Inflazione, più che ‘transitoria’ è ‘in transito’ verso livelli più alti del previsto

-

Con il report sull’indice dei prezzi al consumo USA di aprile che ha registrato prezzi in aumento ai ritmi più alti degli ultimi 25 anni, l’inflazione è stato il tema dominante che ha preoccupato i mercati nell’ultima settimana. Sebbene ci si attendesse un brusco aumento dell’inflazione per il mese, l’ampiezza dell’incremento ha superato le aspettative.

Dato che nel prossimo mese vi saranno ulteriori effetti di base,sembra che l’indice dei prezzi al consumo non abbia ancora raggiunto i massimi. Nel frattempo, i dati sugli indici PMI, i prezzi degli input e i mercati delle commodity sembrano suggerire che la combinazione di domanda in ripresa e limitazioni a breve termine sull’offerta implichi un aumento dei prezzi più duraturo di quanto molti si aspettino.

Il report sul mercato del lavoro USA di settimana scorsa è stato una delusione, ma la sensazione è che anche i salari stiano aumentando. Nel frattempo, altri sondaggi sembrano suggerire un’abbondanza di nuove offerte di lavoro: ciò potrebbe indicare che per via degli stimoli fiscali abbondanti alcune persone siano riluttanti a tornare a lavorare.

Negli ultimi mesi, la Fed è stata rapida nel comunicare che qualunque rialzo dell’inflazione sarà probabilmente temporaneo. Nonostante l’ampliamento dei tassi di inflazione breakeven USA, i mercati per lo più sono stati felici di accettare questa narrazione. Tuttavia, non ci sorprenderebbe se la fiducia nella Fed venisse messa alla prova nelle prossime settimane qualora ulteriori segnali dell’aumento dei prezzi iniziassero a tradursi in aspettative di inflazione più elevate.

Sotto molti aspetti, sembra che gli investitori siano ormai condizionati ad aspettarsi che i trend sperimentati nell’ultimo decennio proseguano per altri dieci anni. Tuttavia, negli ultimi mesi abbiamo sottolineato come il contesto macroeconomico e delle politiche sia fondamentalmente diverso da quello degli ultimi 20 anni.

Innanzitutto, abbiamo osservato come la pressione secolare al ribasso sull’inflazione stia venendo meno, con il Covid che ha accelerato il trend di deglobalizzazione.

In secondo luogo, abbiamo constatato che un aumento dell’inflazione è diventato più attraente per i policymaker, sia per erodere i livelli di debito elevati che per contribuire alla ridistribuzione della ricchezza dai più anziani e benestanti ai più giovani e indebitati.

Terzo, abbiamo notato che le banche centrali hanno cambiato il proprio approccio alle politiche e ora sono molto meno inclini a cercare di contrastare qualunque segnale di inflazione alla prima opportunità, dopo più di un decennio di inflazione sistematicamente inferiore al target.

Da questo punto di vista, abbiamo aspettative sull’inflazione più elevate rispetto a quelle del consensus già dalla fine del 2020 e crediamo che i prezzi core degli USA continueranno a crescere di circa il 3% via via che ci avviciniamo al 2022. L’outlook per la crescita sembra solido e al momento ci aspettiamo che l’annuncio del tapering verrà dato al meeting di settembre della Fed, in seguito all’incontro di Jackson Hole ad agosto.

Tuttavia, il consenso sulle politiche accomodanti all’interno della Fed potrebbe venire meno anche prima, se vi fossero segnali sufficienti di solidità economia a breve termine nelle prossime settimane.

Di conseguenza, ci aspettiamo che i rendimenti USA aumenteranno nelle prossime settimane ed è probabile che quelli a 10 anni supereranno il 2% prima della fine dell’estate.

Mercati globali

Le preoccupazioni per l’inflazione sono state un fattore che ha influenzato i rendimenti in diversi mercati globali in queste settimane.

In Europa, i rendimenti dei Bund a 10 anni hanno registrato i livelli più alti da oltre due anni. La speculazione è aumentata riguardo la possibilità per la BCE di ridurre gli acquisti obbligazionari del programma PEPP già ad inizio giugno, con i dati che indicano un’economia in forte ripresa con l’attenuarsi della pandemia.

I mercati prezzano anche tassi di interesse più alti nel Regno Unito nel 2022.

Oltreoceano, la decisione della Bank of Canada di ridimensionare gli acquisti del QE l’ha contraddistinta come leader tra le banche centrali dei Paesi sviluppati.

I timori dell’inflazione hanno anche pesato sui tassi dei mercati emergenti. Nonostante i tassi reali siano già relativamente alti in molti emergenti rispetto ai tassi reali negativi delle economie avanzate, ci potrebbero essere preoccupazioni persistenti circa la possibilità che un’impennata dell’inflazione USA oltre il target possa provocare un’accelerata ancora più elevata nelle economie meno avanzate.

Guardando oltre l’obbligazionario

I mercati azionari sono stati sotto pressione nell’ultima settimana a causa delle questioni legate all’inflazione. Come già notato, i titoli tech possono essere considerati asset a lunga duration, visti gli elevati multipli sul mercato.

Di conseguenza riteniamo che le valutazioni saranno impattate dai movimenti nei tassi di rendimento risk-free di lungo termine.

Con il rafforzamento dell’economia e l’outlook per gli utili che resta relativamente positivo, riteniamo che l’azionario in generale possa essere visto dagli investitori come una protezione dall’inflazione, e che quindi un’asset allocation che si allontani dai titoli azionari sembri improbabile.

Tuttavia, non sarebbe una sorpresa se vedessimo il tema della reflazione influenzare ancora l’azionario nelle prossime settimane, con i settori più ciclici che sovraperformeranno se i rendimenti ricominceranno la loro salita. Gli spread sul credito potrebbero trovarsi sotto pressione sulla scia di una correzione più generale del mercato. Eppure, dato il buon supporto della qualità del credito, qualsiasi allargamento sostanziale negli spread potrebbe rappresentare un’opportunità di acquisto, a nostro avviso.

Per il momento, manteniamo una debole propensione long sul credito, in attesa che gli spread scambino in range ristretti. Settori come i finanziari dovrebbero performare piuttosto bene grazie al tema sui ciclici, con i CoCo bond ancora attraenti, data la loro scarsa sensibilità ai movimenti sottostanti nei tassi.

Credito e forex

Spostando lo sguardo altrove, è stato facile notare l’aumento degli spread sovrani in Europa con la crescita dei rendimenti. Nel primo trimestre pensavamo che l’elezione di Mario Draghi a Primo Ministro in Italia avrebbe potuto fissare un benchmark elevato per il sentiment per l’Europa periferica. Ciò ci ha permesso di realizzare profitti sul credito sovrano.

Un elevato livello di emissioni in Europa più avanti nell’anno e la prospettiva di un minore supporto da parte della BCE potrebbero portare a un ulteriore ampliamento degli spread. Tuttavia, per gli spread decennali, 130 pb è un livello che potrebbe rappresentare un’interessante opportunità per ritornare sui BTP italiani nelle prossime settimane.

Intanto sul lato del forex riteniamo sia diventato difficile capire quale sarà la direzione del mercato. Abbiamo visto l’eccezionalismo USA portare a un dollaro più forte, ma abbiamo tagliato queste posizioni ad aprile dopo che il biglietto verde ha iniziato a indebolirsi.

Con i tassi in rialzo in altri mercati globali, ci colpisce il fatto che per avere una visione chiara sul dollaro oggi è necessario avere una visione chiara anche sui tassi USA. In questo modo le view di portafoglio si esprimono meglio sui mercati dei tassi piuttosto che su quelli del forex.

Guardando avanti

La seconda metà del mese sarà più tranquilla sul fronte dei dati macro. Di conseguenza, potrebbero essere poche le notizie nuove in grado di influenzare i mercati, sebbene ci aspettiamo un livello maggiore di attenzione verso i dati secondari e le possibili interferenze ai trend dei prezzi.

Pensiamo che i mercati possano mettere in dubbio la natura transitoria dell’inflazione e sarà interessante vedere cosa avranno da dire i policymaker. Il Vicepresidente della Fed, Richard Clarida, ha rapidamente sminuito l’importanza di un singolo dato mensile sull’inflazione, pur ammettendo lo stupore di fronte alla portata dell’accelerazione di aprile.

Pensiamo che alla fine alla Fed importi principalmente raggiungere anzitutto l’obiettivo della piena occupazione, senza troppa preoccupazione su un’inflazione che d’ora in poi potrebbe attestarsi in media intorno al 3% invece che al 2%.

Ciò detto, se l’inflazione dovesse normalizzarsi su un livello prossimo al 3% nel medio termine, le ripercussioni per il livello del tasso di interesse naturale e quindi per l’equilibrio dei rendimenti obbligazionari sarebbero notevoli da qui in avanti.

La comunicazione della Fed potrebbe risultare problematica nei prossimi giorni,poiché più si sbilanciano verso una retorica da colombe, più i mercati potrebbero preoccuparsi di politiche troppo accomodanti troppo a lungo, come spiegato questa settimana dall’investitore miliardario Stanley Druckenmiller.

In questo contesto, risulterebbe difficile pensare che i tassi possano andare in rally nel breve termine, a meno che non si verifichi un evento esogeno. In ultima istanza, le pressioni inflazionistiche saranno transitorie fino al momento in cui non lo saranno più. Se sarà questo il caso, allora la compiacenza degli investitori sarà esposta. Piuttosto che ‘transitoria’, a nostro avviso ci sono buone possibilità che l’inflazione sia ‘in transito verso’ un livello di outcome più elevato di quanto molti ritenessero probabile.

Per chiudere, è stato interessante osservare Tesla piegarsi ai timori ESG che noi, insieme ad altri, avevamo messo in luce circa l’impatto ambientale dell’estrazione di Bitcoin. Con la decisione di Tesla di porre fine all’accettazione di pagamenti in Bitcoin per le proprie auto, dopo che Elon Musk ha pubblicamente sconfessato Dogecoin a Saturday Night Live, è stato interessante vedere come il sentiment sta iniziando a girare su questo fronte.

Forse è arrivato il momento di guardare in faccia la realtà e detenere asset reali.