Trump 2.0: due scenari a cui preparare i portafogli
Donald Trump torna alla Casa Bianca come 47° Presidente degli Stati Uniti, ma l’impatto del suo programma sull’economia statunitense e sul resto del mondo è ancora incerto. Per il momento, l’economia statunitense sta andando bene: la disoccupazione è appena al di sopra del 4%, la crescita è vicina al 3% e il deflatore dei prezzi al consumo è quasi tornato al 2%. Tuttavia, l’implementazione del programma di Trump, che comprende misure importanti in materia di politica commerciale, immigrazione, tagli fiscali, deregolamentazione, ecc., potrebbe portare l’economia statunitense a discostarsi da questa traiettoria.
È ancora troppo presto per conoscere l’entità di questa deviazione. Non sappiamo con quale rapidità saranno attuate queste misure e nessuna di esse è stata ancora definita con precisione: i dazi verranno aumentati al 60% per la Cina e al 10% per il resto del mondo, oppure aumenteranno di un ulteriore 60% per la Cina e del 10% per il resto del mondo? Le zone di libero scambio saranno risparmiate? Come reagirà il resto del mondo? L’incertezza grava anche sulle misure in materia di immigrazione e sui tagli fiscali riguardanti le mance e gli straordinari.
In questa fase è opportuno continuare a tenere a mente due possibili scenari:
Uno relativamente “moderato”, che porterebbe l’economia a deviare relativamente poco dalla sua traiettoria attuale. Misure di sostegno rivolte al ceto medio-basso potrebbero compensare l’effetto degli aumenti dei dazi. L’attività economica continuerebbe a crescere in modo sostenuto, superando il 2,5% nel 2025. In questo contesto, però, l’inflazione sarebbe più elevata e porterebbe la Federal Reserve a mettere in pausa l’allentamento della politica monetaria nel corso del 2025.
Non si può tuttavia escludere uno scenario più disruptive, che vedrebbe il Presidente attuare rapidamente tutte le misure promesse, nonostante la loro natura talvolta estrema. In questo scenario, non solo l’immigrazione potrebbe subire un rallentamento, ma potrebbero anche essere espulsi 1 milione di migranti illegali. Gli aumenti dei dazi darebbero luogo a una vera e propria guerra commerciale, l’inflazione verrebbe spinta oltre il 4%, il tasso di disoccupazione scenderebbe sotto il 4%, costringendo la Federal Reserve ad aumentare i tassi e l’economia finirebbe per entrare in recessione nel 2026.
Il contesto dei fondamentali dovrebbe restare più costruttivo per gli asset statunitensi rischiosi, in particolare in caso di uno scenario caratterizzato da politiche più moderate. Sul fronte obbligazionario, i rendimenti statunitensi sono aumentati notevolmente già da metà settembre, spinti da un’attività economica più forte del previsto e dalla crescente probabilità dell’elezione di Trump. Nello scenario moderato, però, i tassi rimarrebbero contenuti in un intervallo compreso tra il 4,20% e il 4,50%, evitando così perturbazioni generali di mercato. Il dollaro rimarrebbe forte.
La nostra asset allocation rimane sostanzialmente invariata, con una preferenza per l’azionario statunitense, la cui crescita è ancora resiliente. Manteniamo la nostra esposizione sui titoli tecnologici, ma anche sulle società a piccola e media capitalizzazione e su quei segmenti del settore finanziario che beneficiano di tagli fiscali e deregolamentazione. Inoltre, manteniamo un posizionamento long sul dollaro statunitense.
Per quanto riguarda i titoli dell’Eurozona, manteniamo un orientamento negativo sia guardando ai fondamentali sia perché l’elezione di Donald Trump comporta ulteriori rischi al ribasso per la regione.
La nostra esposizione ai mercati emergenti resta incerta e continuerà a evolversi, in base alle misure adottate dalla nuova amministrazione americana, dalla loro sequenza e da ulteriori possibili stimoli da parte della Cina.
Dopo il recente rialzo dei rendimenti, i titoli di Stato europei continuano a rappresentare un investimento interessante, in ragione del loro carry e perché, all’interno di un portafoglio multi-asset, possono fungere da protezione. Manterremmo una posizione sovrappeso sulla duration europea, poiché l’economia sta già affrontando alcuni rischi di ribasso, pur rimanendo cauti sulla duration statunitense.
I mercati del credito hanno già avuto una loro ripresa e preferiamo mantenere una posizione neutrale. Anche se le aziende beneficeranno di una tassazione più bassa, la volatilità dei tassi potrebbe innescare un’inversione dell’attuale supporto tecnico. Il credito europeo si troverebbe ad affrontare maggiori difficoltà, essenzialmente a causa dei settori manifatturieri trainati dalle esportazioni.
Lo scenario più disruptive, delineato sopra, dovrebbe inizialmente essere negativo per tutte le asset class, con un calo sia delle azioni che delle obbligazioni. Se ciò dovesse portare a un indebolimento dell’attività economica, i titoli di Stato potrebbero tornare a svolgere il loro consueto ruolo di cuscinetto.
Tra questi due scenari, numerose possibilità intermedie potrebbero portare volatilità sui mercati. Nelle prossime settimane, i tassi statunitensi e la traiettoria del dollaro saranno le due variabili chiave da monitorare.