L’importanza del vino: le diverse culture enologiche

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Si narra che i re e i condottieri Celti calassero periodicamente in Italia per aggiudicarsi quantità di vino sempre maggiori da gustare alle loro nordiche tavole. Il vino, già dall’antichità, era considerato un nettare e con la sua valorizzazione sono nate e si sono affermate le diverse culture enologiche.

Ne parliamo in questa intervista con Cecilia Broccardi, esperta in marketing esperienziale e degustatrice..

Cecilia Broccardi, lei è un’esperta di almeno due approcci alla valorizzazione del vino come esperienza degustativa, quello americano e quello italiano. Ci sono delle differenze tra i due metodi?

L’approccio all’organizzazione di eventi nel mondo del vino varia significativamente tra gli Stati Uniti e l’Italia, riflettendo le diverse culture enologiche e tradizioni storiche di questi due paesi. Negli Stati Uniti, l’enoturismo e gli eventi legati al vino sono spesso caratterizzati da un approccio innovativo e orientato al marketing. Le cantine americane tendono a focalizzarsi sull’esperienza del cliente, organizzando degustazioni tematiche, cene abbinate e festival del vino con intrattenimento musicale e artistico. Le tecnologie moderne, come le app per la prenotazione e la realtà aumentata, sono frequentemente utilizzate per migliorare l’interazione e l’educazione dei partecipanti. Questo approccio punta a rendere il vino accessibile e divertente, attirando un pubblico ampio e diversificato.

Che cosa si fa, invece, in Italia perché l’esperienza della degustazione del vino sia apprezzata?

In Italia, invece, gli eventi legati al vino sono spesso radicati nella tradizione e nella storia locale. Le cantine italiane tendono a valorizzare il territorio e le pratiche vitivinicole secolari, offrendo esperienze più intime e autentiche. Le degustazioni possono includere visite alle vigne e alle cantine storiche, accompagnate da racconti sulle origini delle varietà di uva e delle tecniche di produzione. L’accento è posto sulla qualità e l’artigianalità del vino, con un forte legame con la cucina regionale e la cultura locale. Questo approccio mira a creare un profondo apprezzamento del vino e del suo contesto storico e culturale.

I due approcci rispecchiano la crescita di una cultura del vino affermatasi in tempi e con modalità diverse nei due Paesi?

Sì, certo, mentre negli Stati Uniti l’enoturismo e gli eventi vinicoli sono orientati all’innovazione e all’intrattenimento per attirare un pubblico variegato, in Italia prevale un approccio che privilegia la tradizione e l’autenticità, offrendo un’esperienza più educativa e culturale. Entrambi gli approcci, seppur diversi, contribuiscono a valorizzare e promuovere la cultura del vino in modi unici e complementari. È pur vero che la cultura del vino – ne dà testimonianza lo scrittore britannico Lawrence Osborne nel suo libro “Santi e bevitori” – ha radici antichissime e che intorno al dio della fermentazione, Dioniso, i Cretesi costruirono una mitologia essenziale che i Greci ripresero in seguito, a volte inconsapevolmente. Il geroglifico minoico per “vino”, un ideogramma della lineare B (greco antico trascritto in cretese), somiglia al geroglifico egiziano con lo stesso significato, e dai reperti pittorici risalenti alla diciottesima dinastia sappiamo che l’Egitto aveva già una cultura del vino molto sviluppata nel momento in cui Creta divenne ricca, una viticoltura che forse si diffuse a Creta, come risulta dalla villa rustica minoica riportata alla luce a Kato Zakros. La vite non era cretese né greca, ma in Europa il suo frutto fermentato è diventato una divinità singolare. Un denso e complesso nucleo di simboli e miti è entrato nel flusso sanguigno occidentale e ha fatto del vino una fonte di esperienza religiosa. Alla fine il vino è diventato il sangue di Cristo.