Tensioni commerciali e resistenza economica globale
Curva dei rendimenti, guerra commerciale: l’America vicina all’equilibrio
I mercati obbligazionari hanno finalmente avuto la meglio sulle ambizioni di guerra commerciale dell’amministrazione Trump, e in tempi piuttosto rapidi. Ci sembrava improbabile che il calo del mercato azionario potesse costringere il presidente degli Stati Uniti a fare marcia indietro sulle sue decisioni, ma non avevamo previsto che l’aumento dei tassi potesse produrre lo stesso risultato. Eppure, a quanto pare, è quello che è successo dopo l’irripidimento della curva dei rendimenti USA, con il rendimento del titolo trentennale statunitense che si aggira intorno al 5%, vicino al livello più alto dal 2007.
La tregua di 90 giorni annunciata a metà aprile, tuttavia, è probabilmente solo un capitolo della saga a cui potremmo assistere nel 2025. Il mercato sembra ora prevedere che i dazi statunitensi si stabilizzeranno alla fine a un livello piuttosto basso, che sarebbe negativo per la crescita USA ma non causerebbe una recessione. Le previsioni di crescita degli Stati Uniti per il 2025 sono dell’1,4% (secondo il consensus di Bloomberg), il che implica una crescita del 2% nei prossimi trimestri dopo la crescita negativa del 1° trimestre. Ci sembra una previsione ottimistica ora. Per quanto riguarda l’inflazione, le attese attuali indicano un aumento significativo dei prezzi nel breve termine (inflazione fissata al di sopra del 3,5% a fine anno) ma scarsi effetti inflattivi a lungo termine.
Ci troviamo in una situazione simile a quella del 2022-2023, in cui i sondaggi indicano un rischio significativo, ma i dati reali rimangono molto stabili. Questo è senza dubbio ciò che mantiene le previsioni di crescita a un livello costantemente alto. Tuttavia, anche in questo caso, siamo un po’ più preoccupati del consensus: a differenza del 2022-2023, ci sono meno risparmi e quindi nessuna riserva per i consumatori. Nei prossimi mesi riteniamo quindi probabile una riduzione dei consumi, una volta che gli effetti della guerra commerciale si faranno sentire, cosa che dovrebbe iniziare a verificarsi nei prossimi 3 mesi. I sondaggi del Conference Board e quelli relativi alle intenzioni di investimento sono al momento a livelli storicamente preoccupanti, cosa che ci risulta difficile da ignorare.
Dobbiamo anche ricordare che questa volta la Fed non sarà anticipatrice, quanto piuttosto reattiva. Se le attese di inflazione sono attendibili, come storicamente sono nel breve termine, nella seconda metà dell’anno la Federal Reserve si troverà di fronte a un’inflazione core (implicita) superiore al 3,5%, che le consentirà di abbassare i tassi solo in caso di forte calo dell’attività economica, soprattutto sul mercato del lavoro. A giugno o luglio la Fed avrà dati sufficienti per agire? Probabilmente no. Pertanto, la Fed non dovrebbe essere considerata un sostegno per i mercati, come è invece spesso accaduto in passato.
Cosa possiamo trarre dalla reazione dei mercati in questa fase?
Nell’eurozona la situazione è un po’ più chiara. La crescita rimane debole e in calo a causa delle attuali incertezze, ma non sta precipitando. Le attese sono per un graduale aggiustamento al ribasso. Per quanto riguarda l’inflazione, la BCE dovrebbe affrontare meno problemi nonostante l’elevata inflazione di aprile legata ad aggiustamenti stagionali in prossimità della Pasqua. Anche il rialzo dell’euro e il calo del prezzo del petrolio sono buone notizie per il Vecchio continente.
Questi ultimi punti fanno ben sperare per la crescita globale nel medio termine, ma non sono sufficienti a compensare gli effetti negativi a breve termine. Il declino del dollaro ha storicamente avuto effetti benefici: rilancio del commercio globale, alleggerimento del peso del debito denominato in dollari per i Paesi emergenti e aumento dei prezzi delle materie prime. Pertanto, i mercati emergenti dell’America Latina appaiono attualmente in una buona posizione: sono raramente presi di mira dall’amministrazione Trump e beneficeranno ampiamente dell’apprezzamento delle loro valute (alto debito in dollari e alta inflazione). La stessa logica si applica al calo dei prezzi del petrolio, che dovrebbe ridurre i costi delle imprese e migliorare il potere d’acquisto.
È quindi possibile che i mercati siano sorpresi dalla resilienza della crescita globale in una fase successiva, ma riteniamo che sia troppo presto per avvertire questi effetti positivi.
Rimaniamo quindi cauti in questo momento, pur consapevoli che le politiche possono cambiare la situazione in qualsiasi momento. Anche l’annuncio di tagli fiscali da parte dell’amministrazione USA (il 4 luglio secondo Bessent) potrebbe essere di sostegno al mercato, ma il suo finanziamento appare per il momento incerto e potenzialmente pericoloso per la parte lunga della curva dei rendimenti USA, già sotto pressione.
AZIONARIO: Il forte rimbalzo dei titoli azionari non riflette adeguatamente i rischi per la crescita economica e, di conseguenza, per i profitti, in particolare negli Stati Uniti.
CREDITO: La stessa cautela è raccomandata anche per il credito, dato che gli spread continuano ad essere molto ristretti.
TASSI D’INTERESSE: Manteniamo una preferenza per i tassi in euro, in un contesto di rischio inflattivo in calo e di messaggi sempre più accomodanti da parte delle banche centrali. Prediligiamo la parte breve della curva dei rendimenti USA.
OUTLOOK DI MAGGIO: L’incertezza rimane elevata, legata alle decisioni politiche. Lo scenario di base dei mercati sembra attualmente un po’ troppo ottimistico, visti i rischi potenziali. Il pericolo di delusioni in merito ai negoziati commerciali in corso appare elevato, il che potrebbe ribaltare le prospettive ottimistiche degli investitori.