Crescita moderata, mercati destabilizzati

Maya Bhandari -

Il 2018 è stato caratterizzato da una crescita economica ragionevole e da una solida espansione degli utili al lordo e al netto delle imposte in gran parte delle aree geografiche.

Eppure, gli investitori hanno osservato rendimenti corretti per la volatilità negativi sui vari mercati finanziari, che in molti casi hanno messo a segno le peggiori performance dai tempi della Grande crisi, oltre un decennio fa (Figura 1). Le azioni globali appaiono in linea con un rendimento corretto per il rischio (secondo l’indice di Sharpe) del -0,4, il più basso dal 2008; le obbligazioni statunitensi (societarie investment grade e Treasury) hanno registrato l’anno più nero almeno dagli anni Novanta. Per i Treasury, si tratta del quinto rendimento totale negativo in trent’anni.

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Nel corso dell’anno, gli utili societari (e le rispettive previsioni) hanno registrato continue impennate, superando in molti casi le nostre aspettative e le stime di consenso di inizio anno (ad esempio Stati Uniti, Giappone e Regno Unito). Attualmente, le previsioni di consenso sui margini EBIT a 12 mesi sono comprese tra il 9% (Giappone) e il 16% (Stati Uniti), in modesto rialzo rispetto ai livelli di gennaio, ad esempio. Scavando più a fondo, tuttavia, l’andamento o la distribuzione della crescita economica, in particolare, ha assunto una direzione contraria alla maggior parte delle previsioni; gli Stati Uniti, ad esempio, hanno continuato ad avanzare imperterriti, mentre l’Europa, i mercati emergenti e, ultimamente, il Giappone hanno segnato il passo.

Le guerre commerciali, il difficile contesto politico europeo (tra cui la crisi politica italiana in corso e la Brexit) e le preoccupazioni relative alla Cina hanno amplificato la debolezza nelle regioni caratterizzate da una leva operativa superiore, ovvero Europa, Giappone e paesi asiatici emergenti. Questo scenario si è tradotto in un inasprimento delle condizioni finanziarie, in seguito al quale i mercati del reddito fisso, in linea di massima, si sono “fidati” della Fed per la prima volta da molti anni. La stretta della Fed e la sovraperformance degli Stati Uniti hanno fatto sì che il dollaro, misurato dall’indice DXY, si confermasse quale unica classe di attivi diffusa a registrare un rendimento corretto per la volatilità positivo nel 2018. L’inattesa forza del dollaro è stata a sua volta una delle ragioni alla base delle difficoltà conosciute dalle economie e dai mercati finanziari dei paesi emergenti lo scorso anno.

Le oscillazioni dei tassi di sconto, o i prezzi pagati per i flussi di cassa futuri, tendono a essere interconnessi tra i vari mercati finanziari. In tale contesto, il perdurante shock del tasso di sconto (iniziato con rendimenti reali più elevati e seguito dall’ulteriore ampliamento degli spread delle obbligazioni societarie) sembra essere il fattore accomunante dei mercati finanziari deboli nel secondo semestre del 2018 (Figura 2).

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Avvicinandoci al 2019, le previsioni di ulteriori pressioni al rialzo sui tassi di sconto globali provengono da varie fonti: uno sperpero fiscale negli Stati Uniti, con il raggiungimento o il superamento della piena occupazione, che potrebbe obbligare la Fed a innalzare i tassi d’interesse di riferimento più di quanto avrebbe fatto in condizioni normali; la tensione sui mercati del lavoro, che si sta finalmente traducendo in pressioni al rialzo sui salari, confermate dalle curve di Phillips globali; infine, i rischi geopolitici, dalle guerre commerciali alla Brexit e all’Italia. Come sempre, vi sono ampie fasce di incertezza intorno a ciascun elemento: ad esempio, il rialzo dei salari potrebbe andare a influire sui margini delle aziende (ovvero i flussi di cassa) oppure sull’inflazione (ovvero i tassi di sconto) o su nessuno dei due, se la produttività del lavoro crescerà in misura tale da produrre un effetto positivo generalizzato.

Le nostre previsioni economiche centrali restano ragionevoli, benché inferiori rispetto al 2017-2018. Il PIL globale reale rallenta a un ritmo sopra la media, le banche centrali non serbano sorprese sul fronte degli incrementi dei tassi d’interesse e procedono a un inasprimento in linea con le aspettative, mentre gli utili societari continuano a crescere a una buona velocità nella maggior parte delle regioni. Contestualmente, le valutazioni appaiono più interessanti in diverse aree, con premi al rischio superiori nei comparti azionario, del reddito fisso e, ovviamente, delle materie prime.

Consapevoli sia delle opportunità sia delle sfide, i portafogli multi-asset terminano il 2018 ed entrano nel 2019 con una predilezione per le azioni rispetto al reddito fisso, favorendo in particolare i titoli giapponesi, asiatici ed europei. La duration è impiegata solo con moderazione: tenuto conto del fatto che i rendimenti statunitensi stanno sfondando un canale rialzista che dura da 38 anni (pur trovandosi ancora su livelli relativamente bassi), nonché alla luce del progressivo inasprimento della politica monetaria globale e della deglobalizzazione in atto, ci interroghiamo sull’efficacia dei titoli di Stato core nei fondi multi-asset. Gli spread creditizi si sono ampliati, ma solo lievemente rispetto agli episodi di avversione al rischio precedenti e successivi alla crisi finanziaria globale. Nel complesso, manteniamo un posizionamento neutrale sul credito e la liquidità.


Maya Bhandari – Gestore di portafoglio, Multi-asset – Columbia Threadneedle Investments