Mercato del lavoro giapponese: gli ingranaggi sembrano essersi bloccati

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In Giappone, Shuntō (春闘), o “offensiva salariale di primavera”, è il termine usato per le trattative salariali annuali tra i sindacati e i datori di lavoro. Non lasciatevi ingannare dal linguaggio militare, però: negli ultimi anni questa offensiva assomiglia di più a una missione di pace.

L’esito dell’ultimo confronto è stato un aumento dello 0,7% della paga base dei dipendenti. Un traguardo misero se si considera la rigidità del mercato del lavoro giapponese e le crescenti pressioni inflazionistiche. La crescita dei salari è fondamentale per il Giappone, perché possa entrare in un periodo di inflazione che si autoalimenti realmente, ma per ora rimane difficile da raggiungere. Perché?

Nonostante il crescente numero di lavoratori a tempo determinato (che sono soggetti a un maggior turnover che in ultima istanza potrebbe contribuire all’aumento delle retribuzioni), la maggior parte dei lavoratori a tempo indeterminato preferisce di gran lunga mantenere l’occupazione piuttosto che massimizzare la crescita dei salari. Gli ingranaggi del mercato si sono bloccati.

I sostenitori dell’aumento dei salari parlano di un’imminente “singolarità” per il mercato del lavoro: quando tutta la manodopera finora inutilizzata del Paese sarà impiegata, le retribuzioni cresceranno. Forse, ma la timidezza dei sindacati, il tradizionalismo dei datori di lavoro e lo scarso turnover dei dipendenti a tempo indeterminato sono questioni non banali da superare perché i salari giapponesi si muovano davvero. La stagnazione delle remunerazioni non è una frustrazione solo per i lavoratori, ma anche per il governo, come testimoniato dalle ultime dichiarazioni del Primo Ministro Kishida alla Guildhall della City di Londra.

Dal punto di vista dei consumi, la pressione invece si fa sentire: in aprile la spesa delle famiglie è diminuita dell’1,7% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, mentre i salari reali hanno subito una contrazione dell’1,2%. In questo contesto, riteniamo opportuno sottopesare i titoli incentrati sui consumi e sovrappesare quelli che beneficiano di un mercato del lavoro rigido. La nostra strategia non prevede alcuna ponderazione nei settori del tempo libero, dell’alimentazione e della ristorazione e include solo un rivenditore al dettaglio, il discount Pan Pacific International. Nel frattempo, continuiamo a detenere società di reclutamento (TechnoPro e Recruit) e società di outsourcing di processi aziendali come Prestige International e Direct Marketing Mix.

Per di più la scarsa crescita dei salari dei lavoratori giapponesi avviene mentre i profitti delle aziende sono in forte ripresa dopo la prolungata pausa della pandemia, con un aumento del 32% per l’anno in corso. Fortunatamente per gli investitori, la parsimonia delle aziende nei confronti dei lavoratori non si estende agli azionisti. I riacquisti di azioni annunciati per l’anno fiscale in corso sono quasi raddoppiati e anche i dividendi sono in aumento.

La capacità delle società giapponesi di ricompensare al meglio i propri azionisti è ben nota ed è legata a bilanci a prova di bomba e di pay-out storicamente bassi. Questa è ovviamente una notizia molto positiva e fa ben sperare in una continua crescita dei rendimenti per gli azionisti, ma gli investitori devono a nostro avviso guardarsi dal puntare sui più recenti vincitori in fatto di dividendi, ad esempio i settori Marine, Metals & Mining, Trading Companies & Distributors e Energy. Questi hanno beneficiato del recente aumento del prezzo delle materie prime, ma potrebbero in futuro risentire delle conseguenze delle politiche anti-inflazionistiche delle principali economie.

Pertanto, la nostra strategia continua a sovrappesare le posizioni ad esempio nelle telecomunicazioni e continua a non avere esposizione a spedizionieri, trader e simili.

In uno scenario di abbondanza, è possibile – e anzi auspicabile – che sia i lavoratori che gli investitori prosperino in Giappone. Sospettiamo tuttavia che per qualche tempo ancora sarà molto meglio essere un investitore che un lavoratore nella regione.