UBS WM: La nuova agenda economica americana
La scorsa settimana è cominciata la seconda presidenza di Donald Trump.
Dalle elezioni presidenziali statunitensi, seppur con maggior volatilità, la borsa
è salita, i rendimenti dei Treasury sono aumentati e il dollaro si è rafforzato.
Per gli investitori non è facile valutare le implicazioni dei cambiamenti nella
politica americana.
Per quanto riguarda i temi economici, nel suo discorso inaugurale Trump si
è concentrato sul protezionismo, sul contenimento dell’immigrazione e le
deportazioni, sull’intenzione di ritirare nuovamente gli Stati Uniti dagli accordi
di Parigi sul clima e incrementare le trivellazioni di gas e petrolio, nonché sulla
necessità di aumentare l’influenza statunitense sul canale di Panama.
Alcune aree restano meno chiare: infatti, mentre le politiche MAGA
(Make America Great Again) invocate da Trump sembrano sottintendere
un approccio fiscale espansivo e il mantenimento di un deficit elevato,
le indicazioni di Elon Musk e del suo DOGE (Department of Goverment
Efficiency) puntano a tagli draconiani della spesa pubblica.
Infatti, Musk ha fatto riferimento a tagli per 2 mila miliardi di dollari e
un sindacato che rappresenta 800 mila dipendenti pubblici, l’American
Federation of Government Employees, ha protestato subito dopo la
cerimonia inaugurale.
In ogni caso, si tratta di un’agenda fitta di obiettivi di non facile realizzazione
ma, tra tutti i cambiamenti promessi, i dazi restano in cima alla lista delle
preoccupazioni degli investitori, poiché si tratta dell’area in cui il Presidente
ha la maggiore autorità unilaterale.
La nostra aspettativa è che l’aliquota effettiva dei dazi contro la Cina salga al
25-30% (dal 10% attuale), molto al di sotto del 60% ventilato in campagna
elettorale. Prevediamo inoltre misure a protezione degli interessi tecnologici
nonché dazi sulle automobili e sui farmaci provenienti dall’Europa. Il Vecchio
Continente è destinato a risentire anche dell’effetto indiretto dei dazi nei
confronti della Cina, che per noi è sia un mercato di sbocco che un temibile
competitor.
Gli scenari più estremi, come dazi universali del 10-20% su tutte le
importazioni di qualsiasi provenienza o un dazio più elevato del 60% sui
beni cinesi e/o l’attuazione della minaccia di dazi del 25% contro Canada
e Messico, a nostro avviso sono meno probabili, perché potrebbero venire
impugnati in tribunale e richiedere l’approvazione del Congresso.
Tuttavia, non si possono escludere ritorsioni con dazi reciproci sia da parte
della Cina che dell’Europa, con un indebolimento dello yuan cinese e
restrizioni alle esportazioni di minerali critici per la produzione di batterie.
Qualsiasi restrizione ai commerci e ai flussi di capitale ha un impatto negativo
sulla crescita economica e sull’inflazione. Tuttavia, se non si prendono in
considerazione gli scenari più estremi, l’impatto sull’economia statunitense
potrebbe non essere così significativo, anche perché gli scambi commerciali
tra Cina e Stati Uniti sono già diminuiti in misura sostanziale negli ultimi anni.
Naturalmente, non dobbiamo neanche escludere la possibilità di un esito più
favorevole per il mercato e l’economia. Ciò potrebbe includere dazi più limitati
del previsto, poiché Stati Uniti e Cina potrebbero raggiungere un accordo più
ampio che tocchi magari la stabilità del Pacifico o il finanziamento del deficit
statunitense, riducendo il rischio geopolitico percepito.
Trump ha anche promesso di impegnarsi per chiudere la guerra in Ucraina:
qualora ciò avvenisse potrebbe migliorare la fiducia di imprese e famiglie
in Europa, mentre il probabile calo dei prezzi dell’energia e la ricostruzione
dell’Ucraina potrebbero compensare l’impatto negativo di maggiori dazi.
Tutto questo va inserito in un quadro di ampia liquidità nei bilanci di aziende
e famiglie dopo due anni di elevati tassi d’interesse. Via via che i tassi
d’interesse scendono, ci potrebbe essere una migrazione di questa liquidità
verso impieghi più remunerativi come obbligazioni, immobiliare e azioni.
Per questo siamo ottimisti nei confronti dei mercati azionari. Tassi
d’interesse in calo, crescita economica modesta ma positiva e investimenti
in conto capitale in intelligenza artificiale rimangono fattori positivi per i
semiconduttori, le mega cap e le utility, visto l’aumento atteso dei consumi
di elettricità.
Al di fuori degli Stati Uniti, un’esposizione diversificata all’Asia ex Giappone,
in particolare all’India, può andare incontro a trend demografici favorevoli,
mentre in Europa oltre alle utility vediamo opportunità nel settore
farmaceutico, nelle azioni ad alto dividendo e nelle small e mid cap, le società
a piccola capitalizzazione, in considerazione dei tassi in discesa e delle basse
valutazioni.
Tassi più bassi dovrebbero creare un contesto favorevole per le obbligazioni,
sulle quali siamo positivi. In particolare, il nostro continente è in stagnazione
da due anni e le due economie principali, Germania e Francia, hanno
rispettivamente problemi di crescita e di controllo delle finanze pubbliche.
In questo complesso scenario, la Banca centrale europea (BCE) ha tagliato i
tassi d’interesse di un punto percentuale nel 2024 e ci aspettiamo che faccia
altrettanto quest’anno, portando il tasso sui depositi al 2%. Ma non è chiaro
se si fermerà lì. Con una crescita economica vacillante, la BCE potrebbe dover
fare di più, anche in considerazione del protezionismo americano.
Questa fase dovrebbe quindi essere favorevole per le obbligazioni in
euro. I titoli investment grade presentano ancora rendimenti ampiamente
superiori all’inflazione attesa, con potenziale di apprezzamento in caso di un
rallentamento economico più marcato. Da questo punto di vista, la correzione
di fine anno sembra rappresentare un’opportunità di bloccare rendimenti
interessanti a medio termine.