Le sanzioni alla Russia funzionano: lo rivela uno studio di Nalon & Partners

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Le sanzioni imposte alla Russia dai paesi occidentali sono senza precedenti e superano di gran lunga qualsiasi altra sanzione mai imposta nella storia. Per citarne sole alcune: metà delle riserve bancarie russe in valuta estera, pari a 580 miliardi di dollari, sono stati sequestrati, quasi tutte le banche russe sono state tagliate fuori dai sistemi di bonifici internazionali, che significa impossibilità per le aziende russe di pagare ed incassare dai fornitori esteri, quasi duemila persone e società sanzionate, blocco navale e aereo, divieto di import ed export di molti prodotti manifatturieri e tecnologici.

Dopo sei mesi dall’entrata in vigore, per diversi osservatori occidentali, le sanzioni contro la Russia non stanno funzionando. Anche in Italia, diversi politici, sostengono che le sanzioni facciano più danno all’economia nazionale che alla Russia. D’altronde, secondo i dati del Fondo Monetario Internazionale, il PIL della Russia è calato di solo 6% in luogo del 15% previsto dagli economisti: meno della metà. Inoltre, i prezzi record delle materie prime contribuiscono al saldo record della bilancia commerciale russa: grazie agli aumenti stratosferici dei prezzi dei carburanti, la Russia ha raddoppiato gli incassi in valuta rispetto ad un anno fa.

In realtà, secondo Nalon & Partners, una società di consulenza con sede a Bologna, le sanzioni alla Russia funzionano e funzionano bene. “Gli indicatori economici – spiegano alla Nalon & Partners – non possono essere letti da soli ma devono essere contestualizzati con gli altri indicatori. Solo così è possibile avere un quadro dello stato di salute di un’economia. E’ quella russa è grave”. “Per iniziare, basti dire che il calo del pil del 6% è un segnale grave. Perché, in realtà, il pil russo deve crescere.

In guerra, infatti – spiegano alla Nalon & Partners – il pil di un paese, che non la conduce sul proprio suolo, deve esplodere. Perché, oltre la morte e la distruzione che porta, la guerra è la più grande spesa pubblica che uno Stato possa fare. Dal momento che le fabbriche russe e le città russe non sono interessati dalla distruzione degli impianti produttivi, come avviene in Ucraina, la situazione russa è simile a quella degli Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale. Il paese è in guerra ma su territorio altrui e si distruggono gli impianti produttivi degli altri. Gli Stati Uniti, per fare un paragone, avevano un pil in crescita tra il 20% e il 30% annuo, durante la seconda guerra mondiale, grazie alla spesa pubblica per la guerra. Altro che 6% di contrazione.

E il modello keynesiano ha dimostrato che se investo miliardi di spesa pubblica in stipendi dei militari ed ordini all’industria bellica, la curva della domanda aggregata aumenta e il pil – di cui la spesa pubblica è parte – deve, necessariamente, crescere.

Anche se i dati sono secretati, le stime americane ci indicano che la Russia spende tra i 500 e i 700 milioni di dollari al giorno per la propria guerra, tra pagare l’esercito e ordinare nuove armi all’industria. Questa è una spesa pubblica. Se prendiamo come riferimento la stima più bassa, ad oggi, la Russia ha già effettuato una spesa pubblica per circa 90 miliardi di dollari, soldi iniettati nella propria economia sotto forma di ordini e stipendi e finanziati, in maggior parte, dal saldo positivo della bilancia commerciale (il famoso gas). Ma bisogna considerare anche gli effetti indiretti della spesa pubblica ovvero l’indotto che i 90 miliardi di dollari portano in una economia.

Se consideriamo, come media, la propensione marginale al consumo pari a ¾ (ovvero di ogni dollaro in più arrivato all’economia russa dalla spesa pubblica dovuta alla guerra, 75 centesimi vengono spesi in consumi dai lavoratori e proprietari delle imprese e il restante risparmiato), significa che l’effetto moltiplicatore sul pil1sarebbe pari a 360 miliardi di dollari fino ad oggi. Una vera e propria iniezione di denaro che dovrebbe farci assistere alla più grande crescita del pil del paese, come negli Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale, concludono alla Nalon & Partners.

Inoltre, il pil russo deve crescere, non solo per l’iniezione di denaro più grande della sua storia, ma anche per il saldo record delle sue esportazioni nette. Grazie all’aumento dei prezzi dei carburanti, il saldo netto della bilancia commerciale russa è raddoppiato. Se prendiamo il mese di aprile 2022, le esportazioni russe erano pari a 63 miliardi di dollari, l’anno prima erano di soli 36 miliardi (dati World Bank).

L’economia russa dovrebbe, sulla carta, essere in splendida forma, e lo sarebbe, se non fosse per le sanzioni occidentali, quelli che si assumono come inefficaci. Il pil di un paese è composto dai consumi + investimenti + spesa pubblica + esportazioni nette. Come spesa pubblica ed esportazioni nette, la Russia va alla grande. Perché il PIL cala?

Per due motivi, spiegano alla Nalon & Partners.

Il primo è il tasso di interesse imposto dalla Banca Centrale Russa per cercare di fermare il crollo del rublo, scopo esclusivamente politico e di immagine in quanto tra il valore della moneta e la crescita reale dell’economia, si sceglie la crescita reale dell’economia. L’alto tasso di interesse ha controbilanciato il mega investimento in spesa pubblica dovuto alla guerra (effetto noto come “lo spiazzamento” ovvero la contrazione della domanda aggregata indotta da un aumento del tasso di interesse e la conseguente diminuzione degli investimenti) riducendo gli effetti benefici per l’economia. Ciò dimostra – a differenza di chi sostiene che la Banca Centrale Russa sia riuscita bene a gestire la crisi – che la Banca Centrale ha danneggiato ulteriormente la crescita del paese con una politica monetaria piegata alla politica.

Il secondo motivo del calo del pil è il crollo dei consumi e degli investimenti. Se infatti due voci, su quattro che compongono il pil, crescono a dismisura (spesa pubblica ed esportazioni nette), le altre due (consumi ed investimenti) devono, necessariamente, aver subito un crollo mostruoso per, non solo, azzerare la crescita del pil ma anche averlo portato in territorio negativo.

Lo confermano i dati di Rosstat, l’Istat russa. Sono i dati ufficiali del Cremlino.

I dati per la produzione industriale per luglio 20222 mostrano un crollo, in alcuni settori verticali. Su 24 settori industriali, 18 industrie hanno subito una contrazione che va da meno 2% del settore bevande al 60% del settore automobilistico. Meno 60%, ripetiamo, secondo i dati russi (90% secondo i dati americani). Contrazione che non dovrebbe esserci in un’economia con 360 miliardi di dollari di spesa pubblica appena iniettati. Contrazione che deriva, invece, da un lato dalla fuga delle imprese occidentali e dalla chiusura delle fabbriche. Da MacDonald a Ikea, da Siemens a Shell – sono centinaia le società occidentali che hanno lasciato la Russia-; dall’altro lato, dagli embarghi sulla tecnologia che impediscono alle fabbriche russe di riprendere la produzione in proprio e ciò è particolarmente visibile nei settori ad alta tecnologia come quella automobilistica.

A chi dice che le sanzioni non funzionano, basti rispondere: “immaginate cosa succede in Italia se il 75% delle industrie calano la produzione tutte assieme. E alcune del 60% in un colpo solo”.

Per le sei industrie che hanno tenuto, vediamo gli effetti degli investimenti per la guerra (i famosi 90 miliardi di spesa pubblica diretta sotto forma di ordini all’industria). L’industria del metallo è cresciuta del 30% (carri armati), l’industria farmaceutica del 17% (feriti), del 3% l’abbigliamento (divise).

Il crollo della produzione industriale in circa 75% dei comparti industriali di un paese porta con sé, inevitabilmente, il crollo dei consumi. Le aziende producono di meno, i consumatori comprano di meno. Tale crollo è documentato in maniera indiretta dalla deflazione che ha colpito la Russia.

Dall’inizio dell’agosto, l’indice dei prezzi al consumo è calato dello 0,40% circa e l’inflazione è scesa di 0,80%. Cioè i prezzi scendono. Non sono buone notizie, come potrebbero sembrare. Vuole dire che i consumi calano, spesso non per volontà dei consumatori ma per una minore offerta di merci e servizi. E un calo dei consumi unito ad un calo della produzione industriale, significa una spirale deflazionistica e recessiva ove le industrie investono sempre meno e producono sempre meno e i consumatori consumano sempre meno, gli operai rimangono a casa.

Se lo scopo delle sanzioni è colpire l’economia russa, le sanzioni alla Russia sono efficaci, eccome, concludono alla Nalon & Partners. Non per niente, la Russia ne chiede l’attenuazione, come primo argomento in ogni trattativa.

Se le sanzioni avranno una conseguenza politica in Russia e sul suo governo, invece, è tutt’altro discorso.


1 si è applicata la formula 1/(1-PMC)
2 https://rosstat.gov.ru/storage/mediabank/138_24-08-2022.html