%, a fronte di un incremento di circa il 6% nel quarto trimestre del 2018. I consumi privati sono diminuiti leggermente, ma visto che rappresentano il 60% del PIL, il loro contributo è stato solamente di 0,3 rispetto allo 0,7 del trimestre precedente. L’effetto di trascinamento per il 2019 è ora negativo. Tenendo conto di diversi fattori -le forti tensioni commerciali tra USA e Cina, l’impasse politica più lunga del previsto dopo le elezioni, un brusco peggioramento dell’outlook fiscale e il problema di Eskom ancora in sospeso, abbiamo rivisto al ribasso le stime per il 2019 portandole da + 1,4% a + 0,8% su base annua e le stime per il 2020 da + 1,5% a + 1,2%.

Giappone

Nonostante un quadro contrastato, nel primo semestre del 2019 gli utili societari sono saliti del 10,3% dopo essere scesi del 7% nel trimestre precedente. Ll settore manifatturiero ha registrato una contrazione su base annua per tre trimestri consecutivi, mentre quello non manifatturiero ha registrato un progresso del 18,3%. La formazione del capitale è cresciuta del 6,9% su base annua per il decimo trimestre consecutivo. I produttori hanno aumentato le spese dell’8,5% nonostante i magri ricavi. Il dinamismo degli investimenti delle imprese determinerà una revisione al rialzo del PIL del primo trimestre in occasione della seconda stima che verrà pubblicata il 10 giugno. Tuttavia, siamo consapevoli del fatto che il peggioramento delle tensioni commerciali sino-americane potrebbe frenare nel prossimo mese l’appetito per gli investimenti delle imprese. La debolezza delle spedizioni dei beni strumentali interni e degli ordini dei macchinari fa presupporre che le imprese stiano valutando di ridimensionare o di rimandare i loro piani iniziali sulle spese per gli investimenti il cui incremento era nell’ordine del 6%-8%.


Giordano Beani – head of Multi-Asset Fund Solutions Italy – Amundi SGR