Brexit, è veramente la fine di un’era?

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Il prossimo 31 dicembre il Regno Unito conluderà la fase di transizione iniziata lo scorso 1° febbraio, il giorno dopo la separazione ufficiale dall’UE. L’accordo di uscita e il periodo di transizione hanno prolungato di fatto lo status del Regno Unito come fosse uno Stato membro (compresi i rapporti commerciali e i pagamenti nel bilancio dell’UE) per tutto il 2020. Mentre molte scadenze sono venute dal voto referendario del 23 giugno 2016, la fine del 2020 è una delle poche scadenze immutabili, poiché entrambe le parti hanno giurato di non prolungare la transizione.

Sul fronte delle trattative commerciali, le sfide derivano dalla portata e dai punti in comune dei diversi sistemi economici e normativi. Questa è la prima volta nella storia che viene creato un nuovo accordo commerciale che ha come obiettivo la separazione, data l’integrazione del Regno Unito nelle strutture dell’UE dal 1973. Quello che avrebbe dovuto essere un processo semplice è stato, come spesso accade nella storia europea, complicato dalla politica. L’UE è stata guidata da quella che considera una minaccia di fondo alla sua stessa ragion d’essere (quell’appartenenza all’UE che conferisce benefici che giustificano il prezzo ai contribuenti netti) e ha fatto grandi richieste al Regno Unito dopo la sua uscita. Il Regno Unito, dal canto suo, ha dovuto giustificare la separazione derivante dall’esito del referendum dimostrando come il suo nuovo status si tradurrà in un aumento della sovranità e dei benefici nazionali.

Tre grandi aree di disaccordo

Innanzitutto, data la natura dell’integrazione del Regno Unito nell’UE, è positivo che le macro aree di divergenza siano solo tre. Ciò che desta maggior preoccupazione nell’immediato è che ci siano questioni in sospeso dalla primavera scorsa e che i passi in avanti ufficiali per risolverle siano stati davvero pochi. Il successo dell’UE nell’assicurare le sue ambizioni chiave nei negoziati di uscita (assestamento finanziario, diritti dei cittadini dell’UE nel Regno Unito e al confine irlandese) ha ingigantito le dinamiche di potere nel corso dei negoziati. Durante l’attuale fase di negoziazione, il Regno Unito ha una forte capacità di contrattazione (pesca, un significativo deficit commerciale di beni e condizioni commerciali più interessanti in termini di dazi applicati nel contesto del WTO) e l’UE è stata riluttante a scendere a compromesso con le proprie richieste di allineamento normativo del Regno Unito alla politica comunitaria.

Più nello specifico, le tre questioni controverse rimangono la pesca, la politica degli aiuti di Stato e i meccanismi di applicazione per garantire che entrambe le parti rispettino un eventuale accordo. La fiducia in questa direzione non è stata di certo supportata dalla proposta di legge sul mercato interno del Regno Unito, che sta ancora lavorando in Parlamento. Tuttavia, nonostante le differenze pubbliche, sono state identificate delle “landing zones” e non mancano compromessi pratici all’orizzonte. La realtà è che negli ultimi quattro anni il Regno Unito si è allontanato dall’idea di soft Brexit che il Primo Ministro May e l’UE avevano inizialmente auspicato. Di conseguenza, nonostante alcuni possibili intoppi a breve termine, l’accordo che si sperava poter essere approvato entro la fine dell’anno non differisce in modo significativo dai termini commerciali del WTO. Come ha osservato il capo negoziatore dell’UE, “ci saranno comunque delle difficoltà” a partire dal 1° gennaio 2021. Mentre Johnson potrebbe preferire un accordo e vederne un contenuto successo di natura politica alla firma, la pressione non è affatto così intensa come lo è stata nei primi due anni per evitare un no-deal Brexit.

Se c’è la voglia, una strada si trova

Partendo dal presupposto che entrambe le parti possano giungere ad un accordo, il processo di ratifica non è semplice e dovrà essere accelerato. Il Parlamento britannico deve approvare il trattato, ma la forte maggioranza del Premier Johnson dovrebbe consentire una rapida approvazione. Sul fronte comunitario, il Parlamento europeo dovrà lavorare rapidamente per dare la sua approvazione, senza sollevare obiezioni. Normalmente, i trattati commerciali devono essere ratificati dai parlamenti nazionali, aspetto che aumenta il tempo necessario. “Dove c’è volontà, un modo si trova” e l’Ue rispolvererà la sua capacità di far passare l’accordo come approvato in tempo (come si è visto tante volte durante la crisi dell’Eurozona). Oltre alla recrudescenza del virus in tutto il Continente, l’UE è anche alle prese con l’approvazione del nuovo bilancio di lungo periodo (Multiannual Financial Framework), così come del piano UE Next Generation per sostenere gli stimoli alle economie nello scenario post Covid. Il prossimo Consiglio europeo comincia oggi e sarà probabilmente la data finale per l’approvazione di un accordo, vista la volontà di superare Brexit.

Nell’ipotesi che un accordo venga raggiunto in toto entro la fine dell’anno o poco dopo, questo sarà un elemento positivo per i listini europei e soprattutto per il mercato pubblico britannico. Dopo quattro anni di sottoperformance, l’indice FTSE All-Share si colloca allo stesso livello relativamente basso dell’S&P500 (come quello raggiunto nel 1974). Un elenco sempre maggiore di banche d’investimento e investitori anticipa un significativo rialzo delle azioni del Regno Unito. Con la risoluzione (parziale) di Brexit, insieme alle notizie positive sulla sconfitta del virus, nel 2021 è certamente possibile un re-rating sostenuto delle azioni britanniche.