Vertice dei BRICS – Tre aspetti da considerare
L’acronimo BRICS fu coniato nel 2001 dall’economista di Goldman Sachs Jim O’Neill, oggi Lord O’Neill Barone di Gatley, con le iniziali dei quattro grandi paesi emergenti che più si distinguevano per tassi di crescita: Brasile, Russia, India e Cina. Il Sud Africa si aggiunse nel 2010.
Immediato ed efficace, l’acronimo era funzionale anche alla promozione degli investimenti in fondi comuni specializzati nell’area, uno strumento di marketing per attrarre quegli investitori alla ricerca di rendimenti generosi in aree in cui la crescita era promettente ma molto rischiosa.
La sigla BRICS ha preso una sua vita autonoma ed è accaduto così che una americanissima operazione di marketing si trasformasse nella sigla di un blocco di paesi uniti principalmente dall’antiamericanismo. Il primo vertice dei leader dei Paesi BRIC venne organizzato in Russia nel 2010, da allora gli incontri si sono tenuti con regolarità, le discussioni centrate soprattutto sulla cooperazione e il posizionamento negli equilibri globali in trasformazione.
Oggi i BRICS costituiscono un blocco politico formato da molti paesi emergenti e in via di sviluppo, accomunati dal desiderio di affrancarsi dalla dipendenza economica e finanziaria dell’occidente. Dietro all’espressione “mondo multipolare”, risuonata nel vertice di Kazan, c’è soprattutto la volontà di affrancarsi dal “nuovo colonialismo finanziario” e, nello specifico, dall’influenza del dollaro.
Il meeting di Kazan consegna almeno tre aspetti di cui tenere conto.
Il primo è che l’obiettivo della Russia e della Cina è stato quello di usare la riunione periodica dei BRICS come vetrina per attrarre l’adesione al blocco di nuovi paesi emergenti e in via di sviluppo. Ma il forte limite dell’associazione BRICS è la disomogeneità dei suoi membri, i diversi interessi non sono sempre tra loro compatibili; l’unico collante che li tiene assieme è l’antiamericanismo, un po’ poco per costruire alleanze commerciali e politiche durature.
Il secondo aspetto distintivo del meeting BRICS di quest’anno è stata la ripresa, da parte della Russia, della proposta già presentata al vertice dello scorso anno di creare una moneta comune alternativa al dollaro americano. Dopo aver accusato gli Stati Uniti di usare il biglietto verde “come un’arma”, Putin ha avanzato la proposta di una valuta condivisa dai paesi del blocco e l’istituzione di un nuovo schema internazionale per i pagamenti alternativo al sistema Swift, che attualmente gestisce trilioni di dollari di pagamenti in tutto il mondo. La proposta è stata accolta con tepore, allontanarsi dal dollaro è rischioso, gli Stati Uniti hanno minacciato sanzioni e ritorsioni verso quei Paesi che collaborassero con la macchina da guerra russa. L’obiettivo della “dedollarizzazione” non è così semplice come rappresentato dai delegati russi. La conseguenza più vistosa dell’allontanamento dal dollaro è l’aumento del prezzo dell’oro. Le banche centrali dei Brics, soprattutto le banche centrali di Cina, India e Russia, stanno acquistando ingenti quantità d’oro per dare forza alle loro valute e favorire i finanziamenti nelle valute domestiche anziché nelle valute forti. L’altra conseguenza riguarda le performance economiche delle economie emergenti, piagate da anni di deflussi di capitali e deboli performance.
Il terzo aspetto del meeting di cui tenere memoria è il disgelo tra India e Cina, le due nazioni più popolose del mondo dotate entrambe di armi nucleari. Xi Jinping e Narendra Modi hanno avuto il loro primo incontro bilaterale dopo cinque anni, da quando si inasprirono le tensioni sul confine dell’Himalaya. Entrambi hanno convenuto che l’attuale ordine globale non rappresenta in modo equo il mondo in via di sviluppo, le sfide geopolitiche globali fanno premio sulle tensioni interne relative al tracciato di confini montani. Il ripristino di buone relazioni conviene ad entrambi i paesi: la Cina è alle prese con un’economia stagnante (in settembre i profitti industriali sono calati del 27,1% dopo il calo di 17,8% in agosto) e con le tensioni diplomatiche con Stati Uniti ed Europa; l’India, che si è avvicinata agli Stati Uniti e trae vantaggio dalle difficoltà tra Washington e Pechino, ha l’occasione di diminuire gli stanziamenti al bilancio della difesa e investire maggiori risorse nella crescita economica.