Dati macroeconomici: inflazione a rialzo negli Stati Uniti mentre l’Europa beneficia (con ritardo) del calo dei prezzi energetici

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Partiamo dagli USA dove l’inflazione complessiva è sì scesa dal precedente +2,5% al +2,4% di settembre, ma le stime degli analisti vedevano un calo più marcato, ovvero al +2,3% annuo. Questo è dovuto all’accelerazione dell’inflazione core, passata dal +3,2% al +3,3%, un decimo sopra le attese. Guardando allo spaccato dell’inflazione, è chiara la persistenza dell’inflazione nella componente dei servizi. Di fatto, negli ultimi sei mesi questa componente è rimasta invariata attorno al +4,5%, con i (modesti) progressi sull’inflazione legata all’immobiliare che sono stati compensati da altri settori, come le spese mediche. L’inflazione dei servizi è quella che più risponde, con un ritardo di circa sei mesi, ai movimenti della disoccupazione. Se quest’ultima non salisse in misura marcata, sarebbe difficile vedere un ritorno verso livelli di inflazione dei servizi in area 2-3%.

In Europa, la principale differenza con gli Stati Uniti è che la disinflazione della parte energia è in una fase più evidente in questo momento. L’inflazione complessiva è, infatti, scesa a settembre dal 2,2% al +1,7% annuo, il livello più basso da marzo 2021. L’inflazione core è scesa dal 2,8% al 2,7%, con l’inflazione dei servizi al 4% (sostanzialmente stabile da fine 2023). Quello che fa la differenza è la preoccupazione per il ciclo economico. La debolezza della Germania e il probabile impatto negativo sulla crescita da parte delle misure di austerità che grandi paesi come Francia e Italia devono implementare confortano la BCE e gli analisti nel loro scenario di disinflazione verso l’obiettivo strutturale del 2%.

La disoccupazione in Europa è ferma ai minimi storici (6,4%) e questo è un elemento che supporta la crescita dei salari. Sono in particolare i paesi periferici (o ex periferici) a vedere dinamiche dei salari ben sopra le medie dell’ultimo decennio, con l’Italia che segna ad esempio un +3,6% per i salari orari, il livello più alto dal 2008 e quasi il triplo del livello medio visto nel decennio pre-Covid. Con questi numeri, la discesa dell’inflazione dei servizi al 2% appare ancora molto lontana.

Le stime degli analisti sembrano per ora incorporare il calo della componente energia: per Stati Uniti ed Eurozona per il 2024 sono invariate (+2,9% e +2,4% rispettivamente), mentre per il 2025 scendono di un decimo (da +2,3% a +2,2% negli USA, da +2,1% a +2,0% in Eurozona).

Le politiche monetarie: la BCE taglia, ma aspettative più caute per la Fed

La BCE ha tagliato i tassi di riferimento la scorsa settimana, portando il tasso sui depositi dal 3,50% al 3,25%. Viste le preoccupazioni sulla crescita e la maggiore confidenza della BCE nel processo di disinflazione, il mercato continua a scontare numerosi tagli nei prossimi mesi. Per dicembre il mercato sconta 35 punti base di taglio, ovvero gli analisti sono indecisi tra un taglio di 25 o 50 punti base nell’ultimo meeting dell’anno. Per fine 2025, il mercato continua a vedere tagli fino ad arrivare in area 1,9%, con già 5 tagli cumulati previsti entro metà 2025. Queste stime sono sostanzialmente in linea con quelle di un mese fa.

Così non è per la Fed. I dati sopra le attese per attività economica ed inflazione hanno contribuito a ridurre di molto le stime di taglio tassi nei prossimi mesi. Il mercato vede ora 40 punti base di tagli entro fine anno (con un tasso overnight effettivo in area 4,4%) e 135 punti base entro fine 2025 (tasso al 3,45%). Un mese fa le aspettative per fine 2025 erano al 2,8%, ben 65 punti base più basse di adesso.

I mercati finanziari e le prospettive

Negli ultimi giorni ci sono stati movimenti importanti al rialzo dei tassi di interesse, specie negli Stati Uniti. In ambito europeo, l’ottima performance di BTP e credito, con spread in deciso ribasso. Lo spread credito Investment Grade ha toccato il minimo da gennaio 2022 e anche il settore High Yield ha visto un deciso calo dello spread. Lo spread decennale BTP-Bund è sceso attorno quota 120 punti base, il livello più basso da novembre 2021. L’Italia viene premiata dai mercati per l’approccio prudente in termini di manovra di bilancio e l’agenzia di rating Fitch ha recentemente rivisto il suo outlook da stabile a positivo, confermando il rating BBB.

Guardando avanti, il nodo più imminente da sciogliere è quello delle elezioni negli Stati Uniti. In termini di potenziali spinte rialziste su inflazione e tassi, lo scenario che appare più rischioso è quello di un “Republican sweep”, ossia una vittoria di Trump alla presidenza e un’affermazione dei Repubblicani sia al Senato (sembra probabile un risultato finale di 51 senatori repubblicani contro 49 democratici filo-democratici) sia alla Camera (la maggioranza dei Repubblicani viene stimata al momento un una manciata di deputati sui 435 in ballo). L’allineamento di Presidenza e Congresso permetterebbe a Trump di avere margini più ampi per implementare le sue misure. Per contro, uno scenario di Congresso e Presidenza spaccati ridurrebbe i rischi di politiche estreme da ambo le parti. Per contro, potrebbe essere quello meno espansivo da un punto di vista fiscale, risultando in un minore supporto alla crescita.

Andando nel dettaglio delle varie classi di attivi:

Il rialzo dei rendimenti migliora l’attrattività della parte governativa rispetto ad un mese fa, ma come detto ci sono ancora dei rischi al rialzo nel breve termine, specie nella parte americana. Il tasso Bund decennale attuale (al 2,3%) è un punto interessante di entrata, considerando lo scenario di crescita debole nell’Eurozona, ma nel brevissimo un eventuale rialzo ulteriore in America potrebbe farci superare questi livelli. Negli Stati Uniti, sembra ragionevole incrementare la duration in uno scenario di Presidenza/Congresso spaccati, con minori rischi di stimoli fiscali. In caso contrario, potremmo rivedere livelli ancora un po’ più alti nel breve termine.
Sui prodotti a spread manteniamo un atteggiamento costruttivo, ma con intelligenza. Le strategie di carry in un contesto di tassi laterali e/o lieve calo (come quello atteso nel medio termine) tendono a sovra-performare, ma va considerato che gli attuali livelli di spread sono piuttosto bassi. È importante quindi evitare di assumere posizioni credito con eccessiva duration, continuando a privilegiare le scadenze medio-brevi delle curve dove il livello di spread per unità di duration è più elevato, preferendo invece titoli governativi per allungare la duration se necessario. Sui BTP manteniamo una visione costruttiva, specie in relativo ai titoli francesi, date le sfide in ambito fiscale che attendono Parigi e i conseguenti rischi sulla crescita.
Infine, sull’azionario manteniamo un atteggiamento prudente nel breve termine, specie sulla parte europea. Le dinamiche di crescita e di utili aziendali sono più deboli rispetto agli Stati Uniti e l’implementazione di dazi in caso di vittoria di Trump sarebbe un altro duro colpo per gli esportatori europei, che già devono sostenere le dinamiche deboli di crescita in Cina. Il posizionamento consigliato sugli Stati Uniti è prudente, data l’elevata incertezza di queste elezioni. Va detto che il mercato azionario USA ha sovra-performato di gran lunga le altre geografie nelle ultime settimane, anticipando un’elezione di Trump e nuovi tagli di tasse alle imprese. La sovra-performance dei settori ciclici statunitensi rispetto ai difensivi nelle ultime sei settimane sfiora il 10%, un movimento già molto ampio. Non è quindi da escludere una correzione in caso di Presidenza/Congresso spaccati, visto anche il livello molto elevato delle valutazioni oltreoceano.