UBS WM – weekly comment Matteo Ramenghi: Giravolte salate
L’annuncio di Donald Trump sulla nuova politica commerciale, il cosiddetto
«Liberation Day» del 2 aprile, è stato un terremoto per i mercati. Il Presidente
statunitense ha introdotto dazi universali del 10% su tutte le importazioni e
dazi «reciproci» più elevati nei confronti di molti Paesi: dal 20% per l’Unione
europea (UE) al 24% per il Giappone e 31% per la Svizzera.
Questi ultimi sono stati rapidamente congelati per 90 giorni per via della
brutale reazione dei mercati finanziari, mentre restano in vigore quelli al 10%
e i dazi nei confronti della Cina. Proprio con la Cina è partita una escalation
di dazi che hanno raggiunto il 145% sulle merci cinesi in ingresso negli Stati
Uniti e il 125% in direzione opposta.
Il rinvio nei confronti del resto del mondo ha comunque acceso le speranze
di evitare una guerra commerciale globale. Infatti, fin da subito, Trump e il
Segretario al Tesoro, Scott Bessent, hanno invitato le controparti a negoziare,
ma sembrano esserci posizioni diverse: Elon Musk ha auspicato la rimozione
di ogni dazio con l’Europa, contraddicendo Peter Navarro, consulente della
Casa Bianca per il commercio e la manifattura.
In base al livello a cui verranno fissati, i dazi avranno un impatto negativo sulla
crescita economica e alimenteranno l’inflazione. Il rinvio è quindi da leggere
positivamente, ma l’economia pagherà comunque la fortissima incertezza e,
in particolar modo, gli Stati Uniti risentono del cosiddetto «wealth effect»,
vale a dire dell’influenza dell’andamento della borsa sui consumi delle
famiglie, molto esposte sul mercato azionario.
Non è quindi inverosimile che, nonostante il congelamento di una parte dei
dazi, l’economia americana attraversi una breve recessione tecnica durante
l’estate. In questo scenario, la crescita per l’intero anno potrebbe scendere al
di sotto dell’1% e l’inflazione potrebbe risalire.
Come detto, la Cina è stata particolarmente colpita e l’impatto sul PIL
potrebbe essere superiore a un punto e mezzo del PIL, rafforzando altresì le
pressioni deflazionistiche già in corso. Per stabilizzare la crescita intorno al
4%, il governo potrebbe quindi annunciare nuovi stimoli fiscali e la People’s
Bank of China potrebbe aumentare le liquidità in circolazione.
Per la zona euro le esportazioni verso gli Stati Uniti rappresentano solo il 3%
del PIL e, secondo una precedente stima della Banca centrale europea (BCE),
dazi statunitensi al 25% (quindi vicini a quanto annunciato e poi congelato)
costerebbero tra lo 0,3% e lo 0,5% del PIL. Banca d’Italia ha indicato
Il presente rapporto è stato elaborato da UBS Europe SE, Succursale Italia. Si vedano le note legali e le informazioni
riportate alla fine di questo documento.
Sulla carta, gli impatti sono gestibili, ma è necessario considerare le
conseguenze di una possibile recessione americana e un aumento delle
merci cinesi dirette verso l’Europa a causa delle nuove barriere commerciali
statunitensi. Quest’ultimo aspetto potrebbe rivelarsi deflattivo, soprattutto
considerando la forza dell’euro in questo periodo. Per questo motivo, è
possibile che la BCE vada oltre i due soli tagli previsti finora per il resto
dell’anno.
È quindi possibile che, anche per via dell’incertezza, nel corso dell’estate
la crescita europea si azzeri temporaneamente. A medio termine, questa
riduzione potrebbe essere parzialmente compensata dalla possibile fine della
guerra in Ucraina, grazie ai minori costi del gas e alla ricostruzione, e dal
piano tedesco che prevede quasi mille miliardi di euro di maggior debito in
dieci anni.
Sui mercati si è assistito a un velocissimo processo di riduzione della leva
finanziaria e a vendite consistenti di azioni da parte di algoritmi. Questi
fenomeni tecnici con tutta probabilità hanno amplificato le oscillazioni.
D’altra parte, con politiche economiche che sembrano cambiare di giorno in
giorno, probabilmente la volatilità rimarrà elevata.
L’esperienza insegna che, in questi casi, è fondamentale cercare di mantenere
la calma e, per quanto possibile, guardare oltre le turbolenze politiche. I crolli
e i rimbalzi delle ultime settimane ci ricordano l’importanza di avere un piano
finanziario solido.
Infatti, nonostante la forte incertezza, il flusso di notizie potrebbe migliorare
nel corso dell’anno. L’amministrazione statunitense ha dimostrato di non
essere insensibile all’andamento dei mercati e occorre considerare le trattative
sui dazi, i probabili tagli dei tassi d’interesse da parte delle banche centrali e
i tentativi di ridurre l’imposizione fiscale negli Stati Uniti.
Anche se può sembrare controintuitivo, potrebbe essere proprio il mercato
azionario americano ad avere il maggior potenziale di recupero. Gli investitori
potrebbero sfruttare la situazione per incrementare le proprie posizioni su
alcuni temi di lungo termine, come l’intelligenza artificiale, l’elettrificazione o
la longevità, magari in modo graduale per limitare il rischio legato al timing.
I rendimenti obbligazionari sono rimasti relativamente elevati nelle ultime
settimane, offrendo opportunità sulle obbligazioni di buona qualità che
hanno caratteristiche anticicliche. L’andamento del Treasury statunitense ha
mostrato un certo nervosismo ma, in caso di recessione ci aspetteremmo
rendimenti dei Treasury decennali al 2,5% e, quindi, guadagni in conto
capitale.
Inoltre, in Europa sono aumentate le probabilità che la BCE si orienti verso
maggiori tagli ed ha quindi senso bloccare buoni rendimenti a medio termine.
Gli spread sull’obbligazionario high yield sono aumentati notevolmente e,
nonostante non ci si aspetti un incremento drammatico dei default, questo
trend potrebbe continuare a breve. Per questo, nonostante i rendimenti
interessanti, continuiamo a preferire l’obbligazionario di buona qualità.
Spesso le guerre commerciali, caratterizzate dall’imposizione di dazi, si
trasformano in guerre valutarie con molteplici svalutazioni competitive.
Infatti, il dollaro si è indebolito di circa il 9% rispetto all’euro nel corso di un
mese, e questo trend potrebbe continuare nel breve termine.