Banche centrali, come si muoveranno nel 2025 sul fronte dei tassi
Dalla crisi del 2020 legata al Covid, molti Paesi hanno sperimentato cicli economici simili. Hanno affrontato gli stessi lockdown, problemi alla catena di approvvigionamento, allentamenti fiscali, allentamenti monetari e crisi energetiche. Nel 2023 e all’inizio del 2024 abbiamo assistito alla prosecuzione di questi effetti, con l’inasprimento della politica monetaria e la normalizzazione dell’inflazione. Tuttavia, dopo quattro anni di tendenza economica sincronizzata, nel 2024 abbiamo osservato una grande divergenza: la persistente forza economica degli Stati Uniti. Nonostante l’inasprimento dei tassi, i consumatori avevano abbastanza potere d’acquisto per continuare a spendere, almeno nel complesso. In molte altre parti del mondo, compresa l’Europa, le prospettive economiche si sono invece indebolite rapidamente nel 2024.
Reazione delle banche centrali: calibrazione o ricalibrazione?
Questa divergenza non si è necessariamente riflessa nella reazione della Federal Reserve. L’innalzamento sincronizzato dei tassi di interesse da parte delle banche centrali dei mercati sviluppati si è trasformato in tagli nella seconda metà del 2024. In questo caso si nota già un’importante divergenza nel modo in cui le banche centrali si stanno posizionando. Gli istituti che in passato si erano dimostrati più flessibili e lungimiranti stanno facendo lo stesso ora. Questa tendenza può essere definita come una “ricalibrazione” della politica monetaria da parte delle banche centrali (Fed, BNS, BoC) e una “calibrazione” della loro posizione politica (BCE, BoE). La ricalibrazione consiste nel capire che i dati sottostanti sono cambiati e che la linea politica non è più allineata con il raggiungimento degli obiettivi sottostanti, per cui bisogna adeguare nettamente l’orientamento programmatico. La calibrazione consiste invece nell’aggiustare la linea attuale sulla base di un lento adeguamento dei dati alle aspettative. Powell ha ricalibrato il suo messaggio a settembre, quando la Fed ha tagliato i tassi di riferimento di 50 punti base per iniziare il ciclo di tagli, affermando che “il raffreddamento delle condizioni del mercato del lavoro è inequivocabile” e “non cerchiamo né accogliamo con favore un ulteriore raffreddamento delle condizioni del mercato del lavoro”. Si tratta di un chiaro e brusco cambiamento rispetto alla retorica precedente e spiega la necessità di una ricalibrazione. La BCE di Lagarde ha tagliato i tassi di interesse a piccoli passi, poiché l’inflazione si stava avvicinando all’obiettivo, anche se l’economia europea ha ristagnato nell’ultimo anno e mezzo e si trova in una posizione molto più debole rispetto agli Stati Uniti. Usando le sue stesse parole: “Non ricalibriamo, calibriamo, e questo è davvero il processo attraverso il quale procediamo”, mostrando un’incomprensione dell’economia europea e determinando un ritardo nella reazione della politica monetaria. Quindi, dopo un approccio diverso all’allentamento della politica monetaria, la Federal Reserve si trova ora ad affrontare una sfida ancora più grande: gestire la presidenza Trump.
La confusione di Trump
Molte linee politiche di Trump presentano un elevato livello di incertezza. Un’incertezza importante è se queste politiche saranno attuate – e in che misura – poiché ciò determinerà il loro impatto sui risultati macroeconomici e sui tassi di interesse. Prendiamo ad esempio l’immigrazione. Al netto del significativo impatto umano, le deportazioni di massa causeranno chiaramente disagi, un aumento dell’inflazione (a causa di uno shock negativo dell’offerta) e una minore crescita. L’attuazione potrebbe variare dall’invio di alcuni autobus al confine a un programma di deportazione multimilionario. Chiaramente, la differenza di impatto sarebbe enorme. Incertezze simili valgono per le tariffe, la politica commerciale, la tassazione, la deregolamentazione, la riduzione dei costi pubblici, la sicurezza sociale, la sanità, ecc. Tutti questi elementi hanno un impatto a breve termine sull’inflazione o a lungo termine sulla crescita, positivo o negativo a seconda delle scelte politiche. Anche una piccola differenza potrebbe avere un risultato completamente diverso in termini di crescita e inflazione. Poiché molte di queste politiche non avranno ancora un impatto diretto nel primo o secondo trimestre del 2025, potrebbero influenzare l’economia attraverso i cambiamenti delle aspettative. Questo vale anche per la Federal Reserve. Essa dovrà decidere se le politiche nel complesso avranno un impatto significativo sulla crescita e sull’inflazione. In linea di massima si prevede che la Fed adotterà un atteggiamento cauto e ritarderà alcuni dei tagli previsti per l’inizio del 2025.
Qual è il risultato più probabile dal nostro punto di vista?
Ci sono alcuni principi guida che possiamo considerare. In primo luogo, possiamo ipotizzare un certo livello di autoconservazione. L’amministrazione Biden è stata penalizzata dall’elettorato per il continuo aumento dei prezzi, nonostante la normalizzazione del tasso di inflazione. Il team di Trump avrà imparato che un mix di politiche inflazionistiche non è auspicabile. In secondo luogo, anche se possiamo aspettarci molte misure non ortodosse, è lecito supporre che ci sarà un orientamento netto verso le politiche che hanno un impatto sulla crescita e sull’inflazione. Un indebolimento dell’economia potrebbe essere negativo per le future elezioni (di medio termine). La nomina di Bessent a Segretario al Tesoro è un esempio di scelta più favorevole al mercato per quanto riguarda la politica economica. Questo ci consente di adottare una visione più moderata sui rischi di rialzo dell’inflazione. Analogamente, per quanto riguarda la crescita, ci aspettiamo che più politiche siano relativamente favorevoli alla crescita in uno scenario di base di crescita moderata. Ciò significa che i tassi di interesse più elevati negli Stati Uniti iniziano a riflettere correttamente questi cambiamenti. Il mercato sta già prezzando tassi sufficientemente più alti dopo il sell-off di ottobre e novembre. I rendimenti decennali statunitensi sono passati dal 3,85% al 4,45%. Per noi questo è un segnale per aggiungere duration negli Stati Uniti.
Volatilità
Come la traduciamo nei portafogli? In qualità di gestori attivi, affrontiamo questo problema assumendo posizioni in cui possiamo permetterci che il mercato si muova inizialmente nella direzione opposta, il che è sempre possibile in ambienti ad alta volatilità.
Questo significa tre cose:
- Dimensionare la posizione in modo da non essere costretti a chiuderla in anticipo a causa della volatilità.
- Entrare nella posizione gradualmente e aggiungerla man mano che il mercato crea punti di ingresso migliori. In un contesto di alta volatilità, è probabile che gli investitori abbiano molteplici opportunità.
- Considerare proxy meno volatili (ad esempio, altri mercati sviluppati invece dei Treasury USA).
Ad esempio, dopo aver ridotto la duration a fine settembre negli Stati Uniti, siamo ora propensi ad aggiungere nuovamente duration ai nostri portafogli globali, dato che i tassi d’interesse sono saliti in modo significativo nei mesi di ottobre e novembre. I tassi ora riflettono meglio la nostra visione di medio termine. A tal fine, abbiamo innanzitutto aggiunto duration in altri mercati, come il Regno Unito e la Nuova Zelanda. Questi mercati non solo meritano un’allocazione più elevata, ma la correlazione con i Treasury statunitensi dovrebbe essere positiva. Li vediamo ora come eccellenti proxy degli Stati Uniti, ma non soggetti alla stessa incertezza politica. In una seconda fase, torneremo gradualmente ad aggiungere titoli di Stato USA, mantenendo uno spazio sufficiente in portafoglio per aggiungerne altri nel caso in cui i rendimenti salgano in base alla volatilità prevista. La situazione rimarrà difficile, ma questo sembra un modo efficace per esprimere la nostra visione di medio termine, in cui i rendimenti statunitensi sono diventati interessanti.