L’uscita del Regno Unito dall’UE è un evento sopravvalutato

Richard Colwell -

Nel 2017 le azioni britanniche hanno raggiunto i massimi storici, ma hanno perso terreno rispetto ai listini globali (in termini di dollari USA).

L’esposizione degli investitori globali alle azioni britanniche è scesa ai bassi livelli del 2009, quando il sistema bancario era a rischio. Se è vero che ciò riflette i timori riguardo al calo della sterlina e alle prospettive economiche per il Regno Unito riconducibili alle ripercussioni negative dei negoziati sulla Brexit, è altrettanto vero che ha schiuso nuove opportunità per il 2018.

I mercati azionari scontano le previsioni sull’andamento futuro, per cui il clima di incertezza politica trova già ampio riscontro nelle valutazioni. Per gli investitori attivi, non contano i flussi di notizie ma le valutazioni. È impossibile prevedere in che modo procederanno i negoziati sulla Brexit o in che modo incideranno sull’economia. Occorre in ogni caso tenere presente che il mercato azionario britannico è il terzo maggiore al mondo e che vi opera anche una folta schiera di società multinazionali, per cui non si limita a riflettere le sorti britanniche. Oltre il 70% del fatturato delle società incluse nell’indice FTSE 100 proviene da altri paesi. Questi titoli scambiano a sconti elevati rispetto ai loro omologhi europei e statunitensi, il che offre alle azioni britanniche un cuscinetto in grado di proteggerle contro gran parte delle flessioni anticipate.

Ironia della sorte, anche se il mercato britannico ha raggiunto un massimo in termini assoluti, le opportunità di acquistare titoli poco costosi sono ora più numerose rispetto agli anni passati. Oltre ad accusare un ritardo rispetto all’ascesa dei mercati internazionali, il mercato azionario britannico ha evidenziato anche forti divari di performance al suo interno. Interi segmenti del mercato sono fortemente penalizzati perché sono considerati vittima della Brexit o suscettibili di risentire di turbolenze legate alle tecnologie.

Considerando una serie di parametri di valutazione, che si tratti del rendimento da dividendi o del rapporto prezzo/utili, le azioni britanniche sono convenienti rispetto ad altri mercati sviluppati. In base al rapporto prezzo/valore contabile, le valutazioni rispetto agli Stati Uniti hanno toccato minimi che non si registravano dall’apice della bolla del 2000 nei comparti delle telecomunicazioni, dei media e della tecnologia. In effetti, 85 dei titoli compresi nell’indice FTSE 350 hanno di recente archiviato minimi relativi su un arco di 53 settimane.

Se gli investitori continuano a evitare le azioni britanniche e le valutazioni restano relativamente basse, le aziende internazionali dovrebbero continuare a sfruttare lo sconto in termini di valutazione offerto dal Regno Unito, nonché la debolezza della sterlina, e presentare offerte di acquisto per le loro omologhe britanniche. Tra gli esempi di questo tipo per il 2017 figurano WS Atkins, un’azienda che offre servizi di ingegneria, e Berendsen, una società operante nel settore delle lavanderie, entrambe acquistate da controparti internazionali. Senza dimenticare le mire di Kraft nei confronti di Unilever.

Vittime della Brexit?

Le aziende comunemente descritte come vittime della Brexit sono tra quelle maggiormente sottovalutate. Alcuni titoli azionari in settori come il tempo libero, il commercio al dettaglio e i media viaggiano su valutazioni osservate l’ultima volta durante il rallentamento congiunturale del 2009. Quali di essi riusciranno a destreggiarsi in un contesto congiunturale che si preannuncia più debole, e conquistare quote di mercato? In alternativa, quali azioni scontano già uno scenario economico catastrofico? O forse queste azioni nazionali britanniche stanno assistendo a un momento simile a quello verificatosi nel primo trimestre del 2009 – che si è poi rivelato essere l’ultima importante occasione di acquisto?

L’andamento dei negoziati sulla Brexit non è facilmente prevedibile, ma i vertici delle aziende dovrebbero sempre prepararsi in vista del futuro anziché lamentarsi dello scenario caotico associato alla Brexit. Del resto, l’incertezza è una caratteristica intrinseca del mondo degli affari. Anziché attendere di avere chiarezza, i gestori dovrebbero pertanto vagliare la capacità di tenuta dell’azienda nel futuro, e all’occorrenza rivederne il modello aziendale.

La Brexit presenta tutte le caratteristiche di una causa di divorzio senza esclusione di colpi. Le questioni in ballo sono il denaro e l’accesso – in questo caso non ai figli ma al commercio. Se l’accordo finale sugli aspetti economici spuntato dall’UE è considerato penalizzante, allora un’eventuale debolezza valutaria che ne potrebbe conseguire si ripercuoterà positivamente sul nostro accesso agli scambi commerciali. Il picco del rancore sarà raggiunto nella prima fase del 2018. Non è però nostra intenzione approfondire la questione. In questa sede preferiamo piuttosto concentrarci sul valore delle società in funzione dei rispettivi fondamentali.

Candidati a turbolenze nel settore tecnologico

La febbre della tecnologia è l’altro volano alla base della sottovalutazione. Se è vero che gli investitori stanno spingendo al rialzo i prezzi dei titoli tecnologici, si può altrettanto notare che stanno penalizzando le aziende percepite come vittime di turbolenze legate alle tecnologie.

Al momento della redazione, l’indice tecnologico statunitense Nasdaq 100 era avanzato di circa il 40% nel 2017. Oltre il 40% del Nasdaq è rappresentato da soli cinque titoli, per cui ogni volta che si acquista un ETF sul Nasdaq, si acquistano automaticamente ulteriori quote di tali titoli, incrementando ulteriormente tale dinamica.

Per contro, molte aziende della “old economy” sono finite sotto pressione a causa della minaccia che Amazon e altre piattaforme analoghe rappresentano per i modelli aziendali ormai consolidati. D’altro canto, non è forse vero che la reazione del mercato è spesso stata eccessiva? Gli investitori attivi hanno la possibilità di individuare aziende percepite come vittime di tali difficoltà che però sono in grado di adeguare i loro modelli operativi per sopravvivere, o che forse possono contare su flussi di cassa che si dimostreranno sorprendentemente solidi.

L’efficacia a lungo termine del value investing

Sui mercati odierni si avvertono reminiscenze del biennio 1999-2000, come dimostra il fatto che il mercato britannico non era così conveniente rispetto agli Stati Uniti da 17 anni.

Si possono pertanto considerare le azioni britanniche alla stregua di una scommessa su due diversi scenari per il 2018. Se si assisterà a un’impennata delle azioni a livello globale, allora a un certo punto le azioni britanniche dovrebbero risultare in recupero. Se, però, si verificasse una correzione delle azioni globali, allora le azioni britanniche dovrebbero dimostrare una migliore tenuta in virtù delle loro basse valutazioni e del fatto che sul mercato britannico non vi sono investimenti speculativi (“hot money”).

Siamo ottimisti riguardo alla capacità di trovare interessanti opportunità di valutazione nel 2018 concentrandoci sui fondamentali societari. Dopo un anno di netta sovraperformance dei titoli growth, e segnatamente rispetto ai giganti tecnologici USA, è comprensibile chiedersi se i classici principi di investimento che hanno funzionato così bene nel corso del tempo potranno tornare a farlo in futuro. A lungo termine, i principi del value investing si sono però sempre rivelati molto robusti!


Richard Colwell – Responsabile azioni britanniche – Columbia Threadneedle Investments