Navigare la volatilità dei mercati
Il 2025 sarà l’anno della volatilità e delle contraddizioni, la prima delle quali è che i governi continueranno ad avere un ruolo preponderante nelle economie e la loro azione aumenterà i livelli del debito.
Tutti i principali governi sono oggi più indebitati che in qualsiasi altro momento dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, le banche centrali detengono la maggiore quantità di debito pubblico da ottant’anni a questa parte; gli alti livelli di debito sono un freno agli investimenti, drenano risorse che potrebbero essere destinate altrove, ad esempio a necessità primarie come la salute e l’istruzione.
Più che i livelli dell’indebitamento, i governi dovranno dimostrare di essere capaci di tenere sotto controllo e stabilizzare i rapporti del debito con la crescita. La sostenibilità fiscale sarà uno dei loro maggiori doveri, la turbolenza che investì i titoli pubblici inglesi nella breve parentesi del governo di Liz Truss dovrebbe essere ancora un monito per tutti.
Una responsabilità che grava soprattutto sulla nuova Amministrazione americana, il dollaro è ancora la valuta più importante del mondo, l’”esorbitante privilegio” di cui ancora gode esige un supplemento di accortezza fiscale.
Per quanto situazionista e imprevedibile, Trump non rinuncerà ai dazi, una delle misure distintive della sua piattaforma programmatica. Certo, le barriere commerciali sono un freno al commercio globale e alla crescita, grandezze positivamente correlate, ma è possibile che Trump usi i dazi come strumento negoziale e con la nomina di Scott Bessent al Tesoro manda a Wall Street un segnale di attenzione.
Bessent è un veterano degli hedge fund, ha lavorato con George Soros, è un esperto analista di scenari macroeconomici, potrebbe svolgere con Trump un ruolo molto simile a quello che ebbe James Baker a fianco di Ronald Reagan negli anni Ottanta. Soprattutto, nominando Bessent, non gradito a Elon Musk, Trump conferma la sua attenzione nei confronti della comunità di Wall Street e dei mercati finanziari in generale; per non spiacere ai mercati è probabile che aggiusterà il tiro e attenuerà la retorica.
Un’ultima contraddizione riguarda il ruolo delle banche centrali: l’uscita dall’emergenza dovrebbe favorire il ritorno a politiche monetarie orientate al lungo periodo. Negli anni dell’emergenza le banche centrali si sono concentrate prima sulla deflazione, poi sull’inflazione, prestando poca attenzione agli sviluppi dei mercati del credito e del debito.
Ma gli interventi delle politiche monetarie dettati dall’emergenza alterano il mercato del credito, l’eterogeneità dei fini genera effetti negativi nel lungo termine: in questi ultimi anni l’obiettivo primario delle banche centrali è stato mantenere un basso livello di inflazione; l’attenzione era perciò rivolta principalmente ai mercati del lavoro e agli “output gap” dell’economia reale, le loro variazioni hanno effetti diretti sui movimenti dei prezzi.
Tre dei quattro ultimi cicli dei tassi di interesse, 1990, 2001, 2008 e 2020 si sono conclusi con una crisi finanziaria, il quarto ciclo di rialzo è stato interrotto dalla pandemia di Covid e all’origine delle crisi ci sono stati gli stimoli monetari volti a favorire la ripresa dalla recessione precedente.
Il debito, freno agli investimenti, e il rischio di instabilità finanziaria a fronte di sorprese nelle politiche monetarie sono alcune delle faglie sopra le quali continueranno a muoversi i mercati nel 2025. Navigheremo sulla volatilità.