GAM: USA immuni alle crescenti sfide geopolitiche ed economiche globali
Le azioni globali, misurate dall’indice MSCI All Country (AC) World, hanno registrato un robusto +3,5% in termini di valuta locale nel secondo trimestre del 2024. Uno dei rendimenti più forti e forse più sorprendenti del trimestre è stato quello delle azioni cinesi, misurate dall’indice MSCI Cina, che hanno messo a segno un discreto recupero (+7,2% in termini di dollari USA) dopo un prolungato periodo di stasi dovuto alla continua cautela dei consumatori, ai problemi del settore immobiliare e alla possibilità di una guerra commerciale svantaggiosa. Alcune limitate mosse da parte delle autorità locali per alleggerire il peso dei fallimenti immobiliari a livello locale, insieme a un linguaggio leggermente più conciliante per quanto riguarda la politica commerciale, sono apparse come un sostegno a questo mercato in crisi, almeno temporaneamente. Ciò ha favorito le azioni dei mercati emergenti in generale, ma va notato che il dollaro forte è rimasto un vento contrario per questi titoli, poiché la Fed è apparsa riluttante ad allentare troppo rapidamente la politica monetaria, dato che l’inflazione headline non è riuscita a scendere sotto il livello del 3,5%.
Tutto ciò non ha scoraggiato le megacap statunitensi guidate dalla tecnologia, il cui rally è proseguito senza sosta, con gli indici S&P 500 e Nasdaq 100 in crescita rispettivamente del +4,3% e del +8,5% in dollari, mentre il fenomeno dell’intelligenza artificiale ha prevalso su tutto il resto.
Nel secondo trimestre dell’anno sembra essere emersa una chiara tendenza: mentre molte delle principali economie e mercati mondiali hanno affrontato l’estremismo politico e la crescita stagnante, gli Stati Uniti sono apparsi del tutto indifferenti di fronte alla forza dei consumatori, all’aumento della produttività e al contributo unico che le proprie aziende stanno dando alla rivoluzione dell’intelligenza artificiale.
Rimaniamo ampiamente focalizzati sull’azionario, visti i venti di coda di cui gode il mercato statunitense, unitamente al fatto che esso domina gli indici azionari globali (66% dell’MSCI AC World). In termini regionali, la nostra enfasi è decisamente sugli Stati Uniti rispetto alla maggior parte degli altri mercati. Se da un lato adottiamo una visione più “neutrale” sui mercati emergenti e accettiamo le opportunità a lungo termine in Cina, dall’altro rileviamo le potenziali turbolenze derivanti dalle guerre commerciali, i rischi geopolitici, tra cui quello di Taiwan, e le sfide economiche strutturali della seconda economia mondiale. Anche l’Europa ci entusiasma meno, viste le crescenti turbolenze politiche e il modo in cui queste turbolenze stanno determinando la volatilità dei mercati, diversamente da quanto accade negli Stati Uniti.
Al di fuori delle azioni, continuiamo a vedere valore nei titoli di Stato a breve scadenza in tutte le principali classi valutarie, visti gli imbattibili rendimenti aggiustati per il rischio rispetto a quasi tutte le altre alternative. Il nostro interesse per i titoli di Stato a più lunga scadenza funge anche da ulteriore “protezione” in caso di eventi geopolitici o di mercato estremi, offrendo al contempo la prospettiva di un apprezzamento del capitale grazie ai rendimenti già elevati. Ad esempio, il Treasury USA a 10 anni offre un rendimento relativamente elevato (almeno per gli standard degli ultimi 15 anni) del 4,4% a fine giugno. L’attrattiva di questi asset risk-free è completata dall’interesse selettivo per i titoli insurance-linked, i titoli garantiti da ipoteca, le obbligazioni investment grade a brevissima scadenza e le obbligazioni subordinate selezionate. Infine, in termini tattici, continuiamo a considerare i titoli del Tesoro USA in parte come una difesa contro l’eventualità di una correzione del mercato, ma anche come un mezzo per non farsi trovare impreparati e rivolgere nuovamente l’attenzione ai titoli azionari all’indomani di tali eventi.
Prospettive
La questione principale oggi è se l’eccezionalismo americano possa durare. Le passate elezioni presidenziali statunitensi non hanno generalmente influenzato i risultati dell’S&P 500, se non in casi estremi. Si ricordano in particolare le elezioni del 2000 con Bush contro Gore, nel pieno del boom tecnologico degli anni ’90, e quelle del 2008 con Obama contro McCain, durante la crisi finanziaria globale.
Tuttavia, in periodi economici altrimenti “normali”, l’S&P 500 è rimasto relativamente stabile all’indomani di ogni elezione dall’inizio degli anni Novanta. Oggi, con un consumatore forte, un miglioramento della produttività e una buona redditività aziendale (con la prospettiva di utili ancora migliori da qui in avanti), riteniamo che il mercato azionario statunitense sarà in grado di rimanere concentrato sui fondamentali del mercato nei prossimi mesi. È vero che il deficit di bilancio degli Stati Uniti, pari a quasi il 6%, è probabilmente malsano. Ma gli Stati Uniti godono di privilegi finanziari e valutari unici che altre regioni generalmente non hanno. Ciò conferisce un significativo vantaggio relativo in questi tempi difficili.
Le parti indebitate dell’Europa, data la mancanza di un’unione fiscale e bancaria del blocco, faticheranno a far fronte a picchi ingestibili e imprevisti dei costi di finanziamento, mentre gli investitori obbligazionari cercheranno di individuare eventuali segnali di irresponsabilità fiscale. Nel frattempo, i Paesi emergenti dovranno fare i conti non solo con i rischi specifici della Cina, ma anche con la prospettiva di un dollaro USA forte. Per quanto possa sembrare sorprendente, vista l’enorme diversità e la crescita dell’ecosistema economico e di mercato del mondo al di fuori degli Stati Uniti negli ultimi anni, la prospettiva di un altro decennio americano emerge sempre di più.